Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati
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sabato 10 ottobre 2015

Erich Fromm, capacità e dominio: la definizione del potere

Potere: si tratta di un termine che può assumere sul piano psicologico due significati molto diversi. Secondo Fromm, «uno è il possesso di un P. su qualcuno, la possibilità di dominarlo; l'altro significato è il possesso del P. di fare qualcosa, di essere capace. Quest'ultimo significato non ha nulla a che vedere con il dominare; esprime padronanza nel senso di capacità. Quando parliamo di impotenza, abbiamo in mente questo signi­ficato; non pensiamo alla persona che non riesce a dominare gli altri, ma alla persona che non è in grado di fare quello che vuole. Perciò il P. può significare una di queste due cose: dominio o capacità. Lungi dall'essere identiche, queste due qualità si escludono a vicenda. L'impotenza, usando il termine in riferimento non solo alla sfera sessuale, ma a tutte le sfere della potenzialità umana, dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui un individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare, e non prova alcuna brama di P. Il P, nel senso del dominare, è la perversione della capacità, proprio come il sadismo (v.) sessuale è la perversione dell'amore sessuale» (Fromm,_1963, p. 134).
Scrittori e opere - Storia e antologia della letteratura italiana, Marchese/Grillini

Nudo, acrilici su tavola 1996 - Gianluca Salvati

domenica 14 dicembre 2014

Arte contemporanea e mass media: "Tennista", olio su tela | Mass media e potere

Mass-media: "L'insieme delle tecniche contemporanee che permettono la produzione, trasmissione e diffusione di messaggi ad un pubblico vasto, eterogeneo, anonimo; in una forma che si caratterizza come pubblica, rapida e transitoria. I principali mezzi di comunicazione di massa sono oggi la stampa, la radio, la televisione, il cinema, il manifesto e tutti gli strumenti creati da una tecnologia avanzata che producono e diffondono messaggi su larga scala. Attorno agli anni Trenta, con il crescente sviluppo di cinema, radio, stampa, la comunicazione di massa si è imposta come problema sociale: se ne vede l'influenza nel campo della propaganda politica, della pubblicità, dell'educazione, ma se ne temono anche le conseguenze sul piano sociale e culturale. L'enorme corpo di ricerche realizzate negli Stati Uniti, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, soprattutto sul pubblico, sugli effetti, sul contenuto del mass-media, per lo più legate a fini pratici ed essenzialmente descrittive, testimoniano il timore e per l'azione condizionante e persuasiva di tali mezzi di comunicazione (di cui l'avvento delle dittature nazista e fascista sembrava essere frutto) e per il possibile livellamento dei comportamenti e dei gusti nelle società libere industrializzate. negli anni Cinquanta e Settanta si è imposto un diverso approccio allo studio di questi problemi: soprattutto in Europa si pone in primo piano l'interesse per la dimensione culturale della comunicazione di massa (cultura di massa); ancora oggi, si può dire aperto il dibattito tra chi vede nella civiltà dei mass-media, unilaterale e etero-diretta, l'imporsi di valori e modelli di comportamento alienanti. e frustranti [...] e chi invece considera la società di massa come luogo e momento di massima partecipazione socio-politico-culturale [...] Ma se è indubbio che i mass-media sono un grosso strumento di controllo sociale è però difficile stabilire quanto questo sia in se stesso più forte se esercitato attraverso il canale dei mass-media o attraverso quelli tradizionali. In altre parole i mezzi di comunicazione di massa agiscono in una società già emarginata ed alienata: le funzioni di facilitare l'integrazione e di imporre valori quali il successo, la competizione, il guadagno, sono già efficacemente svolte da agenzie di socializzazione quali la famiglia o la scuola" (Caporello, in D'Amato-Porro, 1985 pp.124-26)


Tennista, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


venerdì 21 novembre 2014

Federico Garcia Lorca, "Cielo vivo" | Pittura figurativa contemporanea: "Bimbi e gallo", olio su tela di Enrico Cajati


Cielo vivo
Non potrò lamentarmi

se non ho trovato quel che cercavo.

