Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati
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lunedì 6 luglio 2015

Diablos Danzante: sincretismo dal Venezuela

Una delle feste più pittoresche del Venezuela è caratterizzata dalla presenza di diavoli impersonati da danzatori che indossano maschere mostruose. La danza può passare da un movimento in doppia fila sul genere di certe danze cerimoniali a spasmodiche contorsioni accompagnate dal ritmo dei tamburi. paradossalmente i diavoli danzanti si riversano nelle strade in uno dei giorni più sacri del calendario cattolico, il Corpus Domini che si cellebra in onore dell'Eucarestia.
La cerimonia simboleggia la lotta tra il bene e il male con il trionfo definitivo del primo. A prescindere dal carattere profano delle loro danze, i diavoli a un certo punto si radunano sul sagrato della chiesa per ricevere l'Eucarestia, sono poi benedetti dal sacerdote e a questo punto riprendono le loro danze sfrenate.
L'avvenimento ha un aspetto e un significato in cui magia e religione si confondono. La gente del luogo crede che il rituale della danza assicurerà raccolti abbondanti, salute, prosperità e protezione contro la sfortuna e i disastri naturali. Per i diavoli la danza è la loro religione.
In termini generali i Diablos Danzantes sono il frutto dell'incontro avvenuto tra la tradizione africana e quella spagnola. La festa affonda le radici in Spagna, nell'Andalusia medievale, dove alla festa del Corpus Domini apparivano immagini e maschere di diavoli. Quando, in epoca coloniale, la festa fu portata nel Nuovo Mondo dai missionari spagnoli, trovò un terreno fertile tra gli schiavi negri, i quali interpretarono a modo loro la religione cattolica. Felici di indossare le tradizionali maschere della loro terra natia, essi danzavano al ritmo familiare dei tamburi. Alcuni studiosi hanno visto in tutto ciò un atto di protesta della comunità nera contro il dio bianco, simbolo dell'oppressione e della crudeltà spagnole. Qualunque fosse la ragione, il profano e il divino progressivamente si fusero e, alla fine, produssero uno straordinario rituale derivato dallo scambio delle due culture.
Le origini africane della cerimonia sono evidentissime, anche se le danze oggi non sono eseguite esclusivamente da neri. Le danze del diavolo sono sopravvissute solo nelle zone che hanno per tradizione una consistente popolazione nera. Alcune delle maschere moderne sono simili a quelle dei paesi dell'Africa occidentale quali il Congo, il Benin e la Nigeria. E gli strumenti d'accompagnamento solitamente impiegati sono il tamburo e le maracas, sebbene in alcune zone sia usato anche il cuatro (piccola chitarra a quattro corde).
Le città e i villaggi in cui oggi sono eseguite le danze del diavolo sono Naiguatà (Vargas), Cata, Chuao, Cuyaga, Ocumare de la Costa e Turiamo (Aragua), Canoabo, Guacara, Los Caneyes, Patanemoe Tocuyito (Carabobo), Tinaquillo (Cojedes) e San Francisco de Yare (Miranda). Tutte queste località si trovano nella zona che fu testimone della più massiccia importazione di schiavi africani. Le celebrazioni di Chuao e di San Francisco de Yare sono le più note del paese, così come le loro maschere.

Le danze, le maschere e i costumi di ogni comunità si sono evoluti con forme e caratteristiche distinte. Anche se le maschere di oggi sono fatte quasi sempre di papier-maché, esistono notevoli diferenze da una città a un'altra. Quelle di San Francisco de Yare, per esempio, sono grandi, elaborate e dipinte vivacemente di quasi tutti i colori dell'arcobaleno; raffigurano demoni con le corna, mostri, animali fantastici e così via. A Chuao sono invece più piccole e più modeste; sono dipinte essenzialmente di tre colori - bianco, nero e rosso - e presentano chiare similitudini con le maschere del Congo.
Lonely Planet Venezuela - Dai Caraibi alla Ande (ed. sett. 2001)

Diablos danzente de Yare

sabato 12 ottobre 2013

Storie dell'altro mondo | Guido Brigli e Rai international | La cricca Codazzi & rete Globovision

Durante il primo mese di lavoro al Codazzi, si presentò in classe un tipo con la telecamera professionale nel bel mezzo di una lezione. Costui era un cameramen della televisione italiana, la vecchia e mai troppo rimpianta Radio Televisione Italiana, Rai. Mi chiese se poteva fare riprese ed io non gli risposi favorevolmente... oddio, proprio non ricordo cosa gli avessi risposto, ma il cameramen non si sentì il benvenuto nella mia classe, infatti non lo era. Allora si affacciò dall'uscio della classe un tipo dal volto oblungo, ben vestito e pettinato, che si presentò come il capo della Giunta Direttiva del Codazzi, Guido Brigli. 

