Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati
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sabato 10 ottobre 2015

L'agente segreto e l'Ambasciata di Joseph Conrad

L'usciere aprì la porta, e si fece da parte. I piedi di Mr. Verloc ebbero la sensazione di trovarsi su di uno spesso tappeto. La stanza era grande e aveva tre finestre; ed un giovanotto con un faccone sbarbato, seduto in un'ampia poltrona davanti ad una spaziosa scrivania di mogano, disse in francese al Cancelliere d'Ambasciata, che stava uscendo con dei documenti in mano.
"Hai proprio ragione, mon cher. È grasso - il bestione."
Mr.Vladimir, Primo Segretario, godeva nei salotti della fama di uomo piacevole e divertente. Il suo spirito consisteva nello scoprire buffi punti di contatto tra idee incongrue; e quando parlava in questa vena si sporgeva tutto in avanti sulla poltrona, con la mano sinistra sollevata, come per mostrare le sue spiritose dimostrazioni racchiuse tra il pollice e l'indice, mentre il faccione rotondo e ben rasato assumeva un'espressione di divertito imbarazzo.
Ma non c'era traccia di divertimento o di imbarazzo nel modo in cui guardava Mr. Verloc. Comodamente adagiato all'indietro sulla poltrona, con i gomiti allargati ad angolo retto, una gamba disinvoltamente accavallata sul ginocchio robusto, e quell'aspetto liscio e roseo, aveva l'aria di un bambinone cresciuto in modo abnorme che non ha la minima intenzione di tollerare sciocchezze da qualsiasi parte vengano.
"Lei capisce il francese, suppongo?", disse.
Mr. Verloc mise in chiaro con voce rauca che sì, lo capiva. Tutta la gran mole del suo corpo era inclinata in avanti. Stava in piedi sul tappeto nel mezzo della stanza, tenendo ben saldi il cappello e il bastone in una mano; mentre l'altra pendeva inerte lungo il fianco. Borbottò con molta discrezione qualcosa dal profondo della gola circa l'aver fatto il servizio militare nell'artiglieria francese. Subito, con dispregiativa malvagità, Mr. Vladimir cambiò lingua e cominciò a parlare in un inglese colloquiale senza la minima traccia di accento straniero.
"Ah, Sì. Naturalmente. Vediamo. Quanto vi hanno dato per aver sottratto il progetto del nuovo otturatore del loro cannone da campo?"
"Cinque anni di carcere duro in una fortezza." Rispose subito Mr. Verloc, senza mostrare peraltro alcun segno d'emozione.
"Ve la siete cavata facilmente", fu il commento di Mr. Vladimir. "E, comunque tanto peggio per voi che vi siete fatto prendere. Che cosa vi ha spinto a mettervi in questo genere di cose - eh?"
Si udì la voce roca di Mr. Verloc, quella col tono da conversazione, parlare di gioventù, di una infatuazione fatale per un'indegna...
"Ah, Cherchez la femme", Mr. Vladimir si degnò di interrompere, rigido e senza cortesia; piuttosto c'era in quella sua condiscendenza un tono di malignità. "Quanto tempo è che siete alle dipendenze di questa ambasciata?, chiese.
"Dall'epoca dell'ultimo barone Scott-Warteheim", rispose Mr. Verloc in tono sottomesso, atteggiando le labbra in segno di tristezza per il defunto diplomatico. Il Primo Segretario osservò freddamente questo gioco della fisionomia.
"Ah, da allora... Bene! Cosa avete da dire?", chiese, bruscamente.
Mr. Verloc rispose con una certa sorpresa che non gli risultava di avere da dire nulla in particolare. Era stato convocato con una lettera. E si affrettò ad infilare la mano nella tasca laterale del soprabito, ma davanti allo sguardo cinico e pieno di scherno di Mr. Vladimir, decise di lasciarla dove si trovava.
"Bah!", disse quest'ultimo. Che senso ha uscire in questo modo dal vostro stato? Non avete nemmeno il fisico della vostra professione. Voi - un membro del proletariato morto di fame. Mai! Voi - un disperato socialista o anarchico - quale dei due?"
"Anarchico", precisò Mr. Verloc in tono bassissimo.
"Fesserie!", continuò Mr. Vladimir senza alzare la voce. "Avete spaventato perfino il vecchio Wurmt. Non ingannereste un idiota. E sì che capita di incontrarne ogni tanto, ma voi siete semplicemente impossibile. Così avete iniziato i vostri rapporti con noi rubando i progetti del fucile francese? E vi siete fatto prendere. Deve essere stato molto spiacevole per il nostro Governo. Non avete l'aria di essere molto intelligente."
Mr. Verloc cercò di scusarsi a mezza voce.
"Come ho avuto modo di osservare prima, un'infatuazione fatale per un'indegna..."
Mr. Vladimir sollevò una manona bianca e grassoccia.
"Ah, sì. La sfortunata passione... della vostra gioventù. Si è presa il vostro denaro, e poi vi ha rivenduto alla polizia... o sbaglio?"
Il doloroso mutarsi della fisionomia di Mr. Verloc, l'abbandono per un attimo di tutta la sua persona, rivelarono che tale era stato il riprovevole caso. La mano di Mr. Verloc afferrò caviglia appoggiata al ginocchio. Il calzino era di seta blu scuro.
"Vedete, non è stato molto intelligente da parte vostra. Forse vi commuovete troppo facilmente."
Mr. Verloc con un mormorio soffocato della gola lasciò capire che non era più giovane.
"Oh! Quello è un difetto che l'età non guarisce", notò Mr. Vladimir con maligna familiarità. "Ma no! Siete troppo grasso per questo genere di cose. Non avreste potuto arrivare ad avere questo aspetto se foste stato in qualche modo vulnerabile. Ve lo dico io quello che ritengo sia il problema; voi siete un pigro. Quanto tempo è che spillate lo stipendio all'Ambasciata?"
"Undici anni", fu la risposta dopo un momento di riflessione cupa. "Sono stato incaricato di molte missioni a Londra mentre Sua Eccellenza il Barone Stott-Wartenheim era ancora ambasciatore a Parigi. Poi, secondo le istruzioni di Sua Eccellenza, mi sono stabilito a Londra. Io sono inglese."
"Davvero! Siete inglese?"
"Suddito di cittadinanza britannica", ribadì ostinatamente Mr. Verloc. Ma mio padre era francese, e così..."
"Non c'è bisogno di spiegazioni", interruppe l'altro. Foste stato un Maresciallo di Francia o un Membro del Parlamento in Inghilterra... allora, sì che almeno sareste stato di qualche utilità per l'Ambasciata."
Quel volo di fantasia produsse sul volto di Mr. Verloc qualcosa di molto simile a un debole sorriso. Ma Mr. Vladimir mantenne la sua imperturbabile severità.
"Ma, come ho già detto, siete un pigro; non sfruttate le occasioni. Al tempo del barone Stott-Wartenheim c'era una quantità di gente di poco cervello a dirigere l'Ambasciata. Sono stati loro ad indurre la gente come voi a farsi un'opinione sbagliata della natura dei capitali del servizio segreto. È mio compito correggere questo equivoco dicendovi quello che il servizio segreto non è. Non è un'istituzione filantropica. Vi abbiamo fatto chiamare apposta per dirvelo molto chiaramente."
L'agente segreto - Joseph Conrad

