Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati
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domenica 26 ottobre 2014

Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi | "Il grande smascheratore" e la separazione fra Stato e Chiesa

Paolo V fece appello alla Spagna e alla Francia. Ma la Spagna sovente aveva respinto gli editti papali, ed Enrico IV di Francia era riconoscente a Venezia. Tuttavia, Enrico inviò a Venezia il giudizioso cardinale de Joyeuse, il quale studiò le formule atte a salvare la faccia dei contendenti. I preti furono consegnati all'ambasciatore francese, il quale si affrettò a consegnarli a Roma; il Senato rifiutò di abrogare le leggi contestate, ma (sperando nell'aiuto del papa contro i Turchi) promise che la Repubblica si sarebbe "comportata secondo la sua abituale devozione". Il papa sospese le sue censure, e Joyeuse dette l'assoluzione agli scomunicati. "Le rivendicazioni di Paolo V", dice uno storico cattolico, "erano di carattere troppo medievale per potere essere accolte." Fu questa l'ultima volta che un intero Stato fu sottoposto all'interdetto.
Il 5 ottobre 1607, Paolo Sarpi fu assalito da sicari, che lo lasciarono per morto. Guarì e si dice abbia osservato, in un epigramma troppo bello per essere vero: "Agnosco stilum curiae Romanae" (Stilus voleva dire in origine un ferro appuntito, quindi una punta di ferro adoperata per scrivere sulle tavolette, quindi una penna, quindi un modo di scrivere. Il diminutivo stiletto significava sia un arnese per incidere, sia un pugnaletto). 

5° non uccidere

I sicari trovarono asilo e lode negli Stati pontifici. Da allora in poi Sarpi visse tranquillo nel suo chiostro, servendo messa ogni giorno; ma quanto al suo stilus non rimase in ozio. Nel 1619 pubblicò, sotto uno pseudonimo e presso una casa londinese, la sua Istoria del Concilio Tridentino, voluminoso atto d'accusa contro il Concilio di Trento. Compì della Riforma una narrazione affatto protestante, e condannò il Concilio per aver reso insanabile lo scisma, cedendo completamente ai papi. Il mondo protestante accolse entusuasticamente il libro, e Milton chiamò il suo autore "il grande smascheratore". I gesuiti incaricarono un dotto studioso del loro ordine, Sforza Pallavicino, di scrivere un'anti-Istoria (1656-64), che denunciava, emulandoli, il partito preso e le inesattezze di Sarpi. Nonostante la loro tendenziosità, quei due libri segnarono un progresso nella raccolta e nell'impiego di documenti originali, e l'ampio sommario di Sarpi possedeva, in più, il pericoloso richiamo di un'eloquenza impetuosa. Molto in anticipo sul suo tempo, egli reclamò una separazione totale della Chiesa e dello Stato.
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

venerdì 19 settembre 2014

Bibliae pauperum: la Chiesa e la propaganda per immagini | Piero Adorno, storia dell'arte

È vero che non tutti erano d'accordo sulla presenza nei luoghi sacri di questi strani animali; lo dice chiaramente San Bernardo di Chiaravalle (1091-1159): "cosa ci stanno a fare [...] queste immonde scimmie, questi feroci leoni, questi esseri semiumani?" Ma la voce di San Bernardo è isolata. Questi esseri, appunto perché non reali o non usuali nella nostra vita, assumono meglio il ruolo di simboli attraverso i quali possiamo trarre la lezione che la Chiesa vuole impartire.
Per ragioni analoghe anche quando si affronta un tema testamentario non lo si vede storicamente, ma leggendariamente: deve avere il potere suggestivo della favola, non dimostrare razionalmente, ma investire la sfera dell'inconscio, commovendo, incitando, impaurendo. L'immagine, più dello scritto, più della parola, attira l'attenzione: il fedele, mentre ascoltava la voce del sacerdote, vedeva queste figurazioni e imparava. Per questo la chiesa cristiana occidentale, malgrado l'opinione opposta dell'Oriente, sfociata, fra l'VIII e il IX secolo, nell'iconoclastia, ossia nella distruzione anche fisica dell'immagine, ha invece sempre accettato la figurazione, anzi l'ha incoraggiata, come mezzo propagandistico della fede. Si vengono costituendo così, in scultura o in pittura, dei repertori figurativi, ripetuti più volte in varie parti d'Europa, vasti poemi visivi, detti, come abbiamo già avuto occasione di precisare, Bibliae pauperum, contrapposte ai testi sacri decifrabili soltanto dai pochi che sapevano leggere, i dotti.
 
