Una tradizione può essere una forza viva, rinnovata dai bisogni spirituali delle generazioni, arricchita dalle esperienze, modellata dal tempo. Essa può d'altronde, presentarsi come un deposito o come un rufiuto che le età si trasmettono per inerzia. In questo senso si può veramente dire che essa è passiva anche quando la lussureggiante vegetazione dei miti la avvolge. Spesso incontriamo nella storia dell'arte tradizioni di questa natura, in particolare nella trasmissione delle forme dalla preistoria e dall'antichità al Medioevo. Queste forme, definite con vivace nitidezza e come impresse in una materia molto dura, attraversano il tempo senza esserne intaccate. Quello che può cambiare è il modo in cui vengono lette dalle generazioni, che vi riversano diversi tipi di contenuto, tanto che si può dire, capovolgendo un famoso verso: la forma rimane e la materia si perde - la "materia", ossia ciò che riempie la forma o ciò che la riveste. In altri termini, stabilità morfologica, instabilità semantica.
L'arte popolare ci offre più di un esempio di queste tradizioni passive. Si sa che si dà questo nome, del tutto provvisorio, a un complesso in cui entrano, in misura disuguale a seconda dei luoghi, una degenerazione di forme molto evolute, di forme "dotte", indurite e semplificate forse sotto l'influenza di tecniche rudimentali e, d'altra parte, una serie considerevole di temi geometrici, ai quali bisogna aggiungere certe immagini geometrizzate della vita animale. Tutta questa geometria viene dalla preistoria, risale al neolitico o almeno all'età del bronzo e questa genalogia è così saldamente stabilita che non è il caso di insistere.
[ ... ] Ma la tradizione megalitica è ancora più curiosa. È inutile ricordare il numero e l'importanza delle pietre megalitiche, dolmens, cromlechs, menhirs così frequenti nell'Europa occidentale, in particolare nell' Armorica, il cui senso e la cui origine non sono ancora ben conosciuti. La toponomia ne' ha conservato il ricordo anche quando sono scomparse: le Pierrefitte, le Pierrelatte abbondano nel nostro paese. Una parvenza della tradizione megalitica si ritrova nella vita religiosa. Salomon Reinach e Sébillol1haono dimostrato la lunga sopravvivenza del culto delle rocce e delle pietre nel Medioevo, tanto che i concili dovettero condannarlo espressamente a più riprese: Arles (452), Tours (567), Nantes (658), Toledo (681 e 682) e fino all'editto di Carlo Magno, alla fine dell'VIII secolo (789). Si potrebbe credere che quest'ultima data sia un termine: ufficialmente, canonicamente, sì. Ma se la sopravvivenza cultuale si spegne, tuttavia sussiste nell'immaginazione popolare qualche cosa in più di un vago ricordo. Anche quello strano cristianesimo bretone, di cui Renan ci ha fatto conoscere così bene l'aspetto arcaico, è ricco di credenze poetiche che riguardano sorgenti e pietre. Allo stesso ordine di fenomeni appartiene la cristianizzazione dei megaliti [ ... ]. Il dolmen di Plouaret (Coste del nord) è stato trasformato in una cappella dedicata ai "sette santi". C'è di meglio: nella Charente, a Saint-Germain de Confolens, la tavola di pietra megalitica ha perso i suoi sostegni primitivi ed è sorretta da quattro colonne sormontate da capitelli 1ogori, probabilmente romanici. Il caso è singolare, perché vi si nota chiaramente uno sforzo cosciente di introdurre in una struttura medievale un elemento megalitico conservato nella sua forma.
Ci si può chiedere se una tradizione così forte non abbia esercitato un'influenza diretta sulla decorazione e se la Bretagna, per esempio nel Medioevo, non porti nella sua scultura tracce del vecchio repertorio lineare, di cui i suoi antichi abitanti hanno fatto uso in certi tumuli o in certe allées couvertes. [ .. .] È stato suggerito che la ricchezza del repertorio romanico dell'ovest e soprattutto del sudovest, dove abbondano combinazioni astratte, fosse probabilmente dovuta alla persistenza di una ispirazione" celtica". Oggi è stato dimostrato che questi temi appartengono a un ampio fondo comune che, su tre o quattro motivi fondamentali, combina ovunque delle specie di fughe più o meno complesse, sulle quali si ordinano le immagini stesse della vita.