A fat man

domenica 8 marzo 2015

La cugina della mia donna e la stazione di Casablanca

A Casablanca avevo una donna che spesso veniva a dormire a casa mia. 
Sua cugina, una giovane insegnante di educazione fisica in un luogo sperduto del Marocco, tornava a Casablanca appena poteva, perché c'era più vita, così ci si vedeva spesso...
Si era nel mese di aprile  o forse di maggio, ma non oltre, e una sera che la mia donna si fermava da me, sua cugina mi chiese se poteva approfittare della mia ospitalità, dato che partiva all'indomani mattina.
Le risposi che andava bene. Senonché, la cugina si svegliò nel cuore della notte perchè aveva il treno che partiva a momenti. E voleva essere accompagnata alla stazione.
A quel punto mi arrabbiai. Che senso aveva partire a quell'ora. Tanto valeva partire prima, così non mi rompeva le scatole nel pieno della notte.
La mia donna trovò giuste le mie rimostranze e gliene disse un paio, del tipo che io all'indomani andavo al lavorare, non ero mica in vacanza...
Ad ogni modo, appena fui pronto l'accompagnai. Appena scendemmo in strada si avvicinò un taxi, uno dei soliti taxi rossi, ma in un modo così silenzioso che pareva pattinare sull'olio. 
A fianco all'autista c'era una donna, cosa assai curiosa per quell'ora. Pensai che il tipo del taxi si annoiasse a passare la notte da solo.
Per strada io e la cugina non ci scambiammo una parola: ero troppo arrabbiato e pieno di sonno per dialogare. E poi non era quello il modo di comportarsi...
Giunti alla stazione, piena di gente anche a quell'ora, la cugina scese e andò. Ma il taxi ci mise un po' troppo per ripartire e questo destò i miei sensi... I due avanti, il conducente e la compagna non parlavano, ma le loro occhiate erano piuttosto eloquenti.
Seguii lo sguardo di lei fuori dall'auto. Era diretto alla cugina della mia donna con troppa partecipazione. Guardai meglio e mi accorsi che la ragazza stava piangendo. 