Mi disse che il tipo che si autoinvitava era il cameramen della Rai, rai international, per la precisione. Mi chiese se poteva entrare a fare delle riprese in classe. Non ero ancora molto convinto, ma come potevo rifiutarmi a quello che si presentava come il capo della baracca? Dunque acconsentii, senza sentirmi in dovere di fare gli onori di casa. Quindi ignorai l'addetto che scrutava e registrava col suo apparecchio. Gli alunni fecero altrettanto, continuando a lavorare come se nulla fosse accaduto.
A ripensarci, avrei potuto obiettare che non potevano presentarsi di punto in bianco e che avrebbero dovuto almeno avvisarmi prima. Giusto per stopparli, perché come avrei imparato in seguito, quella gente proprio non aveva idea di cosa fosse il rispetto altrui...
 
Ad ogni modo, cosa cercava di dimostrare quell'emerita testa di cazzo di Guido Brigli? 
Che loro, quelli della cricca Codazzi, oltre ad essere ben vestiti e pettinati, disponevano anche di un certo potere? Stava forse cercando d'impressionarmi, quel burattino incravattato?

Tempo dopo ho scoperto che alcuni elementi della Giunta del Codazzi, meglio conosciuti come escualidos, erano i proprietari della rete televisiva Globovision, tristemente rinomata per aver istigato, nel 2002, i cittadini venezuelani alla sovversione. Da ricerche fatte per risalire al nome del capo di quella televisione, non risulta il nome italiano che conoscevo, per cui credo che il padrone ufficiale sia un volgarissimo prestanome. Il vero proprietario, un'altra faccia di cazzo della cricca Codazzi abita proprio a due passi da Globovision, due centinaia di metri più su della scuola "Agustin Codazzi".

lunedì 18 febbraio 2013

La Voce d'Italia, Caracas | Carlo Fermi e Vartan Puiguian: giovani professionisti a Caracas

Secondo i diretti interessati - specie giovani laureati, professionisti e imprenditori – tanti vantaggi oscurano le note negative del Paese latino-americano

CARACAS – Un’inchiesta sulle ragioni che rendono il Venezuela punto di approdo sempre più gradito a coloro che ancora oggi emigrano dall’Italia viene pubblicata nel numero odierno del quotidiano italo-venezuelano La Voce d’Italia. Il Paese latino-americano – si legge - “sembra aver spalancato le porte a questi giovani pionieri stanchi di bussare a sempre nuove porte, stanchi di pregare per un impiego e di lavorare per sopravvivere”. L’Italia infatti sembra non offrire, specie ai più giovani, le condizioni di vita sperate e la possibilità di intraprendere e percorrere la propria strada, soprattutto dal punto di vista lavorativo.

Proprio ai giovani emigrati - professionisti, imprenditori, insegnanti di italiano, tirocinanti presso ambasciate e consolati – La Voce d’Italia ha domandato i punti di forza e di debolezza del Paese che hanno scelto come patria d’adozione e i motivi che hanno determinato la decisione di restarvi. Emerge il quadro di una realtà ricca di spazi, opportunità e mobilità, che accoglie tanti stranieri. Gli italiani affermano che abbandonarsi ai paragoni con l’Italia è sbagliato, che occorre pensare che si tratta di un diverso Paese, con pregi e difetti, per viverci bene. Del resto, è già numerosa la presenza della locale comunità italiana, verso cui i venezuelani nutrono grande rispetto.

Tra gli intervistati, Vartan Puiguian, 31 anni, laureato in lingua e cultura italiana, oggi direttore didattico dell’Istituto Italiano di Cultura a Caracas, il quale ammette di non voler tornare in Italia: “dal mio punto di vista la Penisola è ferma e non ha nulla da offrire. Non vi tornerei – aggiunge - nè per le relazioni sociali, nè per quelle personali. Qui viene dato più spazio al cittadino e se uno vuole, riesce a fare ciò che si prefigge”. Unico lato negativo “lo stress estremo del vivere quotidiano – afferma Vartan – che rende tuttavia ogni risultato una battaglia vinta”.

