Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati

venerdì 30 ottobre 2015

Il Medioevo, Leone III l'isaurico e la lotta iconoclasta

Agli inizi dell'VIII secolo, i rapporti tra il vescovo di Roma e l'imperatore d'Oriente si guastarono di nuovo in conseguenza della politica del basileus Leone III l'Isaurico (717-741) il quale, trovandosi impegnato in un duello mortale con gli Arabi che minacciavano direttamente Bisanzio, aveva compiuto ogni sforzo per accentrare il potere nelle sue mani e pertanto, secondo la consuetudine dei suoi predecessori, aveva imposto la sua volontà anche nel campo della fede religiosa.
Leone III in effetti non solo riuscì a ricacciare gli Arabi e a stornare la minaccia da Costantinopoli, ma, dimostrando notevoli capacità politiche e militari, riuscì anche a rafforzare il potere dell'Impero nella penisola balcanica, estendendone l'influenza sui vicini Bulgari e sulle popolazioni slave comprese entro i confini. D'altra parte, allo scopo di rendere più omogeneo e ordinato lo Stato egli volle diminuire lo strapotere politico-religioso degli ordini monastici, che spesso con le loro iniziative e il loro fanatismo minacciavano la compattezza dell'Impero, e pertanto nel 726 emanò un decreto che proibiva il culto delle immagini sacre e ne ordinava addirittura la distruzione (iconoclastia, da eikon = immagine, e klàzein = spezzare). Questo provvedimento, così radicale e apparentemente eccessivo, scaturiva dalla necessità di stroncare l'uso e l'abuso che gli ordini monastici facevano delle immagini, delle quali si faceva commercio e si incoraggiava il culto, fino a forme grossolane di idolatria superstiziosa che offendevano i sentimenti più seriamente religiosi e sollevavano le irridenti accuse dei musulmani. In Oriente, nonostante le resistenze e le opposizioni, Leone III ebbe partita vinta e l'iconoclastia prevalse fino al secolo IX; ma nelle province bizantine d'Italia le cose andarono altrimenti, perché né le popolazioni cattoliche erano abituate a inframmettenze imperiali in materia religiosa, né il pontefice, dopo tante lotte e tanti vittoriosi contrasti con Bisanzio, era disposto ad accettare la volontà imperiale proprio in un momento in cui il suo potere spirituale si andava estendendo a tutto l'Occidente e il suo potere temporale si affermava nel Lazio e nelle regioni bizantine, come l'Esarcato e la Pentapoli.
Elementi di storia - Il Medioevo, A. Camera/ R. Fabietti; ed. Zanichelli

Leone III e Costantino V

giovedì 29 ottobre 2015

Dogmatismo e intolleranza, la scarsa fiducia nel contributo del pensiero (specie quando ci sono privilegi da salvaguardare)

Dogmatismo: (dal greco dogma = decreto, principio comunemente accettato) il termine indica nel linguaggio comune l’asserzione di verità indiscutibili come quelle sostenute dalla Chiesa. Viene usato per designare un atteggiamento mentale rigido, poco sensibile alle argomentazioni altrui ed estremamente sicuro di sé. Tale sicurezza è però solo apparente, giacché serve a nascondere una scarsa fiducia proprio nelle idee che vengono difese con tanto accanimento. Il dogmatismo – che può manifestarsi sia sul piano politico come in relazione ai vari problemi della convivenza umana – porta necessariamente con sé l’intolleranza ed esprime in definitiva uno scarso rispetto per il contributo di pensiero che può venirci dagli altri.
Sul piano pedagogico e nel campo degli studi il dogmatismo è semplicemente deleterio, ed è perciò che ad esso si è sempre opposto strenuamente il liberalismo seguito dai migliori rappresentanti della pedagogia positivistica. “C’è chi crede – scrive A. Gabelli – che la libera osservazione possa generare un’audace licenza di spirito, cui vengono seguaci l’orgoglio, e la ribellione. Più probabile è invece, e la storia lo prova, che questi mali nascano dal dogmatismo. [...] Il dogmatismo esalta ed inebria il pensiero nell’atto medesimo in cui l’opprime, perché non gli consente di provar le sue forze, lo lascia ignaro di queste, ma anche delle sue debolezze, non gli oppone un ritegno, non gli fa sentire un freno nella realtà […] io ho sempre trovato che i malevoli sono quelli che vivono chiusi in un mondo di loro fabbrica, i fantastici, i dogmatici, gli assolutisti del pensiero, gli intolleranti, tutti quelli cui manca l’abitudine della critica e quel sentimento dolcemente malinconico, che nasce dalla meditata esperienza delle cose umane”.
Scrittori e opere, Marchese/Grillini – ed. La Nuova Italia

Religione e dogmatismo


domenica 11 ottobre 2015

Il seme della verità: Franco Chirico, capo-setta del Cammino Neocatecumenale | J. Krishnamurti, dialogo con David Bohm

