Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati
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giovedì 29 gennaio 2015

La Propaganda - organo regionale socialista | Eduardo Giacchetti nel collegio di Chiaia

La Propaganda -  organo regionale socialista

La lotta di oggi nel collegio di Chiaia

I socialisti, i repubblicani, i radicali, tutti i cittadini che tengono al libero controllo della stampa e alla moralità pubblica voteranno per il recluso

   EDUARDO GIACCHETTI 
Oggi, la canaglia (Gennaro Aliberti ndr) celebra a Chiaia i suoi saturnali. Da una parte la reazione in marsina e dall'altra quella in giacca, l'una fermentata dal lievito religioso e l'altra semovente all'ombra del bandierone liberale che, da oltre un quarantennio, covre e protegge le porcherie più grosse e le viltà peggiori. Capece Minutolo di Bugnano e Cucca di Talamo si equivalgono nella concezione reazionaria che essi hanno della politica: l'uno e l'altro guardano lo Stato come l'ente protettore del popolo, come la piscina probatica nella quale chi si tuffa è salvo, e credono che il deputato, il così detto rappresentante del paese - di cui, per la restrittiva legge elettorale, va alle urne una percentuale assai bassa - sia né più né meno che un servitore: servitore del ministero e degli elettori, a un tempo, che deve dare il voto all'uno per ottenerne i piccoli favori e le minute concessioni a vantaggio degli altri.
Lontana è dalla loro coscienza la visione di una società che viva della cooperazione e nella cooperazione di tutti e che si voglia e si sappia amministrare con la propria diretta sorveglianza e col libero controllo di chicchessia e che a piacimento, e quando le torni comodo, rinnovi le proprie delegazioni e le trasformi. Ed è lontano dal loro cervello anche l'abbozzo di un qualunque programma politico.
L'uno e l'altro promisero ferrovie, ponti e strade, licei, ginnasii ed asili d'infanzia, e le croci di cavaliere e di commendatore della molto ospitale corona furon fatti da entrambi balenare innanzi alla dabbenaggine presuntuosa degli elettori: nessuno dei due si è sognato di parlare della miseria delle mille creature umane, le quali se potessero andare alle urne (da cui le tien lontane la provvida mano della borghesia sfruttatrice) voterebbero solo per chi invoca e propugna, mediante la rivoluzione dei rapporti sociali, il dovere del lavoro per tutti e per tutti il diritto alla giustizia.
L'uno, ambiziosetto e impaziente di pervenire, pare abbia anche egli sollecitata la protezione governativa che l'altro ottenne: e ci vien riferito che entrambi, incontratisi tempo fa in prefettura, si sarebbero scambievolmente dichiarato che l'uno avrebbe ceduto il passo a quello che avesse ottenuto l'appoggio governativo: a tal patto, rompendo la fede, uno avrebbe dunque mancato. Non ci preme affatto l'incidente nella parte che si riferisce al (chiamamolo così) tradimento. Guardiamo invece col disgusto e con la nausea questi avvenimenti.
[...] il Roma ha ieri, dalle libere sue colonne, protestato per le turpitudini che la Pubblica Sicurezza commise contro i partiti popolari propugnanti la candidatura di un operaio immacolato, di Eduardo Giacchetti, contro la candidatura nera di Capece Minutolo e quella di tutti i colori del Cucca.
Noi non ci contenteremo di protestare. Faremo di più. Chiederemo, ai sensi della legge, la nullità di una elezione avvenuta in modo fraudolento e cattivo.
Dal palazzo Calabritto un giocatore di baccarat dirige, con la prepotenza più aperta, le operazioni elettorali. Mercè sua fu dato libero passo ai micidiali col segno: e i pregiudicati e gli ammoniti potettero liberamente aggredire e ferire chi meglio loro talentasse, alla presenza della forza pubblica la quale (complimenti signor Zaiotti!) fu feroce solo con noi, come risulta dalla proibizione di ogni nostro comizio.
Tutto ciò sarà denunziato al parlamento innanzi al quale Roberto Talamo dovrà pareggiare i suoi conti.
Oggi noi andiamo alle urne a deporre il nome immacolato di Eduardo Giacchetti che, gravemente infermo nel carcere, ignora le ansie nostre e le nostre speranze.
Quanti voti saranno dati al martire? Molti ne auguriamo, più che per lui, per la dignità del Collegio di Chiaia, per la vita morale di Napoli.
Nelle ragioni di questo augurio fervido è il fascino della battaglia.
La quale, comunque finisca, lascia i radicali, i repubblicani e i socialisti di Napoli fieri del compiuto dovere e del servigio reso alla città.
Per opera dei partiti popolari non sarà lecito domani rimproverare al nostro paese di aver assistito, senza protesta, a un duello elettorale fra due campioni indegni di toccar la palma della vittoria.
E il popolo avrà una volta ancora compreso come debba, affermando la sua sola e insostituibile e non delegabile sovranità, provvedere al suo avvenire.
La Propaganda

