Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati

domenica 23 settembre 2012

L'affaire Moro - Leonardo Sciascia | Lo Stato italiano e i poteri forti

È come se un moribondo si alzasse dal letto, balzasse ad attaccarsi al lampadario come Tarzan alle liane, si lanciasse alla finestra saltando, sano e guizzante, sulla strada. Lo Stato italiano è resuscitato. Lo Stato italiano è vivo, forte, sicuro e duro. Da un secolo, da più che un secolo, convive con la mafia siciliana, con la camorra napoletana, (con la 'ndrangheta calabrese, ndr) col banditismo sardo. Da trent'anni coltiva la corruzione e l'incompetenza, disperde il denaro pubblico in fiumi e rivoli di impunite malversazioni e frodi. Da dieci tranquillamente accetta quella che De Gaulle chiamò - al momento di farla finire - "la ricreazione": scuole occupate e devastate, violenza dei giovani tra loro e verso gli insegnanti. Ma ora, di fronte a Moro prigioniero delle Brigate rosse, lo Stato italiano si leva forte e solenne. Chi osa dubitare della sua forza, della sua solennità? Nessuno deve aver dubbio: e tanto meno Moro, nella "prigione del popolo".
"Lo Stato italiano forte coi deboli e debole coi forti", aveva detto Nenni. Chi sono i deboli oggi? Moro, la moglie e i figli di Moro, coloro che pensano lo Stato avrebbe dovuto e dovrebbe essere forte coi forti.
[...] Sono di fronte due stalinismi: e chiamo per una più attuale comodità stalinismo una cosa molto più antica, "la cosa" da sempre gestita sull'intelligenza e il sentimento degli uomini, a spremerne dolore e sangue, da alcuni uomini non umani. O meglio: sono di fronte le due metà di una stessa cosa, della "cosa"; e lentamente e inesorabilemente si avvicinano a schiacciare l'uomo che ci sta in mezzo. Lo stalinismo consapevole, apertamente violento e spietato delle Brigate rosse che uccide senza processo i servitori del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali, ndr) e con processo i dirigenti; e lo stalinismo subdolo e sottile che sulle persone e sui fatti opera come sui palinsesti: raschiando quel che prima si leggeva e riscrivendolo per come al momento serve.
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia (Sellerio editore)

Human, collage su carta dic. 2004 Caracas - Gianluca Salvati

domenica 16 settembre 2012

Aldo Moro vs Emilio Taviani | Dalle lettere di Aldo Moro - Leonardo Sciascia

L'inopinata uscita del senatore Taviani, ancora in questo momento per me incomprensibile e comunque da me giudicata, nelle condizioni in cui mi trovo, irrispettosa e provocatoria, m'induce a valutare un momento questo personaggio di più che trentennale appartenenza alla DC. Nei miei rilievi non c'è niente di personale, ma sono sospinto dallo stato di necessità. Quel che rilevo, espressione di un malcostume democristiano che dovrebbe essere corretto tutto nell'avviato rinnovamento del partito, è la rigorosa catalogazione di corrente. Di questa appartenenza Taviani è stato una vivente dimostrazione con virate così brusche e immotivate da lasciare stupefatti. Di matrice cattolica democratica Taviani è andato in giro per tutte le correnti, portandovi la sua indubbia efficienza, una grande larghezza di mezzi ed una certa spregiudicatezza.
[...] Erano i tempi in cui Taviani parlava di un appoggio tutto a destra, di un'intesa con il Movimento Sociale come formula risolutiva della crisi italiana. E noi che, da anni, lo ascoltavamo proporre altre cose, lo guardavamo stupiti, anche perché il partito della DC da tempo aveva bloccato anche le più modeste forme d'intesa con quel partito. Ma, mosso poi da realismo politico, l'on. Taviani si convinse che la salvezza non poteva venire che da uno spostamento verso il partito comunista. Ma al tempo in cui avvenne l'ultima elezione del presidente della Repubblica, il terrore del valore contaminante dei voti comunisti sulla mia persona (estranea, come sempre, alle contese) indusse lui e qualche altro personaggio del mio partito ad una sorta di quotidiana lotta all'uomo, fastidiosa per l'aspetto personale che pareva avere, tale da far sospettare eventuali interferenze di ambienti americani, perfettamente inutile, perché non vi era nessun accanito aspirante alla successione in colui che si voleva combattere. Nella sua lunga carriera politica che poi ha abbandonato di colpo senza una plausibile spiegazione, salvo che non sia per riservarsi a più alte responsabilità, Taviani ha ricoperto, dopo anche un breve periodo di segreteria del Partito senza però successo, i più diversi ed importanti incarichi ministeriali. Tra essi vanno segnalati per la loro importanza il ministero della Difesa e quelli dell'Interno, tenuti entrambi a lungo con tutti i complessi meccanismi, centri di potere e diramazioni segrete che essi comportano. A questo proposito si può ricordare che l'amm. Henke, divenuto capo del SID e poi capo di Stato Maggiore della Difesa, era una suo uomo che aveva a lungo collaborato con lui. L'importanza e la delicatezza dei molteplici uffici ricoperti può spiegarci il peso che egli ha avuto nel Partito e nella politica italiana, fino a quando è sembrato uscire di scena. In entrambi i delicati posti ricoperti ha avuto contatti diretti e fiduciari con il mondo americano. Vi è forse nel tener duro contro di me, una indicazione americana e tedesca?

