Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati

domenica 25 gennaio 2015

La Donazione di Costantino: elogio dell'ignoranza | Stefano II e le menzogne della Chiesa

Fu forse in questo periodo che il pontefice (Stefano II - 752-757) fece conoscere a Pipino la cosiddetta Donazione di Costantino, ovvero il documento apocrifo, opportunamente elaborato a Roma, con cui si voleva dimostrare che già nel IV secolo l'imperatore Costantino aveva ceduto la sua autorità su Roma e sull'Italia ai pontefici romani.

La Donazione di Costantino, come è noto, è un falso storico, elaborato tra la metà e la fine del secolo VIII, cui durante il medioevo tutti prestarono fede, come sta a dimostrare la stessa invettiva di Dante che nella Commedia accusa Costantino di aver provocato tanti mali con la sua malaccorta donazione al pontefice del potere temporale in Roma e nell'Occidente. La sostanziale falsità del documento venne chiaramente individuata da Lorenzo Valla nel '400, quando la ripresa di rigorosi studi filologici permise di chiarire che il testo del documento era scritto non nel latino del IV secolo, come avrebbe dovuto essere, ma in un latino molto più tardo e imbarbarito.
Questo famoso falso storico non è in realtà un'eccezione; la Chiesa, in quanto potenza terrena, già da tempo fondava talvolta i diritti che le venivano contestati su documenti fabbricati appositamente. Lo storico italiano Gabriele Pepe osserva acutamente a questo proposito che "alla concezione di una Chiesa mantenuta dallo spirito della libertà, di Dio, si è sostituita la scettica coscienza di una Chiesa tenuta dalla legge, dal capo, dalla gerarchia"; è però da notare che le "pie frodi" miravano a esonerare la Chiesa da troppo pesanti vincoli di riconoscenza verso i sovrani alleati e protettori, mettendo questi ultimi di fronte a immaginari diritti ecclesiastici precostituiti.
Elementi di storia - Il Medioevo, A. Camera, R. Fabietti (Zanichelli ed.)

Dio sgomento per le menzogne della Chiesa

giovedì 15 gennaio 2015

Lo stoicismo e il falso carteggio fra Seneca e Paolo di Tarso

Già un secolo prima di Marco Aurelio lo stoicismo si era avvicinato al trono imperiale, quando Seneca era diventato anzitutto l'educatore del giovane Nerone, e poi il suo prin­cipale consigliere politico e speechwriter, quando questi ascese al trono nel 54. Nerone non era naturalmente Ales­sandro Magno, né Seneca era Aristotele, ma i due reinter­pretarono comunque il copione del sodalizio fra il grande filosofo e il giovane imperatore, fino a quando il primo cad­de in disgrazia e il secondo lo condannò al suicidio nel 65. Sentenza che Seneca eseguì, naturalmente, con stoica sere­nità, sulla base di un altro classico principio stoico: «Accet­tare volontariamente l'inevitabile »,
Marco Aurelio e Seneca sono esponenti della cosiddetta «ultima Stoà», concentrata prevalentemente su problemati­che morali e spirituali, e rappresentante una sorta di religio­ne laica e colta: in alternativa, dunque, a quella clericale e «cretina», che dapprima cercò di annettersela inventandosi un apocrifo carteggio tra Seneca e Paolo di Tarso, e poi riu­scì a scalzarla in base al principio che a diffondersi in epi­demie sono le malattie infettive e non la salute, fisica o mentale che sia.
Ai fini della logica a noi interessa, però, la «prima Stoà »: quella fondata ad Atene verso il 300 p.e.V. dal ci­priota Zenone di Cizio, che non va naturalmente confuso col precedente eleatico. Essa prese il nome dalla stoà poiki­le, il «portico dipinto» nel quale aveva sede, e divenne pre­sto il terzo polo della vita culturale ateniese.
L'importanza che le tre scuole mantennero a lungo nella vita della città è testimoniata dal fatto che i Greci, quando dovettero inviare una missione diplomatica a Roma nel 156 p.e.V., dopo la conquista romana della Macedonia, non tro­varono niente di meglio che scegliere Carneade (il manzoniano «chi era costui?») dall'Accademia, Critolao dal Li­ceo, e Diogene dalla Stoà.
Tra parentesi, i tre si fecero onore: arrivati a Roma, ini­ziarono i giovani Romani alle loro dottrine, ed ebbero tanto successo che Catone li fece immediatamente rispedire a ca­sa, per paura che la filosofia finisse col provocare una disaf­fezione verso la vita militare. D'altronde, un Censore non poteva che preferire la militarizzazione dei civili alla civi­lizzazione dei militari.
Per tornare alla Stoà, l'esponente più importante fu il suo terzo rettore, il fenicio Crisippo di Soli, vissuto nel terzo se­colo p.e.V. Stilisticamente, sembra non fosse un granché: d'altronde, veniva da una città che aveva ispirato il termine soloikismos, «solecismo », usato ancor oggi nel senso di «sgrammaticatura ». Quanto a produzione, invece, doveva essere un vero grafomane, visto che scriveva 500 righe al giorno: ovvero, l'equivalente dell'intera opera di Aristotele ogni due anni e mezzo, e 700 libri in tutta la vita, un centi­naio dei quali dedicati alla logica.
Tutti questi libri sono oggi perduti, come del resto quelli dell'intera scuola. La quale, per una serie di ragioni, com­presa quella già accennata della competizione etica col Cri­stianesimo, finì per essere completamente rimossa. Al pun­to che oggi di Accademie e Licei è pieno il mondo, ma non c'è neppure una Stoà. È rimasto l'aggettivo «stoico», usato però quasi esclusivamente nel senso di distacco e sopporta­zione al quale abbiamo già accennato.
Piergiorgio Oddifreddi, Le menzogne di Ulisse