La Propaganda organo regionale socialista

venerdì 1 febbraio 2013

America Latina - Opus Dei & company | Neocatecumeni: Franco Chirico & Kiko Arguello | Enrico Cajati: "Volto santo"

Mentre  Roma spendeva le sue energie “migliori” per annientare l'eresia anomala della teologia della liberazione, i suoi avversari nel continente latinoamericano – l'Opus Dei in primis – lavoravano alacremente. I risultati si vedono a occhio nudo: oggi l'America Latina è ancora teatro bellico di una guerra religiosa estremamente complessa, in cui si combattono tra loro non solo religioni diverse, ma sette e gruppi che rappresentano interessi economici.
Per farsi un'idea delle forze dispiegate sul campo, vale la pena di riportare i dati forniti da Maurizio Stefanini in un saggio pubblicato su “Limes”: “La nuova evangelizzazione di Giovanni Paolo II si sta manifestando soprattutto come restaurazione della disciplina “tridentina”: nomina di vescovi soprattutto amministratori; insistenza sulle vocazioni tradizionali e sulla formazione secondo un modello tradizionale; ripristino della disciplina nella liturgia, nella catechesi, nell'organizzazione. […] Il Vaticano si rende conto della necessità di coinvolgere laici. Ma preferisce ricorrere a strumenti di aggregazione più “affidabili” delle comunità di base. Ad esempio l'Opus Dei, che in America Latina conta su 10 vescovi e 35.000 membri (la metà del totale). I Cursillos de Cristianidad, che già esistevano ma si sono particolarmente sviluppati in questi ultimi anni. Gli Incontri degli sposi con Cristo, che sono in crescita vertiginosa. Il movimento dei Focolarini, che era presente fin dagli anni Sessanta, ma ora è cresciuto fino a contare migliaia di aderenti a tutti i livelli. Il Movimento neocatecumenale, che è presente in quasi tutti i paesi […]. Comunione e Liberazione, che è pure presente in molti paesi, ed è fortissima a livello editoriale. Il Movimento di Schonstatt, cui fanno capo due vescovi cileni, e che è ben attestato anche in Argentina. Ma la grande forza è quella del Rinnovamento carismatico, ormai forte di milioni di aderenti. Una forza che è anche una debolezza. Il movimento carismatico non è che l'applicazione del pentecostalismo al cattolicesimo. Per sopravvivere, anche la Chiesa neotridentina di Giovanni Paolo II deve cedere al grande nemico”. (Geopolitica dell'avanzata protestante in America Latina, Maurizio Stefanini - “Limes”, n.3 giugno-agosto 1993)
In questo clima di “mercato delle anime”, le capacità organizzative dell'Opus Dei hanno trovato grande spazio.
[…] La gerarchia ecclesiastica – soprattutto in America Latina – è di per sé una casta, originata in una società precapitalistica e oggi sradicata dalle relazioni sociali di stampo capitalistico. La Chiesa cattolica, inoltre, è il più grande singolo proprietario di beni al mondo. Ecco perché il Vaticano ha dato supporto – sia pure indiretto – a dittatori sanguinari dell'America Latina, i quali difendevano la proprietà capitalistica, ma si opponevano a regimi di ispirazione marxista basati sulla proprietà nazionalizzata.
Opus Dei segreta, Ferruccio Pinotti