Una forte attrazione esercitano le condizioni politiche e sociali del Venezuela: Elvira Rizzo, 46 anni, a Caracas da un anno, afferma, per esempio, di essere venuta qui “per imparare da questo Paese, per essere parte delle innovazioni politiche, dentro al movimento bolivariano”. Elvira è laureata in filosofia e lavora come professoressa di italiano nel Colegio Bolívar y Garibaldi. Interesse analogo emerge dalle parole dei tirocinanti del progetto promosso dal Mae e dal Consiglio delle Università italiane, che testano sulla propria pelle le vita delle sedi consolari e diplomatiche all’estero: “ho scelto il Venezuela perché volevo vedere da vicino i successi della rivoluzione bolivariana di Chavez, dato che i principali media europei ne parlano in modo negativo– afferma Fabrizio, laureato in scienze diplomatiche; Alessia, mentre approfondisce la sua formazione in relazioni internazionali, conferma di trovare “affascinate la situazione politico-sociale locale”.

Numerosi sono anche gli imprenditori che hanno scelto il Venezuela come contesto professionale, magari dopo un breve viaggio turistico. Tra gli intervistati, Guglielmo Cruciani, 39 anni, di Roma, arrivato in Venezuela come turista nel 1991, oggi rappresentante nel paese latino-americano delle società italiane del settore salute che qui esportano i loro prodotti. Guglielmo è molto critico nei confronti del suo Paese: “in Italia lavori per sopravvivere. Anche  solo, - aggiunge - con un superstipendio di 3000 euro al mese, non ce la fai. Il Venezuela, invece, ti dà opportunità che non ci sono in Europa. Nonostante tutte le critiche, economicamente parlando è un paese florido, ricco di opportunità e di risorse”.

Carlo Fermi, 29 anni, laureato in economia all’Università Bocconi, oggi è il responsabile della filiale in Venezuela dell’impresa FTC che esporta macchinari e materiali nel settore agroalimentare. E’ arrivato in Venezuela quattro anni fa per incontrarsi con un amico e visitare il Paese. “Sono sempre stato in cerca di nuove esperienze all’estero, - dice - che reputo altamente formative sia dal punto di vista personale che professionale”. Del Venezuela “mi affascina l’attitudine sempre positiva della gente, - prosegue - ben distinta dal pessimismo che a volte domina la società dei paesi industrializzati”. Fra i dati negativi punta il dito sull’insicurezza, il poco rispetto dell’ambiente e, talvolta, la superficialità della gente.

Carlo Fermi, imprenditore italiano a Medellin, Colombia
Si arriva anche, completata la formazione universitaria, per costruirsi il proprio percorso professionale in un ambiente più stimolante e predisposto a incentivare la crescita personale. Fabio Serra, 28 anni, originario di Napoli, racconta di aver trovato lavoro su internet rispondendo ad un’offerta riguardante l’insegnamento della lingua italiana. “Qui ci sono tanti spazi vuoti dove potersi inserire e più che l’imprenditoria, – spiega Fabio – la fuga dall’Italia è dell’intelligencia.
Come me, tutti gli italiani immigrati riscontrano in Venezuela un bisogno di saperi ed un confronto impossibile da trovare in Italia. Qui emerge il valore alla conoscenza e il sapere ha un riscontro nel mercato del lavoro. Inoltre le persone cambiano spesso impiego creando un riciclo continuo ed una sempre nuova offerta di opportunità. Nel Belpaese questo non accade: c’è solo immobilità e concorrenza”
Anche Michele, un marchigiano di 29 anni, laureato in filosofia, conferma l’apertura del mercato del lavoro. “Una volta qui, in America Latina, ho ricevuto numerose offerte di lavoro interessanti - racconta. - Questo è molto gratificante per me in quanto, come molti giovani in Italia, ero stanco di bussare a tutte le porte, stanco di pregare per un impiego, stanco di lavorare gratis. Per questo consiglio a tutti i miei amici di andarsene dall’Italia”.