Vicino alle pietre senza succo e agli uccelli  vuoti

non vedrò il lutto del sole con le creature in carne viva.


Ma andrò al primo paesaggio

di colpi, liquidi e rumori

che penetra un bambino appena nato

e dove ogni superficie è evitata,

per capire che quello che cerco avrà il suo centro d'allegria

quando volerò mescolato all'amore e alle arene.


Lì non giunge la brina degli occhi spenti

né il muggito dell'albero assassinato dai bruchi.

Lì tutte le forme hanno intrecciate

una sola espressione frenetica di slancio.


Non puoi avanzare negli sciami di corolle

perché l'aria dissolve i tuoi denti di zucchero

né puoi accarezzare la fugace foglia della felce

senza provare lo stupore definitivo dell'avorio.


Là sotto le radici e nel midollo del vento

si comprende la verità delle cose equivocate,

il nuotatore di nickel che spia l'onda più fine

e la mandria di vacche notturne con rosse zampe di donna.


Non potrò lamentarmi

se non ho trovato quello che cercavo:

ma andrò al primo paesaggio d'umidità e di ululati

per comprendere che quello che cerco avrà il suo centro d'allegria

quando volerò mescolato all'amore e alle arene.



Volo fresco di sempre sopra letti vuoti,

sopra gruppi di brezze e di barche arenate.

Passo vacillando la dura eternità fissa
e amore senz'alba. Amore. Amore visibile!

Cielo vivo, Federico Garcia Lorca

Bimbi e gallo, olio su tela - Enrico Cajati

venerdì 4 luglio 2014

Spazio Arte: mostra collettiva | Sei artisti napoletani

Nell'ottobre 1999, tenemmo una mostra collettiva presso l'associazione Spazio Arte di via Costantinopoli. Non era la prima mostra collettiva che organizzavamo, ma in quell'occasione sembrava dovessimo fare le cose per bene: per la prima volta ci presentavamo come gruppo e lo attestavamo con un pieghevole di fattura assai fine. Il gruppo originario era formato, oltre a me, da Paolo Mamone Capria, Alessandro Papari e Paolo La Motta, cui si aggiungevano Fabiana Minieri, ragazza del Papari e Francesco Verio, figlio d'arte.
C'era già stata un'altra collettiva poco prima delle vacanze estive, ma, benché fossi stato invitato, non vi partecipai.
Paolo Mamone Capria, pittore e teorico del gruppo, nonché valente critico d'arte, per la collettiva di ottobre aveva licenziato un testo di presentazione piuttosto vivace. Il gallerista prese le distanze da quelle affermazioni: "Non mi tirate in mezzo!". E non aveva tutti i torti: quel testo era inedito anche per me che conoscevo il critico già da qualche anno. Ma non mi dispiaceva l'accenno polemico al sistema (massonico) dell'arte contemporanea, dunque lo controfirmavo in toto.


Spazio Arte, collettiva - Sei artisti napoletani

domenica 26 gennaio 2014

La performance arboricola di Piero Golia nei giardini di Arte Fiera a Torino

TORINO - L'artista concettuale Piero Golia, si è imbarcato in una mirabolante performance in anteprima mondiale nei giardini di Arte Fiera a Torino. 
Gli ospiti, poche centinaia di eletti, hanno potuto ammirare l'agilità e la scioltezza di membra che hanno permesso a Piero Golia di salire sin quasi alla cima dell'albero di palma (ben 7 metri di altezza!).
A quel punto, come il prete sul pulpito, Piero Golia si è lanciato in una petizione pubblica per l'acquisto di un suo lavoro. E sì che in tempi di crisi bisogna pensarle proprio tutte!
La scintillante prova ascensionale, unita a una patetica, a dir poco, richiesta da postulante, ha provocato nei presenti profonde riflessioni sul significato ultimo dell'esistenza.
Questa patente dimostrazione delle lodevoli risorse concettuali di Piero Golia, spazza ogni dubbio sul suo essere artista totale.
Nel onemanshow di Torino, egli ritrova alcuni tratti stilistici che hanno già caratterizzato la sua opera prima (Napoli 1997); anche in quel caso il Nostro esprimeva il disagio e la confusione esistenziale che lo contraddistinguono tramite un sonoro, registrazione della propria voce personale, rimandato all'infinito...
La performance arboricola di Piero Golia rimanda il fruitore al lontano passato della specie umana. Passato che, in alcune persone particolarmente sensibili, ritorna come un mantra, con la potenza del mito, risuonando come un monito alla costante distruzione dell'ecosistema del pianeta Terra.
Salutiamo le istanze ecologiste derivanti da un gesto così oltraggiosamente agitato da un Piero Golia sopra le righe.
Piero Golia: l'arboricolo - biro su carta - Gianluca Salvati