Franco Chirico, ha la famiglia a Caracas, l'ho scoperto quando sono stato chiamato ad insegnare per la scuola "Agustin Codazzi" di Caracas. Curiosamente, la famiglia di Franco Chirico, vive proprio nel quartiere dove c'è questa scuola del Codazzi. Altrettanto curiosamente, ho trovato casa proprio a poca distanza dalla villa "Quinta Leoncita", dove vive la famiglia di Franco Chirico a Chapellin, nel quartiere della Florida.
Franco Chirico è l'editore di punta del Cammino Neaocatecumenale ed amico di Kiko Arguello, fondatore dei Neocatecumeni.

Volto santo, olio su tela - Enrico Cajati

domenica 18 novembre 2012

Franco Frattini - Mariastella Gelmini, segnalazione del caso Codazzi, scuola "Agustin Codazzi" di Caracas: associazione senza fini di lucro con conto cifrato su banca svizzera - Credit Suisse, filiale di Lugano

Gianluca Salvati  | via ...... - 22100 Como  |  cell. .........  |  email: ........
Ministero degli Esteri
Palazzo della Farnesina
Roma
e.p.c. Ministero dell'Istruzione


Spett.le ministro, mi chiamo Gianluca Salvati sono un maestro di scuola primaria che ha insegnato all'estero. Ho lavorato dal 2003 al 2004 a Casablanca (Marocco) e dal 2004 al 2006 a Caracas (Venezuela). Essendo stato chiamato da funzionari del suo ministero mi piacerebbe avere chiarimenti in merito ad alcune vicende:

  • Vorrei sapere dove sono i contributi di quei 3 anni di insegnamento, dato che NON HO AUTORIZZATO NESSUNO A DERUBARMI.
  • Come mai il 29/08/2008, all'ambasciata italiana di Caracas, mi è stato riservato un trattamento da PERSONA NON GRADITA? Non ho mai commesso reati e pago regolarmente le tasse!
  • Per quale motivo, nei giorni successivi al 30/08/2008, impiegati della Farnesina contattati dai miei familiari, hanno osato mettere in dubbio il mio equilibrio psichico ?

Distinti saluti
Como, 06/10/2010



domenica 23 settembre 2012

Premio Italia 2005 - Piero Armenti - L'intermezzo, il buttafuori | Paolo Scartozzoni, funzionario Mae

 Premio Italia '05 | Poco prima della presentazione dell'evento, il console e l'ambasciatore comunicavano fra loro piuttosto preoccupati, sembrava si stessero confessando... (In seguito ho capito che, essendo male informati, erano prevenuti proprio nei miei confronti).
Non passò molto tempo che mi si oscurò la luce: un bestione di buttafuori locale, una montagna, mi si parò davanti.
Mi parve un evento surreale...
Che cazzo significava?

Tempo addietro avevo criticato sia la delegazione interministeriale italiana capitanata dal guitto di regime, Paolo Scartozzoni, sia il console, nell'auditorium del Codazzi, la scuola dove insegnavo.
In quell'occasione avevo mosso delle precise critiche e molta della rabbia mi derivava dalla percezione di un qualche inganno, come un'avvisaglia di frode, a proposito di quell''accidente che mi stava stroncando pochi mesi prima e dalla consapevolezza che la mancanza di chiarezza celasse una situazione decisamente truffaldina. Di fatto, avevo perso decisamente perso la pazienza nei confronti di quella gente che sapeva solo pretendere...

Un cavaliere un po' stronzetto
Di fatto, non si capiva perché al 10 di marzo eravamo ancora senza contratto di lavoro, ed io, come se non bastasse, ero anche clandestino (ma questo lo scoprirò solo in seguito).
Non c'è dubbio che fu la voce della verità a parlare per me. Sono certo che allora nessuno di loro lo ignorasse. Intendo dire nessuno dei rappresentanti istituzionali, in particolare colui che più si comportò da stronzetto su quel palco. Indovinate di chi sto parlando (se avete bisogno di un indizio, vi dico che quello stronzetto è un decorato, un cavaliere per la precisione: un cavaliere un po' stronzetto)...

