Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati
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sabato 10 ottobre 2015

Erich Fromm, capacità e dominio: la definizione del potere

Potere: si tratta di un termine che può assumere sul piano psicologico due significati molto diversi. Secondo Fromm, «uno è il possesso di un P. su qualcuno, la possibilità di dominarlo; l'altro significato è il possesso del P. di fare qualcosa, di essere capace. Quest'ultimo significato non ha nulla a che vedere con il dominare; esprime padronanza nel senso di capacità. Quando parliamo di impotenza, abbiamo in mente questo signi­ficato; non pensiamo alla persona che non riesce a dominare gli altri, ma alla persona che non è in grado di fare quello che vuole. Perciò il P. può significare una di queste due cose: dominio o capacità. Lungi dall'essere identiche, queste due qualità si escludono a vicenda. L'impotenza, usando il termine in riferimento non solo alla sfera sessuale, ma a tutte le sfere della potenzialità umana, dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui un individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare, e non prova alcuna brama di P. Il P, nel senso del dominare, è la perversione della capacità, proprio come il sadismo (v.) sessuale è la perversione dell'amore sessuale» (Fromm,_1963, p. 134).
Scrittori e opere - Storia e antologia della letteratura italiana, Marchese/Grillini

Nudo, acrilici su tavola 1996 - Gianluca Salvati

L'agente segreto e l'Ambasciata di Joseph Conrad

L'usciere aprì la porta, e si fece da parte. I piedi di Mr. Verloc ebbero la sensazione di trovarsi su di uno spesso tappeto. La stanza era grande e aveva tre finestre; ed un giovanotto con un faccone sbarbato, seduto in un'ampia poltrona davanti ad una spaziosa scrivania di mogano, disse in francese al Cancelliere d'Ambasciata, che stava uscendo con dei documenti in mano.
"Hai proprio ragione, mon cher. È grasso - il bestione."
Mr.Vladimir, Primo Segretario, godeva nei salotti della fama di uomo piacevole e divertente. Il suo spirito consisteva nello scoprire buffi punti di contatto tra idee incongrue; e quando parlava in questa vena si sporgeva tutto in avanti sulla poltrona, con la mano sinistra sollevata, come per mostrare le sue spiritose dimostrazioni racchiuse tra il pollice e l'indice, mentre il faccione rotondo e ben rasato assumeva un'espressione di divertito imbarazzo.
Ma non c'era traccia di divertimento o di imbarazzo nel modo in cui guardava Mr. Verloc. Comodamente adagiato all'indietro sulla poltrona, con i gomiti allargati ad angolo retto, una gamba disinvoltamente accavallata sul ginocchio robusto, e quell'aspetto liscio e roseo, aveva l'aria di un bambinone cresciuto in modo abnorme che non ha la minima intenzione di tollerare sciocchezze da qualsiasi parte vengano.
"Lei capisce il francese, suppongo?", disse.
Mr. Verloc mise in chiaro con voce rauca che sì, lo capiva. Tutta la gran mole del suo corpo era inclinata in avanti. Stava in piedi sul tappeto nel mezzo della stanza, tenendo ben saldi il cappello e il bastone in una mano; mentre l'altra pendeva inerte lungo il fianco. Borbottò con molta discrezione qualcosa dal profondo della gola circa l'aver fatto il servizio militare nell'artiglieria francese. Subito, con dispregiativa malvagità, Mr. Vladimir cambiò lingua e cominciò a parlare in un inglese colloquiale senza la minima traccia di accento straniero.
"Ah, Sì. Naturalmente. Vediamo. Quanto vi hanno dato per aver sottratto il progetto del nuovo otturatore del loro cannone da campo?"
"Cinque anni di carcere duro in una fortezza." Rispose subito Mr. Verloc, senza mostrare peraltro alcun segno d'emozione.
"Ve la siete cavata facilmente", fu il commento di Mr. Vladimir. "E, comunque tanto peggio per voi che vi siete fatto prendere. Che cosa vi ha spinto a mettervi in questo genere di cose - eh?"
Si udì la voce roca di Mr. Verloc, quella col tono da conversazione, parlare di gioventù, di una infatuazione fatale per un'indegna...