Seneca - Ultima Stoà


domenica 14 dicembre 2014

Arte contemporanea e mass media: "Tennista", olio su tela | Mass media e potere

Mass-media: "L'insieme delle tecniche contemporanee che permettono la produzione, trasmissione e diffusione di messaggi ad un pubblico vasto, eterogeneo, anonimo; in una forma che si caratterizza come pubblica, rapida e transitoria. I principali mezzi di comunicazione di massa sono oggi la stampa, la radio, la televisione, il cinema, il manifesto e tutti gli strumenti creati da una tecnologia avanzata che producono e diffondono messaggi su larga scala. Attorno agli anni Trenta, con il crescente sviluppo di cinema, radio, stampa, la comunicazione di massa si è imposta come problema sociale: se ne vede l'influenza nel campo della propaganda politica, della pubblicità, dell'educazione, ma se ne temono anche le conseguenze sul piano sociale e culturale. L'enorme corpo di ricerche realizzate negli Stati Uniti, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, soprattutto sul pubblico, sugli effetti, sul contenuto del mass-media, per lo più legate a fini pratici ed essenzialmente descrittive, testimoniano il timore e per l'azione condizionante e persuasiva di tali mezzi di comunicazione (di cui l'avvento delle dittature nazista e fascista sembrava essere frutto) e per il possibile livellamento dei comportamenti e dei gusti nelle società libere industrializzate. negli anni Cinquanta e Settanta si è imposto un diverso approccio allo studio di questi problemi: soprattutto in Europa si pone in primo piano l'interesse per la dimensione culturale della comunicazione di massa (cultura di massa); ancora oggi, si può dire aperto il dibattito tra chi vede nella civiltà dei mass-media, unilaterale e etero-diretta, l'imporsi di valori e modelli di comportamento alienanti. e frustranti [...] e chi invece considera la società di massa come luogo e momento di massima partecipazione socio-politico-culturale [...] Ma se è indubbio che i mass-media sono un grosso strumento di controllo sociale è però difficile stabilire quanto questo sia in se stesso più forte se esercitato attraverso il canale dei mass-media o attraverso quelli tradizionali. In altre parole i mezzi di comunicazione di massa agiscono in una società già emarginata ed alienata: le funzioni di facilitare l'integrazione e di imporre valori quali il successo, la competizione, il guadagno, sono già efficacemente svolte da agenzie di socializzazione quali la famiglia o la scuola" (Caporello, in D'Amato-Porro, 1985 pp.124-26)