K. - Se si pianta un seme di verità, esso deve operare, crescere, funzionare, avere una sua vita.
B. - Molti milioni di persone probabilmente hanno letto o sentito quel che dite. Eppure sembra che gran parte di loro non abbia capito. Pensate che alla fine riusciranno tutti a vederlo?
K. - No, ma la cosa va avanti, essi se ne preoccupano, e si chiedono, “Cosa intende dire con ciò?”. Il seme funziona, cresce, non è morto. Potete dire il falso e anche quello opera.
B. - Sì, ma ora abbiamo una lotta fra i due e non possiamo prevederne l’esito; non possiamo essere sicuri del risultato.
K. - Avete piantato in me il seme: “La Verità è un terreno senza sentieri”. E ancora un altro seme è piantato nella mia coscienza: “Ecco la strada che porta alla verità, seguimi”. Uno è falso, uno è vero. Entrambi sono conficcati nella mia coscienza. Così avviene una lotta. Il vero e il falso operano entrambi, e se sono sufficientemente sensibile ciò crea più confusione, più miseria e molta sofferenza. Che accade se non fuggo da quella sofferenza?
B. - È chiaro quel che accadrà se non fuggite. Avrete l’energia l’energia per vedere ciò che è vero.
Verità e realtà, J. Krishnamurti discussione con David Bohm,


Franco Chirico, editore per il Cammino Neocatecumenale


sabato 10 ottobre 2015

Erich Fromm, capacità e dominio: la definizione del potere

Potere: si tratta di un termine che può assumere sul piano psicologico due significati molto diversi. Secondo Fromm, «uno è il possesso di un P. su qualcuno, la possibilità di dominarlo; l'altro significato è il possesso del P. di fare qualcosa, di essere capace. Quest'ultimo significato non ha nulla a che vedere con il dominare; esprime padronanza nel senso di capacità. Quando parliamo di impotenza, abbiamo in mente questo signi­ficato; non pensiamo alla persona che non riesce a dominare gli altri, ma alla persona che non è in grado di fare quello che vuole. Perciò il P. può significare una di queste due cose: dominio o capacità. Lungi dall'essere identiche, queste due qualità si escludono a vicenda. L'impotenza, usando il termine in riferimento non solo alla sfera sessuale, ma a tutte le sfere della potenzialità umana, dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui un individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare, e non prova alcuna brama di P. Il P, nel senso del dominare, è la perversione della capacità, proprio come il sadismo (v.) sessuale è la perversione dell'amore sessuale» (Fromm,_1963, p. 134).
Scrittori e opere - Storia e antologia della letteratura italiana, Marchese/Grillini