La lettera arriva ai giornali nel pomeriggio del 10 aprile. La pubblicano tutti: evidentemente, il gusto di dar documento di un così drammatico dissidio in casa democristiana è superiore al ritegno censorio che, per "senso dello Stato", i giornali dicono di essersi imposto. La breve biografia che Moro traccia dell'onorevole Taviani diverte tutti. E magari erano cose che si sapevano già, ma dette da Moro assumono altro peso. Ed è superfluo dire che più di tutti si divertono le Brigate rosse. "Anticipiamo - scrivono nel comunicato numero cinque che accompagna il messaggio di Moro - tra le dichiarazioni che il prigioniero Moro sta facendo, quella imparziale ed incompleta, che riguarda il teppista di Stato Emilio Taviani.
[...] Effettualmente, mai Moro è stato così vicino alla sua immagine di sottile politicante, come in questa lettera contro Taviani. La smentita di Taviani gli ha dato amarezza, l'ha ancora di più sprofondato nella condizione di "uomo solo", ma al tempo stesso gli ha come amplificato il giuoco, gli ha offerto la possibilità di giuocare all'interno delle Brigate rosse: tra loro, senza parere, seminando il dubbio. E il veleno di questo dubbio è nella frase finale della lettera, nella domanda: "Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?". Può parere un corollario alla biografia politica di Taviani che sommariamente, ma con consumata malizia ha tracciato: e à la lettre lo è (Taviani è l'uomo degli americani, così come Henke era l'uomo di Taviani).
[...] E non è inquietante il sapere che l'uomo degli americani, "il teppista di Stato" Taviani, ha interesse a che Moro resti nella "prigione del popolo", e ci muoia, quanto i loro capi, i capi delle Brigate rosse?
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia (Sellerio editore)

La Propaganda

lunedì 27 agosto 2012

Consorterie: la camarilla del Codazzi - Gli "amici degli amici" | Piero Armenti & Guido Brigli

In Venezuela esiste una grandissima emergenza sanitaria

Paolo Scartozzoni a Caracas - marzo 2005
La Lombardia è pronta a dare il suo aiuto, ma è necessario fare un censimento per capire la vera portata del problema sanitario, includendo anche gli italiani senza cittadinanza.
di Piero Armenti - La Voce d´Italia -


CARACAS- Ë durata solo pochi giorni (dal 7 al 12 febbraio) la visita di Daniele Marconcini a Caracas, ma sono stati giorni intensissimi, di incontri fitti con esponenti della diplomazia italiana (si sottolinea il pranzo a casa del Console Generale Fabrizio Colaceci), con imprenditori, e con esponenti delle varie associazioni della comunitá italo-venezoelana. Una full immersion, per portare a termine una missione che Marconcini stesso definisce "semplicemente esplorativa", in cui è riuscito a confermare le proprie sensazioni: la comunitá italiana in Venezuela è una comunitá preoccupata ed in parte scontenta. Daniele Marconcini, Presidente dell’Associazione Mantovani nel Mondo, non è sicuramente uno alle prime armi, ha trascorso una vita impegnandosi nel mondo dell’emigrazione e della politica (come dirigente prima nel PCI e poi nei DS), emigrazione e politica, dicevamo : un binomio strano, pericoloso se i rappresentanti di questi due pianeti inseguono obiettivi diversi, ma che appaiono coincidenti a parole. Daniele Marconcini questo lo sa, e qui in Venezuela è venuto nella sua doppia veste, come rappresentante del mondo dell’emigrazione in generale, ma soprattutto come delegato della Regione Lombardia ( piú precisamente rappresenta la Consulta dell’Emigrazione del Consiglio Regionale lombardo). E’arrivato su invito di Gianni Cappellin, presidente dell’Associazione dei Lombardi in Venezuela, per mandare innanzitutto un messaggio ben preciso: la Lombardia è pronta a rispondere ai bisogni degli italiani in Venezuela, e a farlo dall’alto della propria posizione privilegiata: è la regione d’Italia piú ricca, un terzo del Prodotto interno Lordo ( Bruto) di tutto il "Bel Paese" proviene da lí.  Le sue parole sono intrise soprattutto di spirito pratico (tipico "lumbard"), né sofismi né giri di parole ,è una lunghezza d’onda, la sua, ben chiara, su cui si sintonizza a perfezione la pragmaticitá italovenezoelana.

d- Cosa ha fatto in questi giorni?
- Sto incontrando tutti gli organismi che rappresentano la comunitá italiana, per cui ho incontrato l’Ambasciatore il Console, gli Imprenditori. Mi sto facendo un’idea su cosa possa fare la Lombardia e la prima cosa che ho notato è che in Venezuela esiste una grandissima emergenza sanitaria, quindi noi rispetto a questo riteniamo che si debba attuare urgentemente un censimento su tutti coloro che si trovano in uno stato di indigenza"

d- Eppure l’Ambasciatore non sembra dello stesso avviso, la Comunitá italiana sembra stare in ottima forma.
- Su questo non sono d’accordo. La veritá è che non ci sono dati affidabili. Abbiamo verificato che attualmente c’è un intervento di sostegno limitato alle persone di passaporto italiano, per cui secondo i nostri dati sono assistite solo 1000 persone, ma non abbiamo nessun dato sull’emergenza sanitaria che colpisce la comunitá dei discendenti. E’ evidente che l’impegno deve essere anche rispetto ai discendenti, visto che negli anni settanta molti italiani hanno perso la cittadinanza per poter lavorare qui in Venezuela, ma non per questo hanno smesso di essere italiani.