Tornando al console e all'ambasciatore quella sera del Premio Italia 2005, loro erano prevenuti nei miei confronti e non perché fossero persone malvage, al contrario, avendoli conosciuti entrambi ho capito che erano due persone a posto, ma quel giorno all'inaugurazione erano semplicemente male informati, dato che qualcuno stava spargendo, invano, diffamazione, dopo aver sparso, inutilmente, veleno...

Il profilo del tipo di persona di cui sto parlando è di qualcuno che sia accreditato presso le istituzioni, accreditato e con licenza di raccontare cazzate, beninteso, senza doverne rispondere.
Come qualcuno appartenente ai servizi segreti... una checca di regime, per intenderci.
Una fottuta checca del fottuto regime!

martedì 13 marzo 2012

Segreti di Stato e omertà - Paolo Scartozzoni: la delegazione MAE

Qualche mese prima che Enrico De Simone giungesse a Caracas, avevo domandato alla dott.ssa Ornella Scarpellini, rappresentante del Ministero degli Esteri (italiano): “il diritto non è cultura ?” (Auditorium della scuola “Agustin Codazzi” - 10/03/2005). La funzionaria che aveva appena esposto le linee guida del suo ministero, mi aveva candidamente risposto: “No, il diritto non è cultura.”
La platea accolse silenziosamente l'asserzione.

Era passato da poco il carnevale, ma, evidentemente, per alcune istituzioni italiane il carnevale dura 365 giorni all'anno, specie se spalleggiate da un governo di pagliacci, tutto chiacchiere e distintivo. Chiacchiere e distintivo.
La mia domanda era necessariamente provocatoria, ma la risposta era da medio evo, o peggio, da età della pietra. 
Chissà cosa avrebbe risposto il signor Vivanco a quell'affermazione. Come se non bastasse, i rappresentanti istituzionali si proclamarono impotenti rispetto a quei delinquenti in grisaglia della giunta del Codazzi, nonostante il ministero elargisse un lauto assegno ogni anno al Codazzi. Dunque in assenza di un segreto di Stato, calava automaticamente l'omertà di Stato.
Come ho già scritto, eravamo senza contratto (a tempo determinato). Io avevo rischiato la pelle per un avvelenamento, che a quei tempi (ero ancora ingenuo) pensavo fosse stato un accidente. 

Serpente alchemico, rappresentazione plastica regime come sistema chiuso

Eppure, non potevamo accampare diritti, mentre quei signori venuti da Roma, degni rappresentanti della loro istituzione, dovevano dirci cosa fare in classe dato che avevano regalato la paritarietà a quella scuola...
Il giorno dopo mi assentai, avevo una reazione di schifo verso quella gente.
Che strumenti avevo per far valere i miei diritti?
Come potevo rivalermi nei confronti di quell'essere, perché uomo non si poteva chiamarlo, quella checca incravattata che aveva osato sbeffeggiami dal palco?