"Ah, Cherchez la femme", Mr. Vladimir si degnò di interrompere, rigido e senza cortesia; piuttosto c'era in quella sua condiscendenza un tono di malignità. "Quanto tempo è che siete alle dipendenze di questa ambasciata?, chiese.
"Dall'epoca dell'ultimo barone Scott-Warteheim", rispose Mr. Verloc in tono sottomesso, atteggiando le labbra in segno di tristezza per il defunto diplomatico. Il Primo Segretario osservò freddamente questo gioco della fisionomia.
"Ah, da allora... Bene! Cosa avete da dire?", chiese, bruscamente.
Mr. Verloc rispose con una certa sorpresa che non gli risultava di avere da dire nulla in particolare. Era stato convocato con una lettera. E si affrettò ad infilare la mano nella tasca laterale del soprabito, ma davanti allo sguardo cinico e pieno di scherno di Mr. Vladimir, decise di lasciarla dove si trovava.
"Bah!", disse quest'ultimo. Che senso ha uscire in questo modo dal vostro stato? Non avete nemmeno il fisico della vostra professione. Voi - un membro del proletariato morto di fame. Mai! Voi - un disperato socialista o anarchico - quale dei due?"
"Anarchico", precisò Mr. Verloc in tono bassissimo.
"Fesserie!", continuò Mr. Vladimir senza alzare la voce. "Avete spaventato perfino il vecchio Wurmt. Non ingannereste un idiota. E sì che capita di incontrarne ogni tanto, ma voi siete semplicemente impossibile. Così avete iniziato i vostri rapporti con noi rubando i progetti del fucile francese? E vi siete fatto prendere. Deve essere stato molto spiacevole per il nostro Governo. Non avete l'aria di essere molto intelligente."
Mr. Verloc cercò di scusarsi a mezza voce.
"Come ho avuto modo di osservare prima, un'infatuazione fatale per un'indegna..."
Mr. Vladimir sollevò una manona bianca e grassoccia.
"Ah, sì. La sfortunata passione... della vostra gioventù. Si è presa il vostro denaro, e poi vi ha rivenduto alla polizia... o sbaglio?"
Il doloroso mutarsi della fisionomia di Mr. Verloc, l'abbandono per un attimo di tutta la sua persona, rivelarono che tale era stato il riprovevole caso. La mano di Mr. Verloc afferrò caviglia appoggiata al ginocchio. Il calzino era di seta blu scuro.
"Vedete, non è stato molto intelligente da parte vostra. Forse vi commuovete troppo facilmente."
Mr. Verloc con un mormorio soffocato della gola lasciò capire che non era più giovane.
"Oh! Quello è un difetto che l'età non guarisce", notò Mr. Vladimir con maligna familiarità. "Ma no! Siete troppo grasso per questo genere di cose. Non avreste potuto arrivare ad avere questo aspetto se foste stato in qualche modo vulnerabile. Ve lo dico io quello che ritengo sia il problema; voi siete un pigro. Quanto tempo è che spillate lo stipendio all'Ambasciata?"
"Undici anni", fu la risposta dopo un momento di riflessione cupa. "Sono stato incaricato di molte missioni a Londra mentre Sua Eccellenza il Barone Stott-Wartenheim era ancora ambasciatore a Parigi. Poi, secondo le istruzioni di Sua Eccellenza, mi sono stabilito a Londra. Io sono inglese."
"Davvero! Siete inglese?"
"Suddito di cittadinanza britannica", ribadì ostinatamente Mr. Verloc. Ma mio padre era francese, e così..."
"Non c'è bisogno di spiegazioni", interruppe l'altro. Foste stato un Maresciallo di Francia o un Membro del Parlamento in Inghilterra... allora, sì che almeno sareste stato di qualche utilità per l'Ambasciata."
Quel volo di fantasia produsse sul volto di Mr. Verloc qualcosa di molto simile a un debole sorriso. Ma Mr. Vladimir mantenne la sua imperturbabile severità.
"Ma, come ho già detto, siete un pigro; non sfruttate le occasioni. Al tempo del barone Stott-Wartenheim c'era una quantità di gente di poco cervello a dirigere l'Ambasciata. Sono stati loro ad indurre la gente come voi a farsi un'opinione sbagliata della natura dei capitali del servizio segreto. È mio compito correggere questo equivoco dicendovi quello che il servizio segreto non è. Non è un'istituzione filantropica. Vi abbiamo fatto chiamare apposta per dirvelo molto chiaramente."
L'agente segreto - Joseph Conrad