d- Non potrebbero essere riaperti i termini per riacquisire la cittadinanza?
- Per il momento non sembra esserci questa possibilitá. Proprio per capire allora quale è l’effettiva portata dell’emergenza bisognerebbe monitorarla, fare un censimento, capire magari anche quanti sono gli italiani che hanno perso la cittadinanza ma sono bisognosi di aiuti, è necessario che i rappresentanti del Venezuela nel CGIE chiedano che venga immediatamente attivato un fondo di sostegno socio-assitenziale per il Venezuela al quale potrebbero dare un loro apporto le regioni.

d- Quale potrebbe essere il contributo della Lombardia?
- La regione Lombardia, per esempio, patrocina gemellaggi, come quello appena firmato con l’ospedale di Rosario in Argentina. L’idea è quella di obiettivi nazionali a cui le regioni possono dare il proprio contributo

d- Che tipo di interventi nel settore sanitario potrebbero aiutare la comunitá italiana?
- Innanzitutto bisognerebbe verificare chi sono coloro che non possono pagarsi una assicurazione sanitaria, e poi studiare la possibilitá di appoggiare economicamente i progetti.

d- Ad esempio?
- Ad esempio nell’aria di Valencia c’è un progetto per costruire una clinica polifunzionale per italiani, nelle cui strutture potrebbe trovare accoglienza anche la popolazione venezuelana, un altro esempio: abbiamo un’altra fondazione chiamata Oasis che vuole creare una sede ambulatoriale. Basta guardare in profonditá, per vedere che ci sono una serie di iniziative ottime, che peró vengono svolte senza un coordinamento, e senza il sostegno delle autoritá italiane. Inoltre ho potuto appurare che allo stato attuale arrivano per le associazioni, a sostegno degli indigenti, contribuiti di circa di 120-130 mila euro: sono cifre inconsistenti rispetto all’emergenza.

d- Oltre problema sanitario,quali sono le altre prioritá?
- La seconda questione che bisogna analizzare è quella della salvaguardia dell’imprenditoria italiana qui presente, il 60% dell’imprenditoria locale é di origine italiane. Ho visto che, al di lá dei giudizi sul governo attuale, la comunitá italiana si sente pesantemente condizionata dall’attuale situazione politica, quindi le sue richieste sono chiare: garanzie dal governo venezuelano per mantenere la propria presenza sul territorio.

d- Le sembra che ci sia un particolare accanimento contro l’imprenditoria italiana?
- No, ma in generale vi è una profonda sfiducia per la propria sicurezza personale, e il governo italiano dovrebbe intervenire per verificare una maggior salvaguardia della comunitá italiana. Le stesse sedi diplomatiche dovrebbero cambiare atteggiamento: ritengono di poter svolgere la loro azione solo verso cittadini italiani, o imprese che hanno sede in Italia, noi riteniamo che dovrebbero essere ricomprese anche i cittadini italiani che hanno perso la cittadinanza.

d- In che modo il governo potrebbe essere d’aiuto?
Si dovrebbe aprire un tavolo di confronto tra le esigenze che pone il governo Chavez, legittimamente eletto , e le esigenze che pone la Comunitá italiana. Ci auguriamo che il Presidente Chavez prima o poi arrivi in Italia e che su un tavolo di governo si esamino le opportune ipotesi. Bisogna tener conto che qui la imprenditoria italiana è medio-piccola, ed é verso questa realtá che vanno concentrati gli sforzi istituzionali e diplomatici. Perché in fondo la imprenditoria italiana in Venezuela è la comunitá italiana stessa.

Piero Armenti//La Voce d´Italia

Piero Armenti, il divo

Guido Brigli incontra Paolo Scartozzoni
Copia della Lettera inviata dal Presidente Marconcini alla Regione Lombardia


Alla cortese attenzione del Presidente del consiglio Attilio Fontana
e p.c.
Al Presidente delegato della Consulta dell'Emigrazione Marcello Raimondi
All'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale Lombardo
Ai Gruppi Consiliari della Regione Lombardia