sabato 9 novembre 2013

Brigate rosse e mafia | L'affaire Moro - Leonardo Sciascia

Le Brigate rosse funzionano perfettamente: ma (e il ma ci vuole) sono italiane. Sono una cosa nostra, quali che siano gli addentellati che possono avere con sette rivoluzionarie o servizi segreti di altri paesi. E non che si voglia qui avanzare il sospetto di un rap­porto, se non fortuito e da individuo a individuo, con l'altra « cosa nostra» di più antica e provata efficien­za: ma analogie tra le due cose ce ne sono. Le Brigate rosse avranno studiato ogni possibile manuale di guer­riglia, ma nella loro organizzazione e nelle loro azioni c'è qualcosa che appartiene al manuale non scritto della mafia. Qualcosa di casalingo, pur nella precisio­ne ed efficienza. Qualcosa che è riconoscibile più co­me trasposizione di regola mafiosa che come esecu­zione di regola rivoluzionaria. Per esempio: l'azzop­pamento - che è trasposizione dello sgarrettamento del bestiame praticato dalla mafia rurale. Per esem­pio: il sistema per incutere omertà e sollecitare pro­tezione o complicità; sistema in cui ha minima parte la corruzione, una certa parte la minaccia diretta, ma è quasi sempre affidato al far sapere che non c'è delazione o collaborazione di cui loro non siano infor­mati. Il sistema, insomma, di ingenerare sfiducia nei pubblici poteri e di rendere l'invisibile presenza del mafioso (o del brigatista) più pressante e temibile di quella del visibile carabiniere. Per esempio: la mici­diale attenzione dedicata al personale di vigilanza delle carceri e che tende a stabilire, dentro le carceri, il privilegio del detenuto rivoluzionario così come vi si è da tempo stabilito il privilegio del detenuto mafioso (e non si creda che il mafioso se ne sia avvalso soltan­to nel senso della comodità: molto prima che dei po­litici, la concezione del carcere come luogo di prose­litismo, di aggregazione, di scuola, è stata dei mafiosi). E al di là di queste analogie, fino a un certo punto oggettive, nella coscienza popolare se ne è affermata un'altra: che come la mafia si fonda ed è parte di una certa gestione del potere, di un modo di gestire il po­tere, così le Brigate rosse. Da ciò quella che può appa­rire indifferenza: ed è invece la distaccata attenzione dello spettatore a una pièce che già conosce, che ri­vede in replica, che segue senza la tensione del come va a finire ed è soltanto intento a cogliere la diversità di qualche dettaglio nelle scene e nell'umore degli attori. Ed è facile sentir dire, e specialmente in Si­cilia, che questa delle Brigate rosse è tutta una storia come quella di Giuliano: e ci si riferisce a tutte quel­le acquiescenze e complicità dei pubblici poteri che i siciliani conoscevano ancor prima che diventassero ri­sultanze (queste sì, risultanze) nel famoso processo di Viterbo. Atteggiamento che si può anche disappro­vare, non poggiando su dati di fatto; ma che trova giustificazione in quel distico di Trilussa che dice la gente non fidarsi più della campana poiché conosce quello che la suona.
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia - edizioni Sellerio