Tennista, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


venerdì 5 dicembre 2014

Marguerite Yourcenar: funzione dello storico | Le memorie di Adriano

A pagina 22 dell'edizione di Einaudi delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, l'imperatore Adriano dice: "Gli storici ci propongono una visione sistematica del passato, troppo completa, una serie di cause ed effetti troppo esatta e nitida per aver mai potuto essere vera del tutto, rimodellando questa docile materia inanimata, ma io so che Plutarco sfuggirà sempre Alessandro...".
In quel brano l'imperatore invita a fare attenzione, a leggere tra le righe della Storia cercando di separare il bene dal male, il vero dal falso, il grano dal loglio.
Proposta allettante, ma quanto mai difficile da realizzare in un'epoca come la nostra dove la sovraproduzione, l'inflazione informativa hanno spesso l'effetto di stordire piuttosto che di chiarire.
"Lo storico", avverte il grande medievalista francese Georges Duby, "ha abbandonato da tempo la pretesa di dettare regole di condotta perché della realtà cogliamo soltanto delle tracce. Cancellate, discontinue, insufficienti. Il nostro dovere è di sfruttarle a fondo, senza manipolarle. Ma bisogna colmare scrupolosamente tutti i vuoti, cercando di ricostruire un puzzle di cui spesso manca la maggior parte dei pezzi".
E così il compito di cercare un percorso limitato e logico resta, e con esso il dilemma di fronte a ogni conflitto: imbarcarsi in una bella dimostrazione, oppure cercare nel fondo del problema?
Vincenzo Maddaloni - Famiglia Cristiana n. 46



domenica 30 novembre 2014

Cricca Codazzi | Una Caracas da bere: Ruben e la nipote di Franco Chirico

Quando ripresi a lavorare nel gennaio 2005, ripresi anche le uscite serali in quel di Caracas. Una Caracas da bere.
Il collega di uscite, Giuseppe Rinaldi, era ritornato dall'Italia più baldanzoso che mai. Baldanzoso è il termine adatto per uno sovrappeso che ami danzare la salsa e gli altri balli latinoamericani... Il bello è che se la cavava piuttosto bene.
Io ero debole e necessitavo ancora di riposo, ma avevo anche bisogno di vedere un po' di vita, dato che ero fresco reduce dal mondo dei morti, o degli spiriti, se preferite. 

Fortunatamente avevo ricominciato la scuola di mercoledì, per cui il fine settimana arrivò prima. Giuseppe mi disse che era in contatto con Ruben Zambrano, l'insegnante di educazione motoria del Codazzi. Quel venerdì, infatti, si festeggiava il Dia del maestro e a scuola ci fu il solito brindisi (non essendo riusciti a farmi fuori, mi festeggiavano, quegli infami...).  
Al brindisi Giuseppe Rinaldi e il prof di educazione fisica parlarono per tutto il tempo. 
Quando ci vedemmo in serata, al solito bar di plaza Chacaito, Giuseppe mi disse che Ruben Zambrano gli aveva scritto un messaggio. Il prof di ginnastica, originario di Merida,  era in serie difficoltà: lo assediavano varie femmine e richiedeva il nostro intervento. Più che un messaggio pareva un Sos...
Come potevamo rifiutare?
Terminammo le nostre birre e ci mettemmo in viaggio. Destinazione: Club de la Guardia, zona Paraiso: non poteva esserci luogo migliore per ricominciare a vivere...
Raggiungemmo il nostro collega ancora incolume che ci presentò una carovana di persone. Almeno tre figliole erano di mio gradimento.
Il Club de la Guardia era una sorta di dopolavoro dell'esercito venezuelano. Era distribuito su un'area abbastanza grande e si entrava solo per conoscenza. Non mi dispiaceva perché era per lo più all'aperto, semplice e popolare. La musica non era chiassosa, e pazienza se c'era solo musica locale. Era un luogo ideale per chi sapeva ballare i ritmi caraibici.
Il gruppo di Ruben era situato in una zona che terminava con un cortile. Sul muro di quel cortile era dipinto a lettere cubitali la scritta "Barinas linda!". Omaggio al luogo che ha dato i natali al presidente Chavez. Alcune amiche di Ruben mi fecero un corso accellerato di salsa venezuelana. Molto istruttivo, anche se sono stato un pessimo allievo.
Ad un certo punto della serata, me ne andai a fare un giro per il club. C'erano zone poco illuminate con cespugli e aiuole ed altri spazi coperti dove la gente ballava. Nel complesso dava l'idea di un luogo molto frequentato ma tranquillo. 
Durante il mio giro di ricognizione vidi, per la prima volta, la nipote di Franco Chirico. 
Era il 14 gennaio 2005. La vidi senza conoscerla e senza essere visto in quanto parlava animatamente con una ragazza della comitiva. Una di quelle che mi piacevano, per intenderci. Forse fu proprio per cercarla che vidi la nipote di Franco Chirico, massimo editore del Cammino Neocatecumenale e amico personale di Kiko Arguello, nonché capo-setta della comunità neocatecumenale frequentata dai miei genitori dai primi anni '90. 