Signor Presidente come puo' vedere dalla rassegna stampa, i problemi in Venezuela per la comunita' lombarda ed italiana sono seri e complessi. Questo dovrebbe portarci ad unire sempre più le forze come mondo lombardo ed italiano all'estero, rafforzando il loro rapporto con le istituzioni nazionali e regionali. La nostra comunità, considerata generalmente su posizioni antigovernative, ha una posizione critica sul Governo Chavez non in forma preconcetta ma basata su fatti concreti, soprattutto sulla eccessiva concentrazione del potere politico ed economico nelle mani del governo e sull'assenza di una vera e propria opposizione, la quale nonostante la protesta di piazza degli ultimi anni, non riesce ad esprimere ne' un leader ne' una seria alternativa al Chavez. Una situazione che sta creando elementi legislativi inquietanti sia sulla libertà d'impresa, sulla libertà di stampa che che sulla proprietà privata (non quella dei latifondi per intendersi). Questo con una militarizzazione evidente della società venezuelana con un modello di controllo sociale "cubano" (ben 26mila i cubani sono presenti nel paese nei Comitati di quartiere e di Circoscrizione) e una pressochè totale assenza dell'Europa e dell'Italia nei vari progetti di sviluppo del paese. Detto questo dobbiamo,a mio avviso, discutere principalmente sui fatti e sulle esigenze della comunità italiana e lombarda, evitando giudizi ideologici e semplicistici e su questi dare un parere. Può darsi che alla fine questo governo faccia bene ma per poterlo affermare, servono risposte positive ed urgenti che la comunità italiana non ha ancora avuto. Una comunità che vive nella paura,un dato di fatto anche questo indiscutibile. Una sindrome "libica" che si sta impadronendo dei nostri italiani preoccupati di perdere tutto da un giorno all'altro. Una situazione minimizzata dalle nostre rappresentanze diplomatiche nel paese con una prudenza che appare ai più, un'assenza ingiustificata nel rappresentare le esigenze della Comunità presso il Governo italiano. La comunità italiana rappresenta il 60% della piccola e media impresa venezuelana.  Un effetto certamente esasperato dallo scontro politico causato da tre anni di manifestazioni di piazza e dal referendum revocatorio indetto dall'opposizione per costringere alle dimissioni l'attuale Presidente della Repubblica Chavez. Fatto che, forse, non ha consentito gli approfondimenti democratici dovuti creando forme di autodifesa da parte del governo insediato che stanno ingessando la vita pubblica e sociale del paese. Ora però Chavez ha vinto il referendum e questo non può essere dimenticato. Egli può governare sino alla fine del suo mandato legittimamente. Per questo ora è arrivato il momento del dialogo e del confronto nelle sedi più appropriate che per quello che riguarda la nostra comunità non possono che essere istituzionali. Un approfondimento che non può più essere dilazionato da parte di tutti : istituzioni e componenti sociali. Le faccio presente nel concludere, la necessità di tutelare le imprese lombarde ed italiane presso il nostro Governo con un riconoscimento nel futuro Statuto della Regione della cosiddetta "mobilità lombarda nel mondo", elemento di recente novità radicatisi negli ultimi decenni che si aggiunge alla tradizionale emigrazione di fine secolo e degli anni '50. Una presenza importante che meriterebbe una specifica legislazione di sostegno, favorendo un rapporto sempre più stretto con l'imprenditoria lombarda.
Certo di un suo riscontro presso le sedi competenti, porgo i miei più cordiali saluti.

Daniele Marconcini
Presidente dell'AMM
Rappresentante del Consiglio Regionale Lombardo
nella Consulta dell'Emigrazione


Cedula, Caracas 12 febbraio 2005 - Gianluca Salvati
Documento ottenuto illegalmente, l'11 febbraio 2005, nei giorni della visita a Caracas del signor Daniele Marconcini, dopo più di un mese di clandestinità, tramite corruzione di Pubblico Ufficiale e in assenza di registrazione alla Camera del Lavoro. 
Per non parlare delle difficoltà affrontate in Italia per ottenere il riconoscimento del punteggio maturato e  dell'affannosa quanto inutile ricerca dei legittimi contributi maturati in quegli anni di lavoro al limite dello sfruttamento.

dedicato ad Anna Grazia Greco, dirigente MAE fuorilegge

domenica 19 agosto 2012

La combriccola di imbranati dementi del Codazzi | Cronostoria per immagini: Colegio Agustin Codazzi, Caracas

Escuela "Agustin Codazzi" - Caracas

ACE Escuela "Agustin Codazzi": Giunta Direttiva nel mirino

Settembre 2004

Anna Grazia Greco, la "chiamata diretta"

Convocato dalla dirigente del Ministero degli Affari Esteri, Anna Grazia Greco, per lavorare come insegnante presso la scuola "Agustin Codazzi" di Caracas.
A fine settembre giunge a Caracas.


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Ottobre 2004


Tessera Sanitas Venezuela


Il primo ed unico contratto (in due anni di lavoro) che firma in quella istituzione è il contratto con un'assicurazione medica, la Sanitas Venezuela.



Scopre che a Caracas vive la famiglia di Franco Chirico, un editore religioso frequentato dai suoi genitori.



Rai International al Codazzi

Quello stesso mese, o il successivo, si presenta, senza preavviso, un cameramen della Rai (International) per fare riprese nella sua classe. Il cameramen viene introdotto da Guido Brigli, responsabile della Giunta Codazzi.





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Novembre 2004

Comincia ad accusare un diffuso senso di debolezza.

What about the fucking human rights? dic. 2004



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Dicembre 2004

L'avvelenamento

  Si ritrova clandestino, senza contratto e in fin di vita.
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Gennaio 2005

La nipote di Franco Chirico


Durante un'uscita, vede per la prima volta la nipote di Franco Chirico.



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 Febbraio 2005

Daniele Marconcini e la cedula

cedula de identitad
 
Esce dalla clandestinità con dei documenti falsi, ottenuti grazie a corruzione di Pubblico Ufficiale. Così può assistere, apparentemente "in regola", alla pagliacciata della commissione inter-ministeriale guidata dal guitto di Stato Paolo Scartozzoni, il mese successivo.


Paolo Scartozzoni a Caracas per la farsa della Commissione interministeriale

Nei giorni della cedula, il documento fasullo, è presente a Caracas Daniele Marconcini, per aggiungere la sua voce al trambusto de los escualidos su una presunta "emergenza sanitaria" di dengue in Venezuela...




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Marzo 2005 

Paolo Scartozzoni, guitto di regime, e la pagliacciata della commissione Mae



Collegio dei Docenti 



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Aprile 2005

Premio Italia per la arti

In seguito alle critiche rivolte verso la Commissione interministeriale, viene "messo in quarantena"...