L'arte popolare ci offre più di un esempio di queste tradizioni passive. Si sa che si dà questo nome, del tutto provvisorio, a un complesso in cui entrano, in misura disuguale a seconda dei luoghi, una degenerazione di forme molto evolute, di forme "dotte", indurite e semplificate forse sotto l'influenza di tecniche rudimentali e, d'altra parte, una serie considerevole di temi geometrici, ai quali bisogna aggiungere certe immagini geometrizzate della vita animale. Tutta questa geometria viene dalla preistoria, risale al neolitico o almeno all'età del bronzo e questa genalogia è così saldamente stabilita che non è il caso di insistere.
[ ... ] Ma la tradizione megalitica è ancora più curiosa. È inutile ricordare il numero e l'importanza delle pietre megalitiche, dolmens, cromlechs, menhirs così frequenti nell'Europa occidentale, in particolare nell' Armorica, il cui senso e la cui origine non sono ancora ben conosciuti. La toponomia ne' ha conservato il ricordo anche quando sono scomparse: le Pierrefitte, le Pierrelatte abbondano nel nostro paese. Una parvenza della tradizione megalitica si ritrova nella vita religiosa. Salomon Reinach e Sébillol1haono dimostrato la lunga sopravvivenza del culto delle rocce e delle pietre nel Medioevo, tanto che i concili dovettero condannarlo espressamente a più riprese: Arles (452), Tours (567), Nantes (658), Toledo (681 e 682) e fino all'editto di Carlo Magno, alla fine dell'VIII secolo (789). Si potrebbe credere che quest'ultima data sia un termine: ufficialmente, canonicamente, sì. Ma se la sopravvivenza cultuale si spegne, tuttavia sussiste nell'immaginazione popolare qualche cosa in più di un vago ricordo. Anche quello strano cristianesimo bretone, di cui Renan ci ha fatto conoscere così bene l'aspetto arcaico, è ricco di credenze poetiche che riguardano sorgenti e pietre. Allo stesso ordine di fenomeni appartiene la cristianizzazione dei megaliti [ ... ]. Il dolmen di Plouaret (Coste del nord) è stato trasformato in una cappella dedicata ai "sette santi". C'è di meglio: nella Charente, a Saint-Germain de Confolens, la tavola di pietra megalitica ha perso i suoi sostegni primitivi ed è sorretta da quattro colonne sormontate da capitelli 1ogori, probabilmente romanici. Il caso è singolare, perché vi si nota chiaramente uno sforzo cosciente di introdurre in una struttura medievale un elemento megalitico conservato nella sua forma.
Ci si può chiedere se una tradizione così forte non abbia esercitato un'influenza diretta sulla decorazione e se la Bretagna, per esempio nel Medioevo, non porti nella sua scultura tracce del vecchio repertorio lineare, di cui i suoi antichi abitanti hanno fatto uso in certi tumuli o in certe allées couvertes. [ .. .] È stato suggerito che la ricchezza del repertorio romanico dell'ovest e soprattutto del sudovest, dove abbondano combinazioni astratte, fosse probabilmente dovuta alla persistenza di una ispirazione" celtica". Oggi è stato dimostrato che questi temi appartengono a un ampio fondo comune che, su tre o quattro motivi fondamentali, combina ovunque delle specie di fughe più o meno complesse, sulle quali si ordinano le immagini stesse della vita.
Volto grigio, collage su cartone - Gianluca Salvati - 2008 |
È a tutt' altro ordine di fatti che appartengono certi paesaggi dipinti alla fine del Medioevo da maestri visionari che noi definiremmo volentieri paesaggi megalitici, se questo termine non risvegliasse l'idea di una filiazione sicuramente discutibile e anche inattendibile. Ma è interessante vedere gli uomini di quell' epoca, alla vigilia stessa del suo declino, darei più o meno coscientemente un esempio di queste retrospettive, forse anche di quella nostalgia delle origini, potenti fattori nell' organizzazione interna della vita storica. [ .. .]
Il repertorio delle sopravvivenze potrebbe essere arricchito da altri esempi, senza apportare elementi decisivi alla storia del Medioevo. Sono vestigia non rinnovate da nessuna esperienza, rifiuti del tempo che il tempo cancella a poco a poco.