Franco Chirico e la cricca Codazzi di Anna Grazia Greco


Parlava la sciacquetta, in una zona poco illuminata, ma più precisamente impartiva istruzioni. Aveva 25 anni circa, la faccia slavata, gli occhiali e i capelli castani non molto lunghi, legati dietro con una piccola coda. Ostentava lo stesso piglio della Greco (Anna Grazia, una fuorilegge a Caracas), ovvero lo stesso modo del cazzo di blaterare senza ascoltare. Odiosa solo a vedersi.
Quello del Club della Guardia è stato il primo di 3 incontri certi, che ho avuto con quella troia della nipote di Franco Chirico. ma non escludo di averla avuta tra i piedi in diverse altre occasioni, dal momento che aveva frequentato il Codazzi e abitava a due passi da casa mia...

approfondimento: 
  1. Il dopo commissione ministeriale
  2. Il rientro a scuola (gennaio 05) 

giovedì 27 novembre 2014

In principio era l'immagine | L'Homo sapiens è nato artista - Emmanuel Anati

Quando avviene una nuova scoperta nel campo dell'arte preistorica, si meravigliano tutti. Io penso invece che dovremmo meravigliarci di questa meraviglia. L'inventario mondiale dell'arte preistorica curato dal Centro camuno ha già messo in archivio siti che contengono più di 50 milioni di pitture e incisioni rupestri e ha identificato 150 aree principali, distribuite su tutti i i continenti: dalla Siberia alla Patagonia, all'Australia, alla Tanzania, al Sahara, al Canada e ovviamente all'Europa.
È un patrimonio incalcolabile che finalmente ci fa prendere coscienza dell'universalità del fenomeno arte. L'Homo sapiens, da quando è apparso sul pianeta 50.000 anni fa, era artista. È nato artista ed è rimasto tale. La produzione dell'arte è per lui un'esigenza vitale. Come mangiare, bere o dormire. Dietro questa pretesa di mettersi in contatto con l'Aldilà, con gli dei, con le forze soprannaturali, nel subconscio dell'uomo c'è soprattutto e prima di tutto l'esigenza di comunicare con il prossimo, con gli altri uomini. E questa è una delle spinte dell'attività artistica. Ma l'immenso patrimonio dell'arte rupestre ci racconta anche un'altra storia: quella di 50.000 anni di umanità, 45.000 dei quali senza scrittura. Tutte quelle popolazioni che sono state escluse dalla Storia con la esse maiuscola perché non avevano un linguaggio scritto entrano dunque a farne parte a pieno titolo grazie all'arte, che ci permette di ricostruire le vicende, le emozioni, le credenze, la religione.
Un altro aspetto importante di quelle che potremmo chiamare le Cappelle Sistine dell'infanzia dell'uomo è la loro pluralità di funzioni: un fatto che ci è confermato indirettamente dallo studio di cacciatori-raccoglitori che ancora realizzano arte rupestre, come i Boscimani africani o gli Aranta australiani. Ci sono siti all'aperto e altri che sembrano scelti proprio per l'estrema difficoltà di accesso. Una delle funzioni più comuni era quella iniziatica: la grotta o l'area sacra era una specie di università, un luogo dove si andava ad imparare le regole della vita sociale e si veniva iniziati all'età adulta e alla sapienza. Altri siti servivano a finalità divinatorie, o avevano una funzione sciamanica: lo sciamano vi si rifugiava per parlare degli antenati, con gli spiriti degli animali o con altre forze dell'Aldilà. 

Pitture rupestri di leoni - Chauvet

Spesso le funzioni si soprapponevano, se l'"istruttore" dell'iniziazione era anche sciamano; allora le grotte erano segretissime e riservate agli iniziati in momenti determinati dell'anno. È probabile che fosse proprio questa la funzione della grotta Chauvet.
Emmanuel Anati - Airone (maggio 1995)

venerdì 21 novembre 2014

Federico Garcia Lorca, "Cielo vivo" | Pittura figurativa contemporanea: "Bimbi e gallo", olio su tela di Enrico Cajati


Cielo vivo
Non potrò lamentarmi

se non ho trovato quel che cercavo.