Piero Adorno
Bibliae paupareum - La Chiesa e l'uso dele immagini a fini propagandistici

sabato 23 novembre 2013

Aldo Moro e papa Montini, Paolo VI | L'affaire Moro, Leonardo Sciascia

A lenire la lacerazione della Democrazia Cristiana, interviene Paolo VI: qualche ora prima che scada l'ul­timatum delle Brigate rosse e con una lettera che la radio vaticana diffonde e i giornali riproducono in autografo l'indomani. Lettera che sembra di alto sen­tire cristiano: solo che vi si cela, nell'esortazione agli uomini delle Brigate a liberare Moro «semplicemen­te, senza condizioni», una specie di confermazione - e sarebbe da dire tout court cresima - della Demo­crazia Cristiana in quella sua dichiarata «indefettibi­le fedeltà allo Stato».

Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini
Nella «prigione del popolo», a Moro non sfugge quel che alla generalità degli italiani, commossi dal­l'inginocchiarsi del papa davanti ai brigatisti, non ap­pare: che Paolo VI ha più «senso dello Stato» di quanto abbia dimostrato di averne il principe Ponia­towski, ministro degli Interni dello Stato francese, che in tempi non lontani aveva dichiarato ammissibile il principio di trattare coi terroristi per evitare il sa­crificio «della vita umana innocente». Vale a dire che la pensava esattamente come Moro: né si può dire che lo Stato francese non sia Stato; lo è con tutti i sacramenti, è il caso di dire. I sacramenti che fanno Stato uno Stato; e magari in abbondanza.
E tenterà, Moro, di convincere il papa: «In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente mi permetto sottoporre al S. Padre) non solo a chi è dall'altra parte, ma anche a chi rischia l'uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all'uomo comune come me». E in una delle ultime lettere, meno umil­mente farà notare come nell'atteggiamento della San­ta Sede nei riguardi del suo caso ci sia una modifica di precedenti posizioni e un rinnegamento di tutta una tradizione umanitaria. «È una cosa orribile, indegna della S. Sede ... Non so se Poletti (il cardinale Poletti) può rettificare questa enormità in contraddizione con altri modi di comportarsi della S. Sede»: e certamente pensa all'offrirsi del papa, qualche mese prima, come ostaggio ai terroristi tedeschi che minacciavano la strage dei passeggeri di un aereo, a Mogadiscio. Offerta che allora apparve senza senso della realtà: ma veniva dall'unica realtà che un papa può ritrovare e celebrare, nell'assistere inerme e come sconfitto al ribollire della violenza.
Come era prevedibile, l'appello del papa passa come acqua sulle pietre; e la comunicazione della De­mocrazia Cristiana di aver dato incarico alla Carità di cercare «possibili vie» è considerata dalle Brigate rosse tutt'altro che chiara e definitiva (comunicato numero otto del 24 aprile).
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia (Sellerio editore)

sabato 25 maggio 2013

Chiesa e libertà di insegnamento: elogio dell'ignoranza | Mail art: In che mondo viviamo

Libertà di insegnamento: è uno dei principi fondamentali della concezione liberale della scuola e della cultura accolto nel nostro ordinamento repubblicano. La libertà d'insegnamento fu una conquista dello stato liberale ottocentesco: essa si propone di educare il cittadino al confronto delle opinioni, ad applicare anche nello studio lo spirito critico, ad apprezzare i vantaggi intellettuali del pluralismo ideologico e politico.
L'espressione, nel suo significato letterale, designa la libertà riconosciuta all'insegnante di esprimere le proprie convinzioni scientifiche, ideologiche ed anche politiche, purché non obblighi nessuno a seguirle e si preoccupi anzi di illustrare il ventaglio delle convinzioni diverse esistenti intorno ai medesimi argomenti. La libertà d'insegnamento trova la sua appropriata collocazione nel quadro di un insegnamento non nozionistico bensì problematico, fondato più su attività di effettiva ricerca che sulla prevalenza della facoltà mnemonica.
La posizione dello Stato liberale italiano dell'Ottocento dovette difendersi dagli attacchi della Chiesa cattolica che, dopo aver condannato nel Sillabo degli errori del nostro tempo (1864) tutte le libertà moderne (quelle di culto, di parola, di stampa e di coscienza), attaccò la libertà di insegnamento nell'enciclica De libertate humana (1888) di Leone XIII (il papa che ha fondato la banca vaticana, attuale Ior, ndr).
Scrittori e opere - Dizionario di letteratura, arte, cinema e scienze umane, Marchese/Grillini. La Nuova Italia