“Qui in Venezuela c’è più libertà rispetto all’Italia, - conclude Andrea, 33 anni, di Alessandria, una laurea in antropologia culturale. – E’ finalmente possibile non essere schiavi del lavoro e ritagliare del tempo per se stessi. E, cosa più importante, c’è rispetto per il lavoratore”.

Pubblicato da JOHNNY MARGIOTTA
Barbara Meo Evoli, Monica Vistali / La Voce D'Italia


What? stampa su carta dic. 2004, Caracas - Gianluca Salvati

domenica 23 settembre 2012

Piero Armenti - Premio Italia 2005, Caracas | Le Pharaon: autoritratto a la Che Guevara

Nel mese di giugno si inaugurò la mostra collettiva dei vincitori del premio Italia. Il premio era bandito dall'ambasciata italiana di Caracas con il nobile intento di divulgare l'ingegno italiano nel mondo, ecc. ecc...
Avevo inviato un lavoro per partecipare alle selezioni. La tela era Le Pharaon, autoritratto da moribondo. Dopo il natale del 2004, causa un avvelenamento, stavo per tirare le cuoia proprio lì, a Caracas. Il quadro l'avevo dipinto nei mesi successivi, in piena convalescenza.

Le Pharaon, olio su tela - Gianluca Salvati 2005

  Il lavoro era stato scartato e non sarebbe stato esposto alla mostra collettiva. La decisione della giuria era insindacabile ed io avevo abbastanza esperienza per comprendere i significati occulti di un'iniziativa a nome di un Paese notoriamente antimeritorio come l'Italia odierna. Anche se non c'erano motivi che mi portassero a credere a una prospettiva diversa lì a Caracas, mi recai all'inaugurazione sgomberando la mente da pregiudizi: magari mi apprestavo a scoprire dei veri talenti dell'arte...
All'evento c'era tutta la gente che contava, parlo dei connazionali, tutta un'Italia da esportazione. La selezione degli artisti del premio, a cura di Anna Grazia Greco, era piuttosto deprimente: una vomitevole pastetta. Quella esposizione diceva tanto sia sul livello culturale, sia sugli intrallazzi di chi selezionava. Ciononostante non mi sarei sognato di spendere una sola parola sul modo in cui certa gente sperpera il denaro pubblico: non sono affari miei.
Ho una regola molto semplice, ma efficace: vivi e lascia vivere.
Per questo stesso motivo divento intrattabile quando mi si pestano i piedi.

Il primo premio andò a un tipo che avrei definito un tappezziere pop. Costui si atteggiava a divo, pavoneggiandosi nel soprabito di pelle alla Matrix (lì ai tropici). I suoi lavori non erano dissimili da come egli stesso si presentava: una sorta di cuscini in similpelle con disegni manga. Cose trite e ritrite, ma il personaggio gongolava nel suo ruolo e si godeva i suoi 5 minuti scarsi di notorietà.


Premio Italia 2005 - Piero Armenti - L'intermezzo, il buttafuori | Paolo Scartozzoni, funzionario Mae

 Premio Italia '05 | Poco prima della presentazione dell'evento, il console e l'ambasciatore comunicavano fra loro piuttosto preoccupati, sembrava si stessero confessando... (In seguito ho capito che, essendo male informati, erano prevenuti proprio nei miei confronti).
Non passò molto tempo che mi si oscurò la luce: un bestione di buttafuori locale, una montagna, mi si parò davanti.
Mi parve un evento surreale...
Che cazzo significava?

Tempo addietro avevo criticato sia la delegazione interministeriale italiana capitanata dal guitto di regime, Paolo Scartozzoni, sia il console, nell'auditorium del Codazzi, la scuola dove insegnavo.
In quell'occasione avevo mosso delle precise critiche e molta della rabbia mi derivava dalla percezione di un qualche inganno, come un'avvisaglia di frode, a proposito di quell''accidente che mi stava stroncando pochi mesi prima e dalla consapevolezza che la mancanza di chiarezza celasse una situazione decisamente truffaldina. Di fatto, avevo perso decisamente perso la pazienza nei confronti di quella gente che sapeva solo pretendere...