giovedì 28 aprile 2011

LA CONDANNA DEL "FARO" | Pietro Pansini - Gennaro Aliberti

Corpo ed ombre

La sentenza è caduta come una riparazione severa ed inflessibile. Eppure mai più inutile condanna pronunciò labbro di magistrato.
Lo sciagurato, che, curva la fronte, sentì dopo la lettura la nostalgica sensazione delle annose catene di galeotto, era già condannato dinanzi al tribunale più augusto e più solenne della pubblica opinione.
Il processo che l'altro ieri aveva il suo epilogo nella IX Sezione del nostro palazzo di Giustizia è una pagina assai interessante della vita napoletana, che merita d'essere conosciuta.
E così, vincendo la ripugnanza che suscita nell'animo la codardia che l'ispirò e che, come spirito malefico, ne segnò le fasi e le vicende, noi assolviamo il debito di scriverne.
E ne scriviamo non già a suffragarcene le immacolate coscienze, che l'alito fetido delle calunnie non può appannare, ma per fare segnare alla storia della democrazia napoletana, nella cruda asprezza della sua lotta, questa che è un'altra battaglia vinta contro le forze del male, sollevate con il furore più insano contro di lei.
  Il processo che si scontò di questi giorni, e che vide montare - alta la fronte ed eretto l'animo che non crolla - alla ribalta dell'accusa uomini che nella lotta per gli alti ideali umani trassero il ministero coraggioso della loro vita - quel processo, tenuto dalla viltà posta in agguato nei nascondigli anonimi del vecchio mondo napoletano, ha finito - come dovea - con l'apologia meritata ed attesa degli aggrediti.
  Schizzato dai più vili bassifondi, dove il maleficio e l'oro e il fango gavazzano insieme, la camorra, prostrata a morte, avea trovato il suo mercenario scherano, che dovea servirle da scudo e dovea vibrare i colpi che la sua viltà non le consentiva vibrare.
  E servì così il lercio libello, a sfogare i rancori e gli odii lungamente covati nel silenzio macerante, a frenare le cupe bramosie della vendetta - blandita nelle ore dell'abbattimento e della sconfitta - ad aguzzare nella fucina innominabile del mendacio, l'arma più spregevole della calunnia e della diffamazione.
  Non invano tutto un mondo di interessi coalizzati era stato costretto a precipitare nel nulla; non invano le file serrate del camorrismo erano state con impeto nuovo sgomberate e disperse; non invano sulla vecchia piaga purulenta dell'affarismo era passato il ferro rovente e spietato della critica rivelatrice e la dilacerante fiamma della purificazione.
  La vendetta - che è il nettare degli Dei - ordiva i suoi piani e li riannodava attorno all'infamia, che è il nettare dei pusilli e dei vili.
Colpire nell'onore gli uomini più in vista di quella parte popolare, che aveva elevato la bandiera spietata della guerra e che era passata sul corpo dei vecchi ribaldi - questo era il segnacolo della riscossa dei vinti e dei colpiti.
  Ma l'arma dell'offesa si ruppe - come dovea - sul petto adamantino dei nostri amici. Quello che dovea essere il Calvario di espiazione della loro nobile temerità nelle lotte sante della redenzione napoletana, si tramutò nella gogna disonorante degli aggressori. La calunnia fischiò attorno al loro capo invano senza colpirlo.La sentenza del magistrato restituisce le loro figure più terse e più splendenti - rese sacre da un altro doloroso cimento - alla vita cittadina.
 *
 *     *
  Quando sorse il giornalastro che periodicamente annunciava alle cantonate, per acuire la morbosa curiosità del passante, le pubblicazioni diffamatorie contro i nostri migliori, all'occhio del pubblico appariva soltanto la figura insignificante d'un improvviso scombiccheratore di articoletti sgrammaticati e senza senso comune. Ma noi sapemmo mostrare il significato di quella stupida lotta di calunnie con cui si tentava confonderci e disperderci, con la quale si voleva allontanare, e dalla nostra parte, e dal nostro giornale il consenso incontrastato della moltitudine popolare. Noi vedemmo dietro di quel disgraziato mercenario, lo scherano visibile della vecchia banda di camorristi, che espiava le sue colpe, nel grande processo ch' ora volge - precipitoso e tragico - alla sua miserevole fine. E l'arte diabolica degli avversarii, che avevano sulle gote i segni ancora insanguinati del nostro scudiscio, si arrovellava a scalfire le figure blindate e terse di coloro, che più erano apparsi - in un movimento di collettività - giustizieri implacabili e arditi.
  L'arma immonda della calunnia cercò avidamente le reni di Carlo Altobelli, quegli stesso che con l'Inchiesta sugl'impiegati avea osato scoverchiare l'indiscreto vaso di Pandora del mercimonio pubblico e della simonia amministrativa. Incalzò, con impeto acre, Arnaldo Lucci, quegli che tenendo a suo tempo la direzione di questo foglio, era apparso come il personale e più visibile fustigatore degli innominabili interessi. Tartassava dappresso Pietro Pansini - che nel processo Aliberti avea spietatamente colpito la banda ancora fornicante e tumultuante nelle anticamere amministrative.
 E si volgeva, con voluttà palese, contro il petto di un forte e di un coraggioso, cui l'audacia prorompente dall'entusiasmo e la diserzione dalle file conservatrici non trovava clemenza presso i tristi, scelti al malfare. E questi colpi erano dati col pugno di uno sciagurato, il cui braccio armava l'ira vindice dei colpiti. Nell'anfanare delle sue difese, nulla ha risparmiato, per ferire a sua posta, senza misericordia, ognuno dei nostri. E trascinato alla ribalta dei rei, contro noi che avevamo reso pubblico il suo edificante stato di servizio... carcerario, avea nello smarrimento della ferocia, tentato di colpire nel nostro Postiglione, il nostro giornale.
  E la guerra è stata secca, recisa, diritta, senza tergiversazioni. L'abilità curialesca del sofisma non ha trovato materia su cui potersi esercitare. La diffamazione contro i nostri amici appariva nella sua luce completa, radiosa.
  Non una nube ha turbato il cielo lindo di questo processo. La purezza e l'onore contro le rabide calunnie del vecchio mondo trafitto, hanno avuto il meritato trionfo. E la condanna è scesa severa, inflessibile, grave.
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Un solo risultato utile ha avuto il processo, non per noi che avevamo già squarciato le cortine del segreto, ma per il pubblico che non sapeva vedere il disgraziato che conducemmo innanzi al magistrato - il libellista pagato dai vecchi ribaldi. Ma ecco che questo masnadiero della penna si leva e - tra lo stupore degli uditori - confessa di essere lo strumento cieco nelle mani di gente che si nascondeva dietro le sue spalle per assicurarsi l'impunità. Il loro non era un delitto di chi vendica le proprie torture e le proprie umiliazioni, era l'assassinio compiuto alla macchia. Dietro il corpo di lui si profilano le ombre bieche di uomini tormentati dalle furie della vendetta!
  Il condannato di ieri, il bugiardo e nauseabondo libellista, ha voluto compiere il bel gesto di non aprire il labbro alla denuncia dei suoi mandanti!
  E tal sia di lui! Cinereo miserando, graverà su di lui la croce d'ignominia che altri han posto sulle sue spalle!
  Ma la sua confessione è completa. egli, nel circospetto silenzio dei nomi ha mostrato la macchinazione infernale, da chi e da quali interessi era stato montato. Ora in un'altra sezione dell'istesso Tribunale, dal quale il direttore del fogliastro immondo ha visto saldare alle sue terga l'ignominia della calunnia, un'altra sentenza si prepara che chiuderà questo periodo un po' tumultuoso della vita napoletana. Aveano sognato di arrivare al carcere dopo esser passati sulle dilacerate reputazioni morali dei coraggiosi autori della loro espiazione. Ma lo sforzo fu vano. La loro condanna ora è preceduta dall'apologia degli accusatori. E più sinistro e più buio, come un macabro sogno della fantasia atterrita, ghigna al loro sguardo la prigione che li inghiotte.