In che mondo viviamo, mail art, 2 giugno 2011 - Gianluca Salvati

lunedì 16 aprile 2012

Don Luigi Sturzo e la politica italiana | Chiesa & mafia

Non ho molta simpatia per i preti. Sorrido quando sento parlare di preti anarchici. Rabbrividisco quando si parla di preti antimafia. Mafia e Chiesa vanno a braccetto, sono le due facce di una stessa medaglia. 
Non ho mai sentito di una presa di posizione della Chiesa contro i mafiosi, che so una scomunica. Altrettanto dicasi per le varie dittature in cui la Chiesa ha sempre trovato il proprio “spazio”, una su tutte quella argentina della seconda metà degli anni settanta.
Questo è il Paese del Vaticano e i preti ce li propongono in tutte le salse. Non voglio dire che fra di essi non ce ne siano di buoni, ma solo ricordare che l'impunità e l'ipocrisia sono una costante per la Chiesa. Per pochi elementi validi ce n'è un esercito ben asservito e omertoso al giusto grado. 
Inoltre, pur considerando tutto il buono che può esserci in questa istituzione, bisogna ammettere che sovente è il peggio a prevalere: la feccia è più funzionale ai sistemi.
Detto ciò, don Luigi Sturzo risalta dal grigiore della politica italiana del novecento: una figura fuori dall'ordinario. Capace di scelte coraggiose come pochi, dato che a chiacchiere siamo tutti bravi e capaci, ma nei fatti pochi sono all'altezza delle aspettative. 
Don Luigi Sturzo è un vero combattente.

don Luigi Sturzo

Don Luigi Sturzo - “Gli uomini che fecero l'Italia” di Giovanni Spadolini

Giovanni Spadolini lo ricordava così: “In nessuno come in don Sturzo, i vent'anni dell'esperienza totalitaria avevano scavato un solco, che aveva coinciso con una vera e propria trasformazione. Il sacerdote che aveva dovuto lasciare l'Italia su consiglio dello stesso Vaticano, il leader del partito popolare che aveva subito la sconfessione della Curia all'indomani del congresso di Torino, l'apostolo della democrazia cattolica che aveva provato il morso della solitudine e l'amarezza degli abbandoni, era tornato dalla vita dell'esilio con un animus nuovo, con un senso nuovo della libertà e della tolleranza, con una nuova concezione dei “diritti dell'uomo” capace di dissolvere tutte le antiche pregiudiziali guelfe e teocratiche.
[…] Noi ricordiamo con estrema precisione lo sbarco di Sturzo a Napoli, in una mattinata insolitamente livida, piovigginosa, del settembre 1946. Ma l'Italia che il gran vecchio ritrovava era profondamente diversa da quella che egli aveva lasciato, sotto l'incubo della dittatura, in una mattinata non meno malinconica del 1924. Solo allora; quasi altrettanto solo oggi. A riceverlo su quel molo del porto partenopeo, c'erano si i vecchi amici, gli antichi compagni di cordata, quelli che non avevano tradito durante la dittatura, i “popolari” tutti di un pezzo altrettanto parchi di parole quanto fermi nella fedeltà ai valori della democrazia e della libertà; ma nessun suono di fanfare, nessun fasto di cerimoniale che del resto l'uomo non avrebbe mai tollerato.
Chiuso nel suo grande segreto, il semplice prete – che neppure un rappresentante ufficiale della Santa Sede avrebbe accolto al porto di Napoli – si preparava a riprendere la battaglia di sempre per la libertà forzatamente interrotta, a servire ancora una volta, con discrezione di politico e con fede di apostolo, la sua causa, cioè la sua Chiesa.
[…] Quando si saprà interamente, e un giorno pur di saprà, la vera storia di quell'“operazione” impropriamente chiamata “Sturzo”, si vedrà quanto il vecchio fondatore del partito popolare abbia operato in piena coerenza con le premesse programmatiche dell' “appello ai liberi e ai forti”, si sia ispirato a una sostanziale unità di intenti e di spiriti con l'uomo da cui pur lo dividevano tante valutazioni, intendiamo dire con Alcide De Gasperi.” 
Giovanni Spadolini, Gli uomini che fecero l'Italia


Norberto Bobbio, olio su tela - Gianluca Salvati 1999