A fat man

venerdì 27 marzo 2015

Marcos Pérez Jiménez, dittatore in Venezuela | La scuola di Leònidas Trujillo

Sia il generale che il presidente provengono dalla scuola di Leònidas Trujillo. Espaillat ricorda quando, nel 1958, l'all­ora dittatore del Venezuela, il generale Pérez Jiménez, era at­terrato a Santo Domingo perché, alcune ore prima, a Carac­as era avvenuto un colpo di stato che l'aveva privato del potere. "Trujillo era furibondo: secondo lui, Pérez Jiménez avreb­be dovuto difendersi invece di cedere il potere così facilmente. Al che Pérez Jiménez gli rispose di aver voluto evitare un ba­gno di sangue. 'Ma che razza di dittatore sei,' gli gridò Trujil­lo, 'se non spari sulla gente?' Pérez Jiménez replicò che il com­pito di sparare sulla gente era sempre spettato al suo capo del­la sicurezza, Pedro Estrada. La migliore testimonianza dei rapporti tra Pérez Jiménez e il suo sanguinario sicario Pedro Estrada è una barzelletta venezuelana: all'inferno si incon­trano Pérez Jiménez e l'ex dittatore del Venezuela, Vicente Gómez. Come castigo per i suoi peccati, Gómez sta immerso nella merda fino al collo. Anche Pérez Jiménez sta nella merda, ma solo fino alla vita. 'Ma come?' chiede stupito un visitatore. 'Pérez Jiménez non è mica stato meno crudele di Gómez!' 'Sì,' gli risponde il diavolo. 'il fatto è che Pérez Jimé­nez sta sulle spalle di Pedro Estrada.' In quella occasione era­no venuti entrambi a Santo Domingo. Mentre, all'Hotel Em­bajador, bevevamo un bicchiere - ricorda Espaillat - Estrada cominciò a lamentarsi di Jiménez. 'Jiménez si è portato via milioni e milioni di dollari,' disse con voce piena d'invidia, mentre io sono condannato alla miseria.' 'Sarà,' replicai io. Qualcosa, comunque, te la sarai pure presa, no?' 'Qualcosa sì,' confermò tristemente Estrada. 'Appena dieci milioni di dollari."
È possibile calcolare quanto denaro possedessero Pérez Jiménez, Leònidas Trujillo, François Duvalier? Tutto quello che volevano. Governavano i loro paesi come un' azienda pri­vata. Il tesoro di stato era loro proprietà, l'intero paese era lo­ro proprietà (ora capisco cosa intendesse dire il noto piduista, Silvio Berlusconi, quando parlava di azienda Italia... n.d.r.).
Cristo con il fucile in spalla, Ryszard Kapuściński