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Il dibattimento
Di questo processo del quale la stampa cittadina - ad eccezione del Roma - non ha creduto et pour cause - opportuno occuparsi, noi non riporteremo tutte le risultanze, poiché esse, in brevi parole, si riassumono tutte in una glorificazione ampia, completa, luminosissima delle figure dei nostri amici querelanti. Pansini, Marvasi, Lucci ed Altobelli; ma c'intratteremo specialmente sopra alcuni episodi del pubblico dibattimento che sono in grado di far intendere ai lettori quel che non sfuggì al pubblico che numeroso accorse nell'aula del tribunale: l'origine, cioè, e la ragione degli articoli diffamatori de il dietroscena che si faceva schermo della figura del Ciccarese.
  Ormai non può più dubitarsi che gli attacchi furono fatti non tanto alle persone dei querelanti, quanto al partito cui essi appartengono ed alla parte attivissima da ciascuno di essi avuta nel debellare le camorre, le camerille e le clientele che si erano formate nella vita amministrativa e politica di Napoli.
  I querelanti, quindi, unicamente perché, combattendo per la pubblica moralità, ebbero il coraggio di infrangere tutti i loschi interessi personali che si erano lentamente organizzati, e che compivano opera di cittadini onesti, e che compivano opera di cittadini onesti, furono fatti segno alla bava velenosa di coloro che colpiti e smascherati, si vendicarono coraggiosamente, diffamando nell'ombra e coperti dalla garanzia dell'anonimo.
  Non vi è in Napoli chi ignora la parte avuta dai querelanti, nei processi contro l'ex deputato Casale, il deputato Aliberti e quella avuta specialmente dall'avv. Altobelli nei processi Palizzolo e Cassibile.
  Ma i querelanti avevano anche in modo più energico combattuto contro la mala vita amministrativa.  L'opera era stata già efficacemente iniziata dall'Altobelli in quella inchiesta sugli impiegati municipali e che fu soffocata dalla passata amministrazione ed era stata coraggiosamente continuata specialmente dal nostro giornale prima e durante l'Inchiesta Saredo.
  Era naturale, quindi, che dopo il memorabile trionfo riportato dal nostro partito nella causa Casale-Propaganda,sorgesse il bisogno e la necessità di attaccare coloro, che, come testimoni ed avvocati, maggiormente avevano contribuito a quel trionfo. E non fu difficile trovare un Elviro Ciccarese dietro il quale si ripararono tutte le viltà.
  Ed il contegno riservato dal Ciccarese in pubblico dibattimento fu tale da riconfermare tale verità.
  I querelanti, forti della loro coscienza e dell'onestà della loro vita, avrebbero volentieri abbandonato il Ciccarese al suo destino, ma dovettero, principalmente per i partiti, di cui fanno parte, presentare querela autorizzando l'imputato alla più ampia, completa ed illimitata facoltà di prova.
  Anzi, tale nobilissimo sentimento giunse fino al punto di consentire che in pubblica udienza la prova si slargasse anche sui fatti nuovi che fosse piaciuto al Ciccarese di articolare non ostante che per questo non vi fosse stata querela e non ostante che essi non si fossero conosciuti in precedenza. L'imputato trasse vantaggio da questa generosa condizione che gli veniva offerta dalle coscienze pure dei querelanti e però la loro figura rifulge più splendida e luminosa dopo i risultati stessi del dibattimento e dopo la ritrattazione spontaneamentefatta dall'imputato e respinta sdegnosamente dai querelanti medesimi.
  D'altra parte sul contegno serbato dal querelante giudichino i lettori. Costui nel periodo istruttorio aveva affermato non dover rispondere di nulla, di non essere l'autore degli articoli diffamatori e cercava riparare se stesso dietro le figure dei poveri gerenti, così come gli altri si erano riparati dietro di lui.
  Ma l'istruttoria, per la parola di molti testimoni e per quella degli stessi gerenti, assodò autore degli articoli essere il Ciccarese ed allora egli, sconfessato dai suoi correi, in pubblica udienza, pur continuando ad affermarsi estraneo alla redazione degli articoli, fece il bel gesto di assumerne la responsabilità e tentò in tutti i modi di discreditare le persone da lui accusate, ricorrendo ad ogni mezzo e ad ogni specie di testimoni. ma fallitogli anche questo sistema, non ostante la concessione dei querelanti, svelò uno di coloro che erano stati gl' ispiratori dei suoi articoli ed invitato dal magistrato a fare i nomi degli altri, tacque, pure facendoli intravedere.
    Abbiamo già detto che egli non si arrestò innanzi ad alcun ostacolo per tentare di provare il suo assunto ed i testimoni che le sue affermazioni avrebbero dovuto riconfermare, andò reclutando nei più bassi fondi del senso morale e così egli fece ricorso ad avversari politici, a nemici personali dei querelanti, a direttori di altri giornali che le medesime accuse diffamatorie avevano precedentemente pubblicato, riportandone condanne per giunta, e perfino a clienti ed avvocati contrari avuti in giudizi penali e civili e tutti, tutti indistintamente, tra mezzo la loro mala fede, le loro reticenze, dovettero per primi inchinarsi innanzi alla vita intemerata dei querelanti cui furono costretti dall'evidenza stessa dei fatti narrati, fare omaggio.
  E molti dei testimoni non raggiunsero altro intento oltre quello di rivelare le loro brutture morali e la loro turpitudine,come - fra poco si dirà - fu anche consacrato in un'ordinanza del tribunale.
  Il trionfo dei nostri amici è stato completo ed indimenticabile ed è stato solennemente consacrato nella sentenza di condanna del tribunale!
  Ed eccoci ora a riassumere brevemente i risultati del dibattimento.