Partecipazione al Premio Italia per la Arti


Partecipa al Premio Italia per le arti indetto dall'Ambasciata d'Italia.


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Maggio 2005

Lucia Veronesi, la preside ed Enrico De Simone

Premio Italia per le arti

Lucia Veronesi, una persona onesta


Assiste alla serata del Premio Italia per le arti.

Il giorno seguente conosce Piero Armenti.


La preside, Lucia Veronesi, gli conferma la stima, sua e dei genitori degli alunni, per il lavoro svolto alla scuola "Agustin Codazzi" di Caracas. Lo invita a ricandidarsi per insegnare il successivo anno scolastico.


A fine mese conosce il giornalista de La Voce d'Italia, Enrico De Simone.



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Settembre 2005

Il ritorno a Caracas

Colegio Agustin Codazzi, Caracas: Giunta Direttiva nel mirino

Dirección: Av. Los Pinos, Quinta Eliza, Urbanización La Florida, Caracas, Distrito Capital


Ritorna a Caracas, la situazione è sempre più precaria. 


Lucia Veronesi

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Ottobre 2005

La ragazza di Piero Armenti


Al centro commerciale Sambil  conosce Carlo Fermi e la ragazza di Piero Armenti.


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Marzo 2006

La denuncia ai giornali italiani

FAX-art ©

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Aprile 2006

Denuncia la scuola "Agustin Codazzi" al tribunale venezuelano.




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Maggio 2006

Intervista de La Voce d'Italia



L'articolo, 09/05/2006


Un giornalista italiano de La Voce d'Italia, Max Mauro, decide di scrivergli un articolo. In seguito ad un incontro per visionare i quadri, subisce un agguato di stampo fasciomassonico. Presente anche Enrico De Simone.



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Giugno 2006


Rientra in Italia



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Agosto 2008

La riscossione

Escuela "Agustin Codazzi", Caracas - cheque per Gianluca Salvati

Ritorna a Caracas a riscuotere. Ma quegli infami della Giunta Direttiva del Codazzi, in combutta con Anna Grazia Greco e altri degni compari e scagnozzi provano a rovinargli la festa.


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giovedì 16 agosto 2012

Consorterie: la cricca del Codazzi e il Ministero degli Affari Esteri | Piero Armenti - Servi di regime: Paolo Scartozzoni e la commissione Mae | Fax-art

Esame superato

Caracas - E’ quasi fatta. La scuola Codazzi, unica scuola italiana in Venezuela, sicuramente otterrá il riconoscimento della ” paritá scolastica” dopo la visita di una commissione interministeriale composta da Ornella Scarpellini, Donatella Angioni, e di cui era capodelegazione Paolo Scartozzoni, funzionario del Ministero degli Affari Esteri. Un riconoscimento, quello della “paritá”, reso necessario dalla introduzione delle riforma Moratti (ultimo governo Berlusconi) con la quale si è cercato di fare chiarezza nella intricata giungla delle scuole private . La Codazzi fino ad ora aveva ottenuto la paritá “con riserva”, da sciogliersi dopo una verifica ministeriale che, purtroppo, è stata fatta con grande ritardo. Alla fine peró la verifica è arrivata. E la nostra scuola ha aperto le porte alla delegazione. Paolo Scartozzoni, funzionario del Ministero degli Affari Esteri, nonostante i vaticini delle cassandre che non si stancano di lanciare tam tam allarmanti sulla salute e sul futuro della Scuola Codazzi, ha commentato: “In Venezuela la Codazzi ci ha lasciati soddisfatti, dal punto di vista didattico e anche dal punto di vista amministrativo. Certo ci sono da fare piccole correzioni, abbiamo dato alcuni consigli, ma il giudizio è positivo. Queste stesse verifiche le stiamo facendo anche in altre parti del mondo: Brasile, Colombia, Perú.”. Esame passato, quindi! Arriveranno anche i consueti finanziamenti statali, utilizzati da sempre per mantenere alta la qualitá didattica di un Istituto che gode di grande prestigio a Caracas . Ancora aperta, invece, la querelle sull’equivalenza del titolo di studio. Cerchiamo di sintetizzare: chi si diploma alla Codazzi, nella sezione didattica italiana, non puó accedere alle universitá venezuelane, a meno che l’ultimo anno di studi non sostenga oltre all’esame finale italiano, anche quello integrativo venezuelano. Un doppio lavoro, un impiccio che scoraggia molti a iscriversi.


Ma non è un problema insolvibile. Lo hanno già risolto varie altre scuole italiane in America Latina, recentemente anche quella di Montevideo. Non resta che augurarsi che anche in Venezuela le nostre autorità diplomatiche riescano a chiudere le trattative (giá aperte da tempo) con le autoritá venezuelane, portando a casa la tanto attesa equivalenza del titolo (niente doppio esame, quindi). Sará un vero e proprio toccasana, la soluzione di un problema che si trascina da tempo, risolto in passato con il passaggio di almeno un anno in un’università italiana, passaggio che oggi per la gran maggioranza degli studenti appare un’utopia. In altri casi l’ostacolo è stato aggirato con i titoli “comprati”. Una strada che appariva una facile alternativa viste la difficoltà che richiede studiare parallelamente per ottenere il diploma italiano e quello venezuelano. Eppure la maggioranza di questi studenti aveva un’ottima preparazione e lo dimostravano i buoni risultati ottenuti negli esami di ammissione alle università. Ma ovviamente titoli acquisiti irregolarmente non sono una soluzione e per alcuni giovani sono diventati un boomerang che ha bloccato i loro studi all’interno delle università locali. L’equivalenza diventa un diritto, una necessità di non poco conto ed è necessario che le autorità scolastiche e diplomatiche facciano tutti i passi necessari per ottenere l’ok dei due governi, quello italiano e quello venezuelano. C’è chi si chiede cosa vorranno in cambio le autoritá venezuelane nell’ inevitabile do ut des della politica. Per il momento su questo punto c’è stretto riserbo, girano alcune voci ( come quello di una scambio in tecnologia, visto che controlli sul merito della didattica italiana da parte venezuelana non sarebbero ben graditi), ma appunto sono voci, e naturaliter dubbie. Comunque a giudizio della commissione ministeriale, che pur non si è occupata in prima persona di questo, le trattative sono a buon punto, manca poco. Ce lo auguriamo tutti.