Senza titolo, olio su tela - Gianluca Salvati - 1995

martedì 5 novembre 2013

Dialettica e verità | Vito Mancuso su Florensky

"Ho cercato di comprendere la struttura del mondo con una continua dialettica del pensiero".
Dialettica vuol dire movimento, pensiero vivo, perché "il pensiero vivo è per forza dialettico", mentre il pensiero che non si muove è quello morto dell'ideologia, che, nella versione religiosa, si chiama dogmatismo.
Il pensiero si muove se è sostenuto da intelligenza, libertà interiore e soprattutto amore per la verità, qualità avverse a ogni assolutismo e abbastanza rare anche nella religiosità tradizionale. [...] La sua lezione spirituale è piuttosto un'altra: la fede non è un assoluto, è relativa, relativa alla ricerca della verità. Quando la fede non si comprende più come via verso qualcosa di più grande ma si assolutizza, si fossilizza in dogmatismo e tradisce la verità.
La dialettica elevata a chiave del reale si chiama antinomia, concetto decisivo per Florensky che significa "scontro tra due leggi" entrambe legittime. L'antinomia si ottiene guardando la vita, che ha motivi per dire che ha un senso e altri opposti. Di solito gli uomini scelgono una prospettiva perché tenerle entrambe è lacerante, ma così mutilano l'esperienza integrale della realtà. Ne viene che ciò che i più ritengono la verità, è solo un polo della verità integrale, per attingere la quale occorre il coraggio di muoversi andando dalla propria prospettiva verso il suo contrario. Conservando la propria verità e insieme comprendendone il contrario, si entra nell'antinomia.
"La verità è antinomica è non può non essere tale".
Vito Mancuso

Enza, acrilico su tavola - Gianluca Salvati - 1996

lunedì 4 novembre 2013

Lourdes: culto delle rocce nel Medioevo | Arte paleolitica e romanico | Sopravvivenze e risvegli formali - Focillon