Per la querela Pansini
  Il Ciccarese in pubblica udienza del 22 aprile ultimo, dopo avere nel periodo istruttorio, tenuto il contegno di cui già abbiamo parlato, affermò:
"Io non posso provare quanto affermai contro il prof. Pietro Pansini e che forma oggetto della sua querela. L'amor proprio mi fece velo nel combatterlo perché era doluto di lui, che, a mia insaputa e senza alcuna necessità fece incarcerare mia madre nell'Ospedale della Vita, fornendo così ai miei nemici il destro per potermi definire un figlio ingrato. Ero pure doluto di lui, perché mi si fece credere che lui aveva voluto la pubblicazione del certificato penale a mio carico sulla Propaganda. Sono perciò dolente del disturbo creatogli e lo deploro".
  Eguali dichiarazioni il Ciccarese costantemente ripetette nelle udienze successive, ogni volta che i risultati del dibattimento offrivano sempre più la prova della insensatezza degli addebiti fatti dal Ciccarese. E fu constatato perfino che questi - denunziato per l'ammonizione - potette scongiurare tale grave provvedimento contro di lui, principalmente per la testimonianza favorevole fattagli proprio dal prof. Pietro Pansini per il quale poi, il Ciccarese, mostrò la sua gratitudine, col vendicarsi con gli articoli diffamatori!