Un ultimo appunto. La Codazzi sará ( è) una scuola paritaria, quindi una scuola privata “pareggiata” ad una pubblica italiana, con la stessa funzione pubblica, per sintetizzare. E’ il caso di chiedersi se non sia opportuno attivare un sistema di finanziamenti, tramite borse di studio, che permettano a una quota di studenti italiani, che non possono pagarsi la retta, di avere ugualmente accesso alle sue aule.
Pubblicato il 30 marzo 2005 da Piero Armenti


Human, collage su carta - Gianluca Salvati dic. 2004

martedì 15 maggio 2012

Lo scandalo della P2, la loggia infame | La legge Spadolini sulle "logge coperte"

Nel processo di restaurazione tradizionale e di definizione di un'identità consona ai tempi nuovi non ha certamente giovato alla Massoneria italiana la vicenda della P2 che, per quanto la si possa interpretare come una “deviazione”, ha comunque messo in luce anche per gli stessi affiliati la presenza nell'Ordine di uno spregiudicato settore affaristico e addirittura eversivo. In ogni caso la reputazione della Massoneria ne è uscita fortemente compromessa, nonostante il Grande Oriente si sia adeguato alle disposizioni della cosiddetta “legge Spadolini sulla P2” (1982) che ha vietato, con quella incriminata, le logge “coperte”, e preteso che siano accessibili le liste degli affiliati.

Giovanni Spadolini, partito repubblicano

Massoneria, le logge "coperte" - Loggia P2 e CIA

I giudici che si sono occupati della strage di Bologna hanno scritto: “Nel contesto di una generale attenzione rivolta da Gelli agli ambienti militari, assume una concatenazione specifica quella dedicata alla ristretta èlite di ufficiali succedutisi al comando dei vari servizi di sicurezza. La relazione della commissione di inchiesta è pervenuta a due interessanti conclusioni: Gelli appartiene ai servizi e ne è il vertice; la Loggia P2 e Gelli sono espressione di una influenza che la Massoneria americana e la CIA esercitano su Palazzo Giustiniani, sin dalla sua riapertura nel dopoguerra”.


La stazione di Bologna il gorno della strage

Massoneria - La Loggia Propaganda: Licio Gelli e i fratelli coperti

Della nota sigla P2 la P significa “Propaganda”. È il nome di una loggia nata nel 1877 allo scopo di “tenere attivi e vincolati all'Ordine e in corrispondenza diretta con il Grande Oriente gli uomini che per la loro posizione sociale non avrebbero potuto iscriversi nelle logge ordinarie e frequentarne i lavori” (U. Bacci, Il Libro del Massone Italiano, Bologna, 1972). Il clima storico è quello in cui molti affiliati alla Massoneria giocarono un ruolo importantissimo nell'assestamento dello Stato unitario. Fra i membri di questa loggia si possono infatti ricordare i nomi di G. Garibaldi, dei politici A. Saffi, G. Zanardelli, A. Bertani, e F. Crispi, del filosofo del diritto G. Bovio e del poeta G. Carducci. Che ci possano essere “posizioni sociali” incompatibili con la partecipazione ai regolari lavori delle logge è comprensibile, ma poiché la partecipazione a questi lavori è dalla Massoneria dichiarata essenziale per la costruzione e il percorso spirituale del singolo, sembra che si possa individuare sin dalle origini della Loggia “Propaganda” un cedimento a interessi di natura squisitamente profana. Tale valutazione è suffragata dal fatto che un primo scandalo, quello della Banca Romana del 1892-1893 in cui furono coinvolti alcuni dei suoi membri, determinò la crisi di questa loggia “atipica”.
Dopo il periodo fascista essa si ricostituì, assumendo il numero 2 per sottolineare la sua antica tradizione: tra le logge ancora attive poteva infatti vantare un'anzianità inferiore solo a quella della loggia alessandrina “Santorre di Santarosa”.
La Massoneria – Il vincolo fraterno che gioca con la storia; Giunti Editore

Nell'Ottocento la trovata dei “fratelli coperti”, e di conseguenza la creazione della Loggia Propaganda, era servita a proteggere chi temeva le persecuzioni clericali.