Una tradizione può essere una forza viva, rinnovata dai bisogni spirituali delle generazioni, arricchita dalle esperienze, modellata dal tempo. Essa può d'altronde, presentarsi come un deposito o come un rufiuto che le età si trasmettono per inerzia. In questo senso si può veramente dire che essa è passiva anche quando la lussureggiante vegetazione dei miti la avvolge. Spesso incontriamo nella storia dell'arte tradizioni di questa natura, in particolare nella trasmissione delle forme dalla preistoria e dall'antichità al Medioevo. Queste forme, definite con vivace nitidezza e come impresse in una materia molto dura, attraversano il tempo senza esserne intaccate. Quello che può cambiare è il modo in cui vengono lette dalle generazioni, che vi riversano diversi tipi di contenuto, tanto che si può dire, capovolgendo un famoso verso: la forma rimane e la materia si perde - la "materia", ossia ciò che riempie la forma o ciò che la riveste. In altri termini, stabilità morfologica, instabilità semantica.
L'arte popolare ci offre più di un esempio di queste tradizioni passive. Si sa che si dà questo nome, del tutto provvisorio, a un complesso in cui entrano, in misura disuguale a seconda dei luoghi, una degenerazione di forme molto evolute, di forme "dotte", indurite e semplificate forse sotto l'influenza di tecniche rudimentali e, d'altra parte, una serie considerevole di temi geometrici, ai quali bisogna aggiungere certe immagini geometrizzate della vita animale. Tutta questa geometria viene dalla preistoria, risale al neolitico o almeno all'età del bronzo e questa genalogia è così saldamente stabilita che non è il caso di insistere.
[ ... ]  Ma la tradizione megalitica è ancora più curiosa. È inutile ricordare il numero e l'importanza delle pietre megalitiche, dolmens, cromlechs, menhirs così frequenti nell'Europa occidentale, in particolare nell' Armorica, il cui senso e la cui origine non sono ancora ben conosciu­ti. La toponomia ne' ha conservato il ricordo anche quando sono scomparse: le Pierrefitte, le Pierrelatte ab­bondano nel nostro paese. Una parvenza della tradizio­ne megalitica si ritrova nella vita religiosa. Salomon Rei­nach e Sébillol1haono dimostrato la lunga sopravviven­za del culto delle rocce e delle pietre nel Medioevo, tan­to che i concili dovettero condannarlo espressamente a più riprese: Arles (452), Tours (567), Nantes (658), To­ledo (681 e 682) e fino all'editto di Carlo Magno, alla fi­ne dell'VIII secolo (789). Si potrebbe credere che que­st'ultima data sia un termine: ufficialmente, canonica­mente, sì. Ma se la sopravvivenza cultuale si spegne, tut­tavia sussiste nell'immaginazione popolare qualche cosa in più di un vago ricordo. Anche quello strano cristiane­simo bretone, di cui Renan ci ha fatto conoscere così be­ne l'aspetto arcaico, è ricco di credenze poetiche che ri­guardano sorgenti e pietre. Allo stesso ordine di feno­meni appartiene la cristianizzazione dei megaliti [ ... ]. Il dolmen di Plouaret (Coste del nord) è stato trasformato in una cappella dedicata ai "sette santi". C'è di meglio: nella Charente, a Saint-Germain de Confolens, la tavola di pietra megalitica ha perso i suoi sostegni primitivi ed è sorretta da quattro colonne sormontate da capitelli 1ogori, probabilmente romanici. Il caso è singolare, per­ché vi si nota chiaramente uno sforzo cosciente di intro­durre in una struttura medievale un elemento megaliti­co conservato nella sua forma.
Ci si può chiedere se una tradizione così forte non ab­bia esercitato un'influenza diretta sulla decorazione e se la Bretagna, per esempio nel Medioevo, non porti nella sua scultura tracce del vecchio repertorio lineare, di cui i suoi antichi abitanti hanno fatto uso in certi tumuli o in certe allées couvertes. [ .. .] È stato suggerito che la ric­chezza del repertorio romanico dell'ovest e soprattutto del sudovest, dove abbondano combinazioni astratte, fosse probabilmente dovuta alla persistenza di una ispi­razione" celtica". Oggi è stato dimostrato che questi te­mi appartengono a un ampio fondo comune che, su tre o quattro motivi fondamentali, combina ovunque delle specie di fughe più o meno complesse, sulle quali si or­dinano le immagini stesse della vita.

Volto grigio, collage su cartone - Gianluca Salvati - 2008
È a tutt' altro ordine di fatti che appartengono certi paesaggi dipinti alla fine del Medioevo da maestri visio­nari che noi definiremmo volentieri paesaggi megalitici, se questo termine non risvegliasse l'idea di una filiazione sicuramente discutibile e anche inattendibile. Ma è inte­ressante vedere gli uomini di quell' epoca, alla vigilia stessa del suo declino, darei più o meno coscientemente un esempio di queste retrospettive, forse anche di quella nostalgia delle origini, potenti fattori nell' organizzazione interna della vita storica. [ .. .]
Il repertorio delle sopravvivenze potrebbe essere ar­ricchito da altri esempi, senza apportare elementi decisi­vi alla storia del Medioevo. Sono vestigia non rinnovate da nessuna esperienza, rifiuti del tempo che il tempo cancella a poco a poco. 