Marcos Pérez Jiménez, dittatore in Venezuela


giovedì 15 gennaio 2015

Lo stoicismo e il falso carteggio fra Seneca e Paolo di Tarso

Già un secolo prima di Marco Aurelio lo stoicismo si era avvicinato al trono imperiale, quando Seneca era diventato anzitutto l'educatore del giovane Nerone, e poi il suo prin­cipale consigliere politico e speechwriter, quando questi ascese al trono nel 54. Nerone non era naturalmente Ales­sandro Magno, né Seneca era Aristotele, ma i due reinter­pretarono comunque il copione del sodalizio fra il grande filosofo e il giovane imperatore, fino a quando il primo cad­de in disgrazia e il secondo lo condannò al suicidio nel 65. Sentenza che Seneca eseguì, naturalmente, con stoica sere­nità, sulla base di un altro classico principio stoico: «Accet­tare volontariamente l'inevitabile »,
Marco Aurelio e Seneca sono esponenti della cosiddetta «ultima Stoà», concentrata prevalentemente su problemati­che morali e spirituali, e rappresentante una sorta di religio­ne laica e colta: in alternativa, dunque, a quella clericale e «cretina», che dapprima cercò di annettersela inventandosi un apocrifo carteggio tra Seneca e Paolo di Tarso, e poi riu­scì a scalzarla in base al principio che a diffondersi in epi­demie sono le malattie infettive e non la salute, fisica o mentale che sia.
Ai fini della logica a noi interessa, però, la «prima Stoà »: quella fondata ad Atene verso il 300 p.e.V. dal ci­priota Zenone di Cizio, che non va naturalmente confuso col precedente eleatico. Essa prese il nome dalla stoà poiki­le, il «portico dipinto» nel quale aveva sede, e divenne pre­sto il terzo polo della vita culturale ateniese.
L'importanza che le tre scuole mantennero a lungo nella vita della città è testimoniata dal fatto che i Greci, quando dovettero inviare una missione diplomatica a Roma nel 156 p.e.V., dopo la conquista romana della Macedonia, non tro­varono niente di meglio che scegliere Carneade (il manzoniano «chi era costui?») dall'Accademia, Critolao dal Li­ceo, e Diogene dalla Stoà.
Tra parentesi, i tre si fecero onore: arrivati a Roma, ini­ziarono i giovani Romani alle loro dottrine, ed ebbero tanto successo che Catone li fece immediatamente rispedire a ca­sa, per paura che la filosofia finisse col provocare una disaf­fezione verso la vita militare. D'altronde, un Censore non poteva che preferire la militarizzazione dei civili alla civi­lizzazione dei militari.
Per tornare alla Stoà, l'esponente più importante fu il suo terzo rettore, il fenicio Crisippo di Soli, vissuto nel terzo se­colo p.e.V. Stilisticamente, sembra non fosse un granché: d'altronde, veniva da una città che aveva ispirato il termine soloikismos, «solecismo », usato ancor oggi nel senso di «sgrammaticatura ». Quanto a produzione, invece, doveva essere un vero grafomane, visto che scriveva 500 righe al giorno: ovvero, l'equivalente dell'intera opera di Aristotele ogni due anni e mezzo, e 700 libri in tutta la vita, un centi­naio dei quali dedicati alla logica.
Tutti questi libri sono oggi perduti, come del resto quelli dell'intera scuola. La quale, per una serie di ragioni, com­presa quella già accennata della competizione etica col Cri­stianesimo, finì per essere completamente rimossa. Al pun­to che oggi di Accademie e Licei è pieno il mondo, ma non c'è neppure una Stoà. È rimasto l'aggettivo «stoico», usato però quasi esclusivamente nel senso di distacco e sopporta­zione al quale abbiamo già accennato.
Piergiorgio Oddifreddi, Le menzogne di Ulisse

Seneca - Ultima Stoà


venerdì 14 giugno 2013

Erich Fromm, l'autorità anonima - Il potere nel XX secolo

[...]  Sia che una madre dica alla figlia: "So che non ti piacerà uscire con quel ragazzo"; o che una reclame suggerisca: "Fumate questa marca di sigarette: vi piacerà la loro freschezza": è sempre una stessa atmosfera di sottile suggestione che in realtà pervade tutta la nostra vita sociale. L'autorità anonima è più efficace dell'autorità palese perché non si sospetta mai che ci sia un ordine che si è tenuti ad osservare"
(Erich Fromm, 1963)