Gianfranco Piazzesi, Gelli – La carriera di un eroe di quest'Italia; ed. Garzanti

Licio Gelli, faccendiere neofascista della P2

Massoneria: Gran Maestro e 'fratelli coperti'

Il generale Battelli, penultimo Gran Maestro di Palazzo Giustiniani, testimoniando dinanzi alla commissione parlamentare, almeno su questo punto era stato chiaro. “Per entrare in massoneria, fatta la domanda, cioè avvenuta la presentazione, l'interessato o il candidato viene sindacato da tre 'fratelli' autorizzati a chiedere informazioni su di lui. La sua fotografia viene esposta nella sala dei passi perduti, le sue qualifiche, la sua questione, viene discussa per tre volte nell'officina”. (Officina, nel linguaggio massonico, è sinonimo di loggia.)
L'ingegner Siniscalchi, entrato in massoneria nel 1953 e uscito nel 1976, era stato ancora più preciso. Ciascuno dei “fratelli inquisitori”, persone diverse dai presentatori, doveva redigere una “tavola informativa”, una relazione scritta. Inoltre ogni massone gode del diritto di visita, può partecipare, se lo crede opportuno, ai lavori di qualsiasi loggia. Tutti i “fratelli” iscritti nelle liste del Grande Oriente hanno la facoltà di presentarsi in loggia il giorno in cui si vota sull'accettazione di un aspirante e mettere una pallina nera nell'urna. Queste votazioni avvengono, con la garanzia del segreto, per tre riunioni successive. Vi partecipano decine di massoni regolarmente iscritti alla loggia, più gli eventuali “esterni”. Bastano tre palline nere per bocciare un candidato. Se i voti contrari sono sette, l'aspirante non può essere accolto nemmeno in un periodo successivo. […] L'aspirante deve frequentare la loggia, “lavorare” nell'“officina” almeno due volte al mese. Deve impegnarsi alla riservatezza e consegnare un veritiero resoconto del suo passato al capo della loggia, o Maestro Venerabile. Costui inserirà il suo nome in un elenco o “pié di lista” che sarà custodito a Palazzo Giustiniani. Ogni “fratello” avrà il diritto di consultarlo. Due controlli: dall'alto attraverso un ispettore, dal basso attraverso il “diritto di visita”, che consente a qualsiasi massone di partecipare anche ai lavori di una loggia della quale non fa parte. […] Come avrebbe scritto Salvini, in un documento ufficiale, “possono esistere per particolari ragioni di opportunità, note soltanto al Gran Maestro, fratelli 'coperti' con tutti i doveri e i diritti comuni ad ogni massone tranne quello di essere assegnati a una loggia e partecipare ai lavori”. Lo stesso Gran Maestro raccoglieva i nomi di questi fratelloni “all'orecchio”, dalla “bocca” del suo predecessore. Nel fiorito linguaggio massonico, ciò stava a significare che costoro non erano soltanto esonerati dalle riunioni mensili. Essi godevano anche di un grosso privilegio: potevano tener nascosta la loro appartenenza alla massoneria ai profani e agli stessi “fratelli”. Il Gran Maestro era il depositario del loro segreto. Serbava nella “memoria” i loro nomi e al momento di lasciare la carica li bisbigliava, appunto, all'orecchio del successore. Ma la memoria non è infallibile e i nomi erano parecchi. Anzi tendevano sempre ad aumentare. Da qui l'esigenza di un “pié di lista”, corredato dai documenti che comprovassero l'iniziazione. Ma, a differenza degli elenchi dei fratellini, quello dei fratelloni non veniva depositato alla segreteria del Grande Oriente, a Palazzo Giustiniani. Per garantire una copertura davvero completa, i documenti li teneva il Gran Maestro. 
Gianfranco Piazzesi, Gelli – La carriera di un eroe di quest'Italia; ed. Garzanti


La Propaganda

 

lunedì 16 aprile 2012

Don Luigi Sturzo e la politica italiana | Chiesa & mafia

Non ho molta simpatia per i preti. Sorrido quando sento parlare di preti anarchici. Rabbrividisco quando si parla di preti antimafia. Mafia e Chiesa vanno a braccetto, sono le due facce di una stessa medaglia. 
Non ho mai sentito di una presa di posizione della Chiesa contro i mafiosi, che so una scomunica. Altrettanto dicasi per le varie dittature in cui la Chiesa ha sempre trovato il proprio “spazio”, una su tutte quella argentina della seconda metà degli anni settanta.
Questo è il Paese del Vaticano e i preti ce li propongono in tutte le salse. Non voglio dire che fra di essi non ce ne siano di buoni, ma solo ricordare che l'impunità e l'ipocrisia sono una costante per la Chiesa. Per pochi elementi validi ce n'è un esercito ben asservito e omertoso al giusto grado. 
Inoltre, pur considerando tutto il buono che può esserci in questa istituzione, bisogna ammettere che sovente è il peggio a prevalere: la feccia è più funzionale ai sistemi.
Detto ciò, don Luigi Sturzo risalta dal grigiore della politica italiana del novecento: una figura fuori dall'ordinario. Capace di scelte coraggiose come pochi, dato che a chiacchiere siamo tutti bravi e capaci, ma nei fatti pochi sono all'altezza delle aspettative. 
Don Luigi Sturzo è un vero combattente.