Arte paleolitica
[ .. .] L'arte paleolitica è quasi esclusivamente conosciut­a proprio per il primo di questi due aspetti. I dipinti degli sfondi delle grotte, le sculture scoperte negli stessi luoghi attestano notevoli qualità di osservazione e di movimento. Fin dai primi tempi della sua evoluzione, l'arte sembra in possesso dei suoi valori essenziali. Non si spingerà mai oltre nella rappresentazione della vita animale. Potrà mai ritrovare quello slancio e quella fre­schezza? L'uomo del paleolitico raffigura di getto, ma aiutato da una lunghissima familiarità, i compagni della sua vita, la renna solitaria o in branco, il bisonte nell'atto di caricare, il mammut saldo sui colossali pilastri del­le sue zampe. Anche il tratto dell'incisione su pietra, di una purezza rigida, dà alla forma l'agilità e il fascino di ciò che vive. La scultura ha la bellezza del peso, la pre­cisione dei volumi, la qualità flessuosa e delicata del modello. [ ... ] Ma si commetterebbe un grave errore se, dietro a questo naturalismo pieno di forza e di fuoco, si lasciasse deliberatamente in ombra, nella stessa epoca, il ricco repertorio dell' ornatista. Si ha forse una certa tendenza a irrigidire le categorie, a vedere nell'arte paleolitica  solo la rappresentazione della vita e nella neolitica e nei diversi periodi dell'età del bronzo, soltanto l'abbondanza e la raffinatezza della decorazione astratta. Infatti questi due aspetti dell'attività creatrice sono più simultanei e paralleli che successivi. Ma ogni epoca della civiltà pone l'accento su uno di essi, senza rinun­ciare del tutto all'altro. Guardiamoci dall'essere vitti­me, su questo punto, di una concezione puramente li­neare e schematica dell'evoluzione. In ogni caso, la maggior parte dei temi caratteristici della pietra levigata e del bronzo appare fin dall'epoca precedente: spirali, cerchi, spine di pesce, scaglioni, ecc., come testimonia­no i ritrovamentl fatti nelle grotte della regione del Pi­renei, in particolare nei pressi di Lourdes. Così si può dire che un' arte si giustappone a un' altra. Ma, fra le due, vi è scambio e comunicazione? Dal punto di vista morfologico puro, è forse così che bisogna interpretare i misteriosi segni tettiformi che improntano, con una composizione di triangoli, rappresentazioni perfettamente fedeli della vita animale, ma che restano in superficie, senza essere incorporate, senza intervenire, co­me fattore di stile, nella struttura dell' animale. In un certo numero di oggetti, il fenomeno è del tutto diver­so. Non si tratta più di una sovrapposizione pura e semplice: la forma viva tende a sottoporsi alle sue leggi o piuttosto, per adottare una definizione più generale, cessa di bastare a se stessa, collabora a un certo effetto decorativo, traendo profitto dalla forma del suo supporto.. D'altra parte, tutto ciò che nell'essere vivente può prestarsi a essere astratto diventa fonte di nuovi sviluppi. Da qui raggiungiamo, attraverso i tempi, il principio stesso dello "stile animale" della Russia meridionale. Non è perché gli sciti e gli artisti dell'età della pietra sono stati gli uni e gli altri grandi animalisti che è possibile accostarli, ma perché sono entrambi abili, almeno in certi casi, a comporre la forma secondo esigenze che oltrepassavano i limiti dell'osservazione stessa. [ ... ]
Dopo essere risaliti alle origini, sarebbe interessante fare lo stesso percorso in senso inverso, seguire lo sviluppo continuo dello "stile animale" attraverso periodi più vicino a noi, vederlo oscillare dall'adattamento rigoroso alla funzione [ ... ], alla pura fantasia ornamentale [ ... ], dall'arido schematismo degli orafi barbari alla imponente monumentalità degli scultori romanici. Ma questa vita cangiante delle forme, che le tecniche rinnovano e diversificano, ondeggia sempre intorno allo stesso principio, a cui non mente mai. Mostrandoci le prime applicazioni durante il periodo paleolitico, la preistoria non annuncia solo l'arte iraniana della Russia meridionale, essa riguarda tutto il Medioevo.
I percorsi delle forme, Maddalena Mazzocut-Mis

lunedì 21 ottobre 2013

Comunione e Liberazione: la compagnia degli "affari loro" a Milano e dintorni - Curzio Maltese | Enrico Cajati, "Natura morta"