Non era il caso di piangere per due critiche, tra l'altro motivate, pensai. 
La signora e l'autista, però, erano di un altro avviso: lei a quel punto cercò la cintura di sicurezza che fino a quel momento non aveva, e, nel prenderla, fece un gesto piuttosto enfatico che mi permise di guardarle bene le mani e poi il resto del volto e capire che quella seduta davanti a me non era una donna, bensì un travestito. 
La macchina ripartì, silenziosa come sempre, e i due non si scambiarono neanche un cenno.
Arrivai a destinazione, anche stavolta, sulle mie gambe.


Piazzale esterno della stazione ferroviaria di Casablanca - Marocco


sabato 16 febbraio 2013

“La spia che venne dal freddo” di John Le Carré | "Good - Piero Golia c'era"

Presentazione
Sotto lo pseudonimo di  John Le Carré, si cela un giovane diplomatico di trentacinque anni, che aveva già fatto parte del consolato britannico a Amburgo con il suo vero nome di David Cornell. Apparso nell'edizione originale inglese nel 1963, La spia che venne dal freddo ottenne subito un successo internazionale, raggiungendo in pochi mesi tirature sbalorditive, tanto più che i primi libri di Le Carré, come Chiamata per il morto, non si erano affatto distinti dai molti già scritti sul mondo delle spie.
Con i proventi del suo best seller, John Le Carré, che lavorava ancora a Whitehall, diede le dimissioni e si ritirò a Creta dove vive con la moglie e con i suoi tre bambini. Qui ha scritto Lo specchio delle spie, dove ha diretto la sua acuta osservazione su quel mondo marcescente del doppio gioco di informatori che contemporaneamente servono l'Unione Sovietica e l'Occidente.
I giudizi della stampa anglosassone si sono affrettati a confermare che, con La spia che venne dal freddo, John Le Carré aveva superato romanzi noti e acclarati come L'epitaffio per una spia di Eric Ambler, Ascendant di Somerset Maugham e l'Agente Confidenziale di Graham Greene. Tutti gli altri critici sono stati concordi nel riconoscere come l'orizzonte sino allora occupato da Jan Fleming e dal suo agente 007, quel Lancillotto dello judo e del karate e del letto che tutti abbiamo conosciuto, veniva rischiarato da una nuova luce. James Bond infatti rappresentava la classica mitologia fumettistica del superuomo divenuto agente speciale dopo l'inflazione dei detective privati. Gli altri “nostri uomini” dell'Avana e di Rio eccetera, rappresentavano nell'ipotesi migliore la poesia dello spionaggio, con una trama che avrebbe potuto esser stesa da Chateaubriand.
Alec Leamas, il protagonista della Spia che venne dal freddo, poi ritratto alla perfezione sullo schermo da Richard Burton, questo spione che puzza di cicche e di whisky e si trascina dietro le suole la stanchezza del proprio mestiere, era invece la realtà dello spionaggio e la realtà della guerra fredda. Di ammirevole non ha proprio niente, al di fuori dei suoi nervi inattaccabili, non si sa se perché ben tesi o completamente allentati, e delle sue continue invenzioni che lo trasformano veramente in quello che egli desidera essere in un momento preciso: bibliotecario, spia delusa, ubriacone, debitore moroso, spia venduta, intimo amico di una giovane comunista, compagno di discussione di un agente sovietico, e sempre conscio che le tentazioni incontrate, quale un vero amore ad esempio, oppure un atto di individuale volontà, possono trascinarlo al fallimento e far crollare la unica sua risorse: l'isolamento perpetuo nel mondo glaciale dello spionaggio, dove nessun gesto è veramente semplice né lo potrebbe essere, nessuna sincerità è ammessa, e se le debolezze sono tollerate, devono sempre avere una direzione prestabilita.
Probabilmente, il segreto del successo di John Le Carré è costituito da un semplice fatto: quello di rappresentare un uomo come potremmo essere anche noi se fossimo in grado di tollerare non la solitudine, perché questa riusciamo a sopportarla, e neppure l'isolamento. Anche l'isolamento, per quanto duro e prolungato, ne siamo sicuri, con qualche sforzo e con qualche trucco diventa un'abitudine oppure un modo di vita. Intollerabile, insopportabile e addirittura disumana è invece la mancanza di qualsiasi riconoscimento a chi compie atti di estremo valore e di grande coraggio, così il vuoto e il silenzio che accolgono chi non è più una pedina su una scacchiera anonima, ma quasi un protagonista di un intrigo internazionale. Per spiegarci meglio, sarebbe come chiedere a un attore, che ha recitato nella maniera più perfetta e grandiosa la parte più difficile al mondo, di rinunciare agli applausi.
E, ecco perché, gli applausi si scatenano inevitabilmente da parte di milioni di persone, quando il sipario viene abbassato sulla storia di questa spia.
Mario Monti

Good - Piero Golia c'era, olio su tela 2012 - Gianluca Salvati