Per la querela Marvasi
  Il Ciccarese in udienza, mentre ritrattava le accuse lanciate contro il prof. Pietro Pansini, riconfermava esplicitamente tutto, una per una, contro il nostro Roberto Marvasi, che, dopo questa pubblica discussione, ci è diventato ancora più caro. Egli ha conservato una calma ammirevole, tanto più perchè egli ha dovuto reprimere tutti gli scatti, giustissimi, della sua indole vivace, del suo temperamento ardente, del suo animo generoso e nobilissimo. Poche volte soltanto egli ha reagito, quando con qualche malignazione si cercava colpirlo alle spalle ed il suo santo risentimento trovava eco in tutte le anime oneste che assistevano al dibattito.
  Il Ciccarese aveva indicato per deporre contro di lui come testimone, tutti coloro che dal Marvasi erano stati colpiti in modo sanguinoso per avere sempre egli - come depose l'avv. Salvi - accettato generosamente la responsabilità non soltanto degli atti suoi, ma di quelli del partito e del nostro giornale, cui egli consacra tanta parte della sua attività e del suo ingegno.
  Enrico Leone, con una forma semplice e commovente, disse di lui cose lusinghiere assai, mettendo in evidenza la trasformazione subita dal Marvasi dal giorno in cui l'animo suo si è aperto alle ideali visioni del nostro partito. Perfino i testimoni avversari, coloro cioè che insistentemente, in tempi remoti o recenti, improvvisamente aggredirono il Marvasi, non potettero fare a meno di ammirare il coraggio del Marvasi che, aggredito energicamente, si difese. Né meno luminosa risultò la prova dei sacrifici fatti da lui nell'interesse del partito e durante la pubblicazione del suo giornale La Pecora.
  Ma ci piace ricordare qui quello che disse il deputato Rodolfo Rispoli e che produsse una grande impressione su tutti.
  Il Rispoli depose: "Ho avuto occasione di parlare del Marvasi col prof. Bovio, prima e dopo la malattia ed il professore diceva che era un gentiluomo ed una volta disse essere il Marvasi una gemma".
  L'opinione di Giovanni Bovio - che per la prima volta veniva riportata pubblicamente e che ignorava [...]