Arte paleolitica
[ .. .] L'arte paleolitica è quasi esclusivamente conosciuta proprio per il primo di questi due aspetti. I dipinti degli sfondi delle grotte, le sculture scoperte negli stessi luoghi attestano notevoli qualità di osservazione e di movimento. Fin dai primi tempi della sua evoluzione, l'arte sembra in possesso dei suoi valori essenziali. Non si spingerà mai oltre nella rappresentazione della vita animale. Potrà mai ritrovare quello slancio e quella freschezza? L'uomo del paleolitico raffigura di getto, ma aiutato da una lunghissima familiarità, i compagni della sua vita, la renna solitaria o in branco, il bisonte nell'atto di caricare, il mammut saldo sui colossali pilastri delle sue zampe. Anche il tratto dell'incisione su pietra, di una purezza rigida, dà alla forma l'agilità e il fascino di ciò che vive. La scultura ha la bellezza del peso, la precisione dei volumi, la qualità flessuosa e delicata del modello. [ ... ] Ma si commetterebbe un grave errore se, dietro a questo naturalismo pieno di forza e di fuoco, si lasciasse deliberatamente in ombra, nella stessa epoca, il ricco repertorio dell' ornatista. Si ha forse una certa tendenza a irrigidire le categorie, a vedere nell'arte paleolitica solo la rappresentazione della vita e nella neolitica e nei diversi periodi dell'età del bronzo, soltanto l'abbondanza e la raffinatezza della decorazione astratta. Infatti questi due aspetti dell'attività creatrice sono più simultanei e paralleli che successivi. Ma ogni epoca della civiltà pone l'accento su uno di essi, senza rinunciare del tutto all'altro. Guardiamoci dall'essere vittime, su questo punto, di una concezione puramente lineare e schematica dell'evoluzione. In ogni caso, la maggior parte dei temi caratteristici della pietra levigata e del bronzo appare fin dall'epoca precedente: spirali, cerchi, spine di pesce, scaglioni, ecc., come testimoniano i ritrovamentl fatti nelle grotte della regione del Pirenei, in particolare nei pressi di Lourdes. Così si può dire che un' arte si giustappone a un' altra. Ma, fra le due, vi è scambio e comunicazione? Dal punto di vista morfologico puro, è forse così che bisogna interpretare i misteriosi segni tettiformi che improntano, con una composizione di triangoli, rappresentazioni perfettamente fedeli della vita animale, ma che restano in superficie, senza essere incorporate, senza intervenire, come fattore di stile, nella struttura dell' animale. In un certo numero di oggetti, il fenomeno è del tutto diverso. Non si tratta più di una sovrapposizione pura e semplice: la forma viva tende a sottoporsi alle sue leggi o piuttosto, per adottare una definizione più generale, cessa di bastare a se stessa, collabora a un certo effetto decorativo, traendo profitto dalla forma del suo supporto.. D'altra parte, tutto ciò che nell'essere vivente può prestarsi a essere astratto diventa fonte di nuovi sviluppi. Da qui raggiungiamo, attraverso i tempi, il principio stesso dello "stile animale" della Russia meridionale. Non è perché gli sciti e gli artisti dell'età della pietra sono stati gli uni e gli altri grandi animalisti che è possibile accostarli, ma perché sono entrambi abili, almeno in certi casi, a comporre la forma secondo esigenze che oltrepassavano i limiti dell'osservazione stessa. [ ... ]
Dopo essere risaliti alle origini, sarebbe interessante fare lo stesso percorso in senso inverso, seguire lo sviluppo continuo dello "stile animale" attraverso periodi più vicino a noi, vederlo oscillare dall'adattamento rigoroso alla funzione [ ... ], alla pura fantasia ornamentale [ ... ], dall'arido schematismo degli orafi barbari alla imponente monumentalità degli scultori romanici. Ma questa vita cangiante delle forme, che le tecniche rinnovano e diversificano, ondeggia sempre intorno allo stesso principio, a cui non mente mai. Mostrandoci le prime applicazioni durante il periodo paleolitico, la preistoria non annuncia solo l'arte iraniana della Russia meridionale, essa riguarda tutto il Medioevo.
I percorsi delle forme, Maddalena Mazzocut-Mis