Un cavaliere un po' stronzetto
Di fatto, non si capiva perché al 10 di marzo eravamo ancora senza contratto di lavoro, ed io, come se non bastasse, ero anche clandestino (ma questo lo scoprirò solo in seguito).
Non c'è dubbio che fu la voce della verità a parlare per me. Sono certo che allora nessuno di loro lo ignorasse. Intendo dire nessuno dei rappresentanti istituzionali, in particolare colui che più si comportò da stronzetto su quel palco. Indovinate di chi sto parlando (se avete bisogno di un indizio, vi dico che quello stronzetto è un decorato, un cavaliere per la precisione: un cavaliere un po' stronzetto)...

Tornando al console e all'ambasciatore quella sera del Premio Italia 2005, loro erano prevenuti nei miei confronti e non perché fossero persone malvage, al contrario, avendoli conosciuti entrambi ho capito che erano due persone a posto, ma quel giorno all'inaugurazione erano semplicemente male informati, dato che qualcuno stava spargendo, invano, diffamazione, dopo aver sparso, inutilmente, veleno...

Il profilo del tipo di persona di cui sto parlando è di qualcuno che sia accreditato presso le istituzioni, accreditato e con licenza di raccontare cazzate, beninteso, senza doverne rispondere.
Come qualcuno appartenente ai servizi segreti... una checca di regime, per intenderci.
Una fottuta checca del fottuto regime!

La cricca Codazzi: associazione culturale senza scopo di lucro e il conto cifrato su banca svizzera, Credit Suisse, filiale di Lugano | Il rintorno a scuola

Quando ritornai a scuola nel gennaio 2005, ero bianco come un lenzuolo (parole di chi mi vide), in pratica un fantasma: avevo avuto la maggior parte dei valori ematici vicini allo zero. O giù di lì, comunque sfasati. 
La scuola era un autentico formicaio, con quattro ordini di studio, dalla materna alle superiori: centinaia di persone poterono constatare le mie condizioni di salute durante l'usuale alzabandiera del mattino. Eppure, quando mossi le mie critiche a quei signori, non tirai in ballo l'avvelenamento, pensando che fosse stato un incidente privato ed ignoto agli altri. Ma quel trattamento, tra l'insolente e lo strafottente, da parte della gente per cui lavoravo, non lo riuscivo a digerire in nessun modo. Mentre la commissione si compiaceva di compartire la stessa visione del mondo di quell'onorata associazione del Codazzi: quattro delinquenti patentati. Quei signori si definivano associazione culturale senza fini di lucro, dimenticando l'aspetto più interessante della loro congrega, ovvero il conto cifrato su banca Svizzera, Credit Suisse, (filiale di Lugano). 
A quelli della commissione ministeriale, quei quattro pagliacci in trasferta capitanati dal guitto di regime Paolo scartozzoni, gli dissi un po' di cose. Senza trascendere, dato che sono un signore.
Ma all'inaugurazione del Premio Italia, quella questione era per me bella e sepolta. 
Ero lì come semplice visitatore e la presenza intimidatoria di quel buttafuori era fuori luogo...
Di fatto qualcuno mi stava comunicando di avere la coda di paglia. 

Le soluzioni sbirresche sono spesso dei boomerang, specialmente quando sono così sproporzionate e sfacciatamente immotivate. Tante persone per bene stavano assistendo ad un pessimo spettacolo di abuso di potere, senza un casus che potesse giustificarlo. Anche la politica più bieca e infame deve fare i conti con questa realtà, specialmente quando cerca di darsi una patina di rispettabilità.

Fax-art, marzo 06, Caracas - Gianluca Salvati ©

Premio Italia 2005, Caracas | Piero Armenti & M. - Anna Grazia Greco

La sera successiva una collega con cui avevamo appuntamento, si tirava dietro quel barbone e ce lo presentò. Costui era Piero Armenti, un aspirante giornalista che si trovava in Venezuela da circa un anno per fare pratica. La nostra collega, M., era venuta in Venezuela nel mese di febbraio del 2005, quando la dirigente, Anna Grazia Greco, a metà anno scolastico, casualmente, si era resa conto che la scuola aveva bisogno di un'altra insegnante. Per pura coincidenza (aveva una possibilità su 3 milioni), M. si trovò ad abitare proprio vicino a questo giornalista. M. aveva avuto difficoltà a trovare casa: tutti i locatari da lei contattati, al momento di formalizzare i contratti, svanivano con delle scuse banali. Un bel mistero, frutto dellle arti magiche di certa diplomazia.