Nudo, acrilici su tavola 1996 - Gianluca Salvati

L'agente segreto e l'Ambasciata di Joseph Conrad

L'usciere aprì la porta, e si fece da parte. I piedi di Mr. Verloc ebbero la sensazione di trovarsi su di uno spesso tappeto. La stanza era grande e aveva tre finestre; ed un giovanotto con un faccone sbarbato, seduto in un'ampia poltrona davanti ad una spaziosa scrivania di mogano, disse in francese al Cancelliere d'Ambasciata, che stava uscendo con dei documenti in mano.
"Hai proprio ragione, mon cher. È grasso - il bestione."
Mr.Vladimir, Primo Segretario, godeva nei salotti della fama di uomo piacevole e divertente. Il suo spirito consisteva nello scoprire buffi punti di contatto tra idee incongrue; e quando parlava in questa vena si sporgeva tutto in avanti sulla poltrona, con la mano sinistra sollevata, come per mostrare le sue spiritose dimostrazioni racchiuse tra il pollice e l'indice, mentre il faccione rotondo e ben rasato assumeva un'espressione di divertito imbarazzo.
Ma non c'era traccia di divertimento o di imbarazzo nel modo in cui guardava Mr. Verloc. Comodamente adagiato all'indietro sulla poltrona, con i gomiti allargati ad angolo retto, una gamba disinvoltamente accavallata sul ginocchio robusto, e quell'aspetto liscio e roseo, aveva l'aria di un bambinone cresciuto in modo abnorme che non ha la minima intenzione di tollerare sciocchezze da qualsiasi parte vengano.
"Lei capisce il francese, suppongo?", disse.
Mr. Verloc mise in chiaro con voce rauca che sì, lo capiva. Tutta la gran mole del suo corpo era inclinata in avanti. Stava in piedi sul tappeto nel mezzo della stanza, tenendo ben saldi il cappello e il bastone in una mano; mentre l'altra pendeva inerte lungo il fianco. Borbottò con molta discrezione qualcosa dal profondo della gola circa l'aver fatto il servizio militare nell'artiglieria francese. Subito, con dispregiativa malvagità, Mr. Vladimir cambiò lingua e cominciò a parlare in un inglese colloquiale senza la minima traccia di accento straniero.
"Ah, Sì. Naturalmente. Vediamo. Quanto vi hanno dato per aver sottratto il progetto del nuovo otturatore del loro cannone da campo?"
"Cinque anni di carcere duro in una fortezza." Rispose subito Mr. Verloc, senza mostrare peraltro alcun segno d'emozione.
"Ve la siete cavata facilmente", fu il commento di Mr. Vladimir. "E, comunque tanto peggio per voi che vi siete fatto prendere. Che cosa vi ha spinto a mettervi in questo genere di cose - eh?"
Si udì la voce roca di Mr. Verloc, quella col tono da conversazione, parlare di gioventù, di una infatuazione fatale per un'indegna...
"Ah, Cherchez la femme", Mr. Vladimir si degnò di interrompere, rigido e senza cortesia; piuttosto c'era in quella sua condiscendenza un tono di malignità. "Quanto tempo è che siete alle dipendenze di questa ambasciata?, chiese.
"Dall'epoca dell'ultimo barone Scott-Warteheim", rispose Mr. Verloc in tono sottomesso, atteggiando le labbra in segno di tristezza per il defunto diplomatico. Il Primo Segretario osservò freddamente questo gioco della fisionomia.
"Ah, da allora... Bene! Cosa avete da dire?", chiese, bruscamente.
Mr. Verloc rispose con una certa sorpresa che non gli risultava di avere da dire nulla in particolare. Era stato convocato con una lettera. E si affrettò ad infilare la mano nella tasca laterale del soprabito, ma davanti allo sguardo cinico e pieno di scherno di Mr. Vladimir, decise di lasciarla dove si trovava.
"Bah!", disse quest'ultimo. Che senso ha uscire in questo modo dal vostro stato? Non avete nemmeno il fisico della vostra professione. Voi - un membro del proletariato morto di fame. Mai! Voi - un disperato socialista o anarchico - quale dei due?"
"Anarchico", precisò Mr. Verloc in tono bassissimo.
"Fesserie!", continuò Mr. Vladimir senza alzare la voce. "Avete spaventato perfino il vecchio Wurmt. Non ingannereste un idiota. E sì che capita di incontrarne ogni tanto, ma voi siete semplicemente impossibile. Così avete iniziato i vostri rapporti con noi rubando i progetti del fucile francese? E vi siete fatto prendere. Deve essere stato molto spiacevole per il nostro Governo. Non avete l'aria di essere molto intelligente."
Mr. Verloc cercò di scusarsi a mezza voce.
"Come ho avuto modo di osservare prima, un'infatuazione fatale per un'indegna..."
Mr. Vladimir sollevò una manona bianca e grassoccia.
"Ah, sì. La sfortunata passione... della vostra gioventù. Si è presa il vostro denaro, e poi vi ha rivenduto alla polizia... o sbaglio?"
Il doloroso mutarsi della fisionomia di Mr. Verloc, l'abbandono per un attimo di tutta la sua persona, rivelarono che tale era stato il riprovevole caso. La mano di Mr. Verloc afferrò caviglia appoggiata al ginocchio. Il calzino era di seta blu scuro.
"Vedete, non è stato molto intelligente da parte vostra. Forse vi commuovete troppo facilmente."
Mr. Verloc con un mormorio soffocato della gola lasciò capire che non era più giovane.
"Oh! Quello è un difetto che l'età non guarisce", notò Mr. Vladimir con maligna familiarità. "Ma no! Siete troppo grasso per questo genere di cose. Non avreste potuto arrivare ad avere questo aspetto se foste stato in qualche modo vulnerabile. Ve lo dico io quello che ritengo sia il problema; voi siete un pigro. Quanto tempo è che spillate lo stipendio all'Ambasciata?"
"Undici anni", fu la risposta dopo un momento di riflessione cupa. "Sono stato incaricato di molte missioni a Londra mentre Sua Eccellenza il Barone Stott-Wartenheim era ancora ambasciatore a Parigi. Poi, secondo le istruzioni di Sua Eccellenza, mi sono stabilito a Londra. Io sono inglese."
"Davvero! Siete inglese?"
"Suddito di cittadinanza britannica", ribadì ostinatamente Mr. Verloc. Ma mio padre era francese, e così..."
"Non c'è bisogno di spiegazioni", interruppe l'altro. Foste stato un Maresciallo di Francia o un Membro del Parlamento in Inghilterra... allora, sì che almeno sareste stato di qualche utilità per l'Ambasciata."
Quel volo di fantasia produsse sul volto di Mr. Verloc qualcosa di molto simile a un debole sorriso. Ma Mr. Vladimir mantenne la sua imperturbabile severità.
"Ma, come ho già detto, siete un pigro; non sfruttate le occasioni. Al tempo del barone Stott-Wartenheim c'era una quantità di gente di poco cervello a dirigere l'Ambasciata. Sono stati loro ad indurre la gente come voi a farsi un'opinione sbagliata della natura dei capitali del servizio segreto. È mio compito correggere questo equivoco dicendovi quello che il servizio segreto non è. Non è un'istituzione filantropica. Vi abbiamo fatto chiamare apposta per dirvelo molto chiaramente."
L'agente segreto - Joseph Conrad

A fat man