[...] La destra blatera di tolleranza zero, ma non si accorge di governare da due decenni la capitale europea della cocaina. Come l'ha definita uno scienziato serio, Silvio Garattini, analisi di laboratorio alla mano: sei milioni di dosi spacciate ogni anno, oltre qindicimila al giorno. Non solo nelle discoteche, ma anche nei ristoranti, negli uffici, per strada.
La Lega è così radicata nel territorio, da armare ronde contro i poveracci, senza accorgersi che chi comanda l'esercito di spacciatori, affitta ai clandestini, traffica in armi e appalti sono i capi della 'ndrangheta. Il severo cattolicesimo ambrosiano, che non manca una messa la domenica, e neppure un affare dal lunedì in poi, finge di non sapere da dove arrivano i capitali per finanziare le imprese, la colata di cemento, la corsa all'oro nella quale sguazzano fra gli altri i compagnucci di Comunione e Liberazione.
Curzio Maltese (LaRepubblica 6/8/2010)

Enrico Cajati, Natura morta, olio su tela

sabato 25 maggio 2013

Chiesa e libertà di insegnamento: elogio dell'ignoranza | Mail art: In che mondo viviamo

Libertà di insegnamento: è uno dei principi fondamentali della concezione liberale della scuola e della cultura accolto nel nostro ordinamento repubblicano. La libertà d'insegnamento fu una conquista dello stato liberale ottocentesco: essa si propone di educare il cittadino al confronto delle opinioni, ad applicare anche nello studio lo spirito critico, ad apprezzare i vantaggi intellettuali del pluralismo ideologico e politico.
L'espressione, nel suo significato letterale, designa la libertà riconosciuta all'insegnante di esprimere le proprie convinzioni scientifiche, ideologiche ed anche politiche, purché non obblighi nessuno a seguirle e si preoccupi anzi di illustrare il ventaglio delle convinzioni diverse esistenti intorno ai medesimi argomenti. La libertà d'insegnamento trova la sua appropriata collocazione nel quadro di un insegnamento non nozionistico bensì problematico, fondato più su attività di effettiva ricerca che sulla prevalenza della facoltà mnemonica.
La posizione dello Stato liberale italiano dell'Ottocento dovette difendersi dagli attacchi della Chiesa cattolica che, dopo aver condannato nel Sillabo degli errori del nostro tempo (1864) tutte le libertà moderne (quelle di culto, di parola, di stampa e di coscienza), attaccò la libertà di insegnamento nell'enciclica De libertate humana (1888) di Leone XIII (il papa che ha fondato la banca vaticana, attuale Ior, ndr).
Scrittori e opere - Dizionario di letteratura, arte, cinema e scienze umane, Marchese/Grillini. La Nuova Italia

In che mondo viviamo, mail art, 2 giugno 2011 - Gianluca Salvati

domenica 23 settembre 2012

L'affaire Moro - Leonardo Sciascia | Lo Stato italiano e i poteri forti

È come se un moribondo si alzasse dal letto, balzasse ad attaccarsi al lampadario come Tarzan alle liane, si lanciasse alla finestra saltando, sano e guizzante, sulla strada. Lo Stato italiano è resuscitato. Lo Stato italiano è vivo, forte, sicuro e duro. Da un secolo, da più che un secolo, convive con la mafia siciliana, con la camorra napoletana, (con la 'ndrangheta calabrese, ndr) col banditismo sardo. Da trent'anni coltiva la corruzione e l'incompetenza, disperde il denaro pubblico in fiumi e rivoli di impunite malversazioni e frodi. Da dieci tranquillamente accetta quella che De Gaulle chiamò - al momento di farla finire - "la ricreazione": scuole occupate e devastate, violenza dei giovani tra loro e verso gli insegnanti. Ma ora, di fronte a Moro prigioniero delle Brigate rosse, lo Stato italiano si leva forte e solenne. Chi osa dubitare della sua forza, della sua solennità? Nessuno deve aver dubbio: e tanto meno Moro, nella "prigione del popolo".
"Lo Stato italiano forte coi deboli e debole coi forti", aveva detto Nenni. Chi sono i deboli oggi? Moro, la moglie e i figli di Moro, coloro che pensano lo Stato avrebbe dovuto e dovrebbe essere forte coi forti.
[...] Sono di fronte due stalinismi: e chiamo per una più attuale comodità stalinismo una cosa molto più antica, "la cosa" da sempre gestita sull'intelligenza e il sentimento degli uomini, a spremerne dolore e sangue, da alcuni uomini non umani. O meglio: sono di fronte le due metà di una stessa cosa, della "cosa"; e lentamente e inesorabilemente si avvicinano a schiacciare l'uomo che ci sta in mezzo. Lo stalinismo consapevole, apertamente violento e spietato delle Brigate rosse che uccide senza processo i servitori del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali, ndr) e con processo i dirigenti; e lo stalinismo subdolo e sottile che sulle persone e sui fatti opera come sui palinsesti: raschiando quel che prima si leggeva e riscrivendolo per come al momento serve.
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia (Sellerio editore)