[...]  L'autorità alla metà del ventesimo secolo ha mutato il suo carattere; essa non si presenta più come autorità manifesta, bensì come un'autorità anonima, invisibile, alienata. Non c'è nessuno che ordini, né una persona, né un'idea, né una legge morale. Però tutti ci conformiamo come e più di quanto non si farebbe in una società fortemente autoritaria. Infatti, non c'è nessuna autorità, al di fuori di "oggetti". Quali sono questi "oggetti"? Il guadagno, le necessità economiche, il mercato, il senso comune, l'opinione pubblica, quel che "si" fa, "si" pensa, "si" sente. Le leggi dell'autorità anonima sono invisibili quanto le leggi del mercato, e altrettanto incontestabili. Chi può attaccare l'invisibile? Chi può ribellarsi contro Nessuno?"
(Erich Fromm, 1964)

Il signor Nessuno, olio 2007 - Gianluca Salvati

martedì 15 maggio 2012

Massoneria, le logge "coperte" - Loggia P2 e CIA

I giudici che si sono occupati della strage di Bologna hanno scritto: “Nel contesto di una generale attenzione rivolta da Gelli agli ambienti militari, assume una concatenazione specifica quella dedicata alla ristretta èlite di ufficiali succedutisi al comando dei vari servizi di sicurezza. La relazione della commissione di inchiesta è pervenuta a due interessanti conclusioni: Gelli appartiene ai servizi e ne è il vertice; la Loggia P2 e Gelli sono espressione di una influenza che la Massoneria americana e la CIA esercitano su Palazzo Giustiniani, sin dalla sua riapertura nel dopoguerra”.


La stazione di Bologna il gorno della strage

martedì 13 marzo 2012

Segreti di Stato e omertà - Paolo Scartozzoni: la delegazione MAE

Qualche mese prima che Enrico De Simone giungesse a Caracas, avevo domandato alla dott.ssa Ornella Scarpellini, rappresentante del Ministero degli Esteri (italiano): “il diritto non è cultura ?” (Auditorium della scuola “Agustin Codazzi” - 10/03/2005). La funzionaria che aveva appena esposto le linee guida del suo ministero, mi aveva candidamente risposto: “No, il diritto non è cultura.”
La platea accolse silenziosamente l'asserzione.

Era passato da poco il carnevale, ma, evidentemente, per alcune istituzioni italiane il carnevale dura 365 giorni all'anno, specie se spalleggiate da un governo di pagliacci, tutto chiacchiere e distintivo. Chiacchiere e distintivo.
La mia domanda era necessariamente provocatoria, ma la risposta era da medio evo, o peggio, da età della pietra. 
Chissà cosa avrebbe risposto il signor Vivanco a quell'affermazione. Come se non bastasse, i rappresentanti istituzionali si proclamarono impotenti rispetto a quei delinquenti in grisaglia della giunta del Codazzi, nonostante il ministero elargisse un lauto assegno ogni anno al Codazzi. Dunque in assenza di un segreto di Stato, calava automaticamente l'omertà di Stato.
Come ho già scritto, eravamo senza contratto (a tempo determinato). Io avevo rischiato la pelle per un avvelenamento, che a quei tempi (ero ancora ingenuo) pensavo fosse stato un accidente. 

Serpente alchemico, rappresentazione plastica regime come sistema chiuso

Eppure, non potevamo accampare diritti, mentre quei signori venuti da Roma, degni rappresentanti della loro istituzione, dovevano dirci cosa fare in classe dato che avevano regalato la paritarietà a quella scuola...
Il giorno dopo mi assentai, avevo una reazione di schifo verso quella gente.
Che strumenti avevo per far valere i miei diritti?
Come potevo rivalermi nei confronti di quell'essere, perché uomo non si poteva chiamarlo, quella checca incravattata che aveva osato sbeffeggiami dal palco?