don Luigi Sturzo

Don Luigi Sturzo - “Gli uomini che fecero l'Italia” di Giovanni Spadolini

Giovanni Spadolini lo ricordava così: “In nessuno come in don Sturzo, i vent'anni dell'esperienza totalitaria avevano scavato un solco, che aveva coinciso con una vera e propria trasformazione. Il sacerdote che aveva dovuto lasciare l'Italia su consiglio dello stesso Vaticano, il leader del partito popolare che aveva subito la sconfessione della Curia all'indomani del congresso di Torino, l'apostolo della democrazia cattolica che aveva provato il morso della solitudine e l'amarezza degli abbandoni, era tornato dalla vita dell'esilio con un animus nuovo, con un senso nuovo della libertà e della tolleranza, con una nuova concezione dei “diritti dell'uomo” capace di dissolvere tutte le antiche pregiudiziali guelfe e teocratiche.
[…] Noi ricordiamo con estrema precisione lo sbarco di Sturzo a Napoli, in una mattinata insolitamente livida, piovigginosa, del settembre 1946. Ma l'Italia che il gran vecchio ritrovava era profondamente diversa da quella che egli aveva lasciato, sotto l'incubo della dittatura, in una mattinata non meno malinconica del 1924. Solo allora; quasi altrettanto solo oggi. A riceverlo su quel molo del porto partenopeo, c'erano si i vecchi amici, gli antichi compagni di cordata, quelli che non avevano tradito durante la dittatura, i “popolari” tutti di un pezzo altrettanto parchi di parole quanto fermi nella fedeltà ai valori della democrazia e della libertà; ma nessun suono di fanfare, nessun fasto di cerimoniale che del resto l'uomo non avrebbe mai tollerato.
Chiuso nel suo grande segreto, il semplice prete – che neppure un rappresentante ufficiale della Santa Sede avrebbe accolto al porto di Napoli – si preparava a riprendere la battaglia di sempre per la libertà forzatamente interrotta, a servire ancora una volta, con discrezione di politico e con fede di apostolo, la sua causa, cioè la sua Chiesa.
[…] Quando si saprà interamente, e un giorno pur di saprà, la vera storia di quell'“operazione” impropriamente chiamata “Sturzo”, si vedrà quanto il vecchio fondatore del partito popolare abbia operato in piena coerenza con le premesse programmatiche dell' “appello ai liberi e ai forti”, si sia ispirato a una sostanziale unità di intenti e di spiriti con l'uomo da cui pur lo dividevano tante valutazioni, intendiamo dire con Alcide De Gasperi.” 
Giovanni Spadolini, Gli uomini che fecero l'Italia


Norberto Bobbio, olio su tela - Gianluca Salvati 1999

Don Luigi Sturzo, il partito popolare e il veto all'on. Gennaro Aliberti

Gennaro Aliberti era un losco figuro della politica napoletana. Organizzatore occulto del lotto clandestino era malvisto anche da uomini del governo. Ai primi del novecento, l'Aliberti aveva denunciato per diffamazione il giornalista Eduardo Giacchetti perché aveva pubblicato articoli sui suoi traffici illeciti. Il giornalista si era rivolto all'avvocato Enrico De Nicola per la difesa in tribunale, ma il De Nicola aveva pubblicamente rifiutato per non meglio precisati motivi.
La difesa di Eduardo Giacchetti fu assunta da Pietro Pansini, il mio trisavolo.
Quasi venti anni dopo, don Luigi Sturzo pose il veto alla candidatura dell' on. Gennaro Aliberti nelle liste del partito popolare.
"Terminato il discorso: S.E. Degni con tutti i suoi, si è allontanato dal palcoscenico ed il teatro si andava svuotando quando i fascisti sono insorti per il mancato contraddittorio promesso e S.E. Degni, impavido, è ritornato al suo posto. Si sono, però, incrociati vivaci battibecchi fra fascisti e popolari. A questo punto S.E. Degni, rispondendo al capitano Padovani, che chiedeva insistentemente il contraddittorio, ha detto di volerlo concedere ai fascisti, ma mai a persona pagata da Aliberti, ciò che ha eccitato viepiù l’ambiente, accrescendo il tumulto. Allora S.E. Degni ha creduto opportuno allontanarsi ed ha potuto raggiungere la sua automobile ed andar via. I fascisti sono usciti dal teatro col preordinato intendimento di dare molestia e dileggiare i popolari al loro passaggio per piazza S. Maria degli Angeli. Infatti i fascisti, riunitisi in meno di un centinaio nei pressi della sede della loro associazione, non appena hanno visto i popolari che s’incamminavano in corteo, hanno fatto per slanciarsi loro addosso e strappare la bandiera bianca dalla quale erano preceduti, ma sono stati affrontati dalla forza pubblica che è riuscita a trattenerli, per modo che i popolari hanno potuto proseguire per la loro via". 
(Rapporto del questore al prefetto 21/05/1921 - A.S.N., Gab. Questura, fasc. 5494)

don Luigi Sturzo




Massoneria yankee e propaganda | Quel pericoloso terrorista di Nelson Mandela - Noam Chomsky

 I potenti possiedono le maggiori risorse per l'uso della violenza, ma quando sono loro a usare violenza la chiamano autodifesa, al contrario quando le loro vittime o qualcun altro usano violenza allora quello si chiama terrorismo. Gli esempi di questa ipocrisia si sprecano: nel 1988, quando Washington era fermamente alleato al governo razzista del Sudafrica, il Pentagono definì Nelson Mandela “uno dei più pericolosi terroristi del mondo”, e naturalmente il governo di Pretoria si stava solo “difendendo” contro i “terroristi” di Mandela. In quegli anni il Sudafrica bianco fu responsabile della morte di circa un milione e mezzo di persone, dentro e fuori dalle sue frontiere.
Noam Chomsky

Human, collage su carta - Gianluca Salvati 2004