Human, collage su carta dic. 2004 Caracas - Gianluca Salvati

martedì 15 maggio 2012

Lo scandalo della P2, la loggia infame | La legge Spadolini sulle "logge coperte"

Nel processo di restaurazione tradizionale e di definizione di un'identità consona ai tempi nuovi non ha certamente giovato alla Massoneria italiana la vicenda della P2 che, per quanto la si possa interpretare come una “deviazione”, ha comunque messo in luce anche per gli stessi affiliati la presenza nell'Ordine di uno spregiudicato settore affaristico e addirittura eversivo. In ogni caso la reputazione della Massoneria ne è uscita fortemente compromessa, nonostante il Grande Oriente si sia adeguato alle disposizioni della cosiddetta “legge Spadolini sulla P2” (1982) che ha vietato, con quella incriminata, le logge “coperte”, e preteso che siano accessibili le liste degli affiliati.

Giovanni Spadolini, partito repubblicano

martedì 13 marzo 2012

Segreti di Stato e omertà - Paolo Scartozzoni: la delegazione MAE

Qualche mese prima che Enrico De Simone giungesse a Caracas, avevo domandato alla dott.ssa Ornella Scarpellini, rappresentante del Ministero degli Esteri (italiano): “il diritto non è cultura ?” (Auditorium della scuola “Agustin Codazzi” - 10/03/2005). La funzionaria che aveva appena esposto le linee guida del suo ministero, mi aveva candidamente risposto: “No, il diritto non è cultura.”
La platea accolse silenziosamente l'asserzione.

Era passato da poco il carnevale, ma, evidentemente, per alcune istituzioni italiane il carnevale dura 365 giorni all'anno, specie se spalleggiate da un governo di pagliacci, tutto chiacchiere e distintivo. Chiacchiere e distintivo.
La mia domanda era necessariamente provocatoria, ma la risposta era da medio evo, o peggio, da età della pietra. 
Chissà cosa avrebbe risposto il signor Vivanco a quell'affermazione. Come se non bastasse, i rappresentanti istituzionali si proclamarono impotenti rispetto a quei delinquenti in grisaglia della giunta del Codazzi, nonostante il ministero elargisse un lauto assegno ogni anno al Codazzi. Dunque in assenza di un segreto di Stato, calava automaticamente l'omertà di Stato.
Come ho già scritto, eravamo senza contratto (a tempo determinato). Io avevo rischiato la pelle per un avvelenamento, che a quei tempi (ero ancora ingenuo) pensavo fosse stato un accidente. 

Serpente alchemico, rappresentazione plastica regime come sistema chiuso

Eppure, non potevamo accampare diritti, mentre quei signori venuti da Roma, degni rappresentanti della loro istituzione, dovevano dirci cosa fare in classe dato che avevano regalato la paritarietà a quella scuola...
Il giorno dopo mi assentai, avevo una reazione di schifo verso quella gente.
Che strumenti avevo per far valere i miei diritti?
Come potevo rivalermi nei confronti di quell'essere, perché uomo non si poteva chiamarlo, quella checca incravattata che aveva osato sbeffeggiami dal palco?