Vicino alle pietre senza succo e agli uccelli  vuoti

non vedrò il lutto del sole con le creature in carne viva.


Ma andrò al primo paesaggio

di colpi, liquidi e rumori

che penetra un bambino appena nato

e dove ogni superficie è evitata,

per capire che quello che cerco avrà il suo centro d'allegria

quando volerò mescolato all'amore e alle arene.


Lì non giunge la brina degli occhi spenti

né il muggito dell'albero assassinato dai bruchi.

Lì tutte le forme hanno intrecciate

una sola espressione frenetica di slancio.


Non puoi avanzare negli sciami di corolle

perché l'aria dissolve i tuoi denti di zucchero

né puoi accarezzare la fugace foglia della felce

senza provare lo stupore definitivo dell'avorio.


Là sotto le radici e nel midollo del vento

si comprende la verità delle cose equivocate,

il nuotatore di nickel che spia l'onda più fine

e la mandria di vacche notturne con rosse zampe di donna.


Non potrò lamentarmi

se non ho trovato quello che cercavo:

ma andrò al primo paesaggio d'umidità e di ululati

per comprendere che quello che cerco avrà il suo centro d'allegria

quando volerò mescolato all'amore e alle arene.



Volo fresco di sempre sopra letti vuoti,

sopra gruppi di brezze e di barche arenate.

Passo vacillando la dura eternità fissa
e amore senz'alba. Amore. Amore visibile!

Cielo vivo, Federico Garcia Lorca

Bimbi e gallo, olio su tela - Enrico Cajati

domenica 26 ottobre 2014

Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi | "Il grande smascheratore" e la separazione fra Stato e Chiesa

Paolo V fece appello alla Spagna e alla Francia. Ma la Spagna sovente aveva respinto gli editti papali, ed Enrico IV di Francia era riconoscente a Venezia. Tuttavia, Enrico inviò a Venezia il giudizioso cardinale de Joyeuse, il quale studiò le formule atte a salvare la faccia dei contendenti. I preti furono consegnati all'ambasciatore francese, il quale si affrettò a consegnarli a Roma; il Senato rifiutò di abrogare le leggi contestate, ma (sperando nell'aiuto del papa contro i Turchi) promise che la Repubblica si sarebbe "comportata secondo la sua abituale devozione". Il papa sospese le sue censure, e Joyeuse dette l'assoluzione agli scomunicati. "Le rivendicazioni di Paolo V", dice uno storico cattolico, "erano di carattere troppo medievale per potere essere accolte." Fu questa l'ultima volta che un intero Stato fu sottoposto all'interdetto.
Il 5 ottobre 1607, Paolo Sarpi fu assalito da sicari, che lo lasciarono per morto. Guarì e si dice abbia osservato, in un epigramma troppo bello per essere vero: "Agnosco stilum curiae Romanae" (Stilus voleva dire in origine un ferro appuntito, quindi una punta di ferro adoperata per scrivere sulle tavolette, quindi una penna, quindi un modo di scrivere. Il diminutivo stiletto significava sia un arnese per incidere, sia un pugnaletto). 

5° non uccidere

I sicari trovarono asilo e lode negli Stati pontifici. Da allora in poi Sarpi visse tranquillo nel suo chiostro, servendo messa ogni giorno; ma quanto al suo stilus non rimase in ozio. Nel 1619 pubblicò, sotto uno pseudonimo e presso una casa londinese, la sua Istoria del Concilio Tridentino, voluminoso atto d'accusa contro il Concilio di Trento. Compì della Riforma una narrazione affatto protestante, e condannò il Concilio per aver reso insanabile lo scisma, cedendo completamente ai papi. Il mondo protestante accolse entusuasticamente il libro, e Milton chiamò il suo autore "il grande smascheratore". I gesuiti incaricarono un dotto studioso del loro ordine, Sforza Pallavicino, di scrivere un'anti-Istoria (1656-64), che denunciava, emulandoli, il partito preso e le inesattezze di Sarpi. Nonostante la loro tendenziosità, quei due libri segnarono un progresso nella raccolta e nell'impiego di documenti originali, e l'ampio sommario di Sarpi possedeva, in più, il pericoloso richiamo di un'eloquenza impetuosa. Molto in anticipo sul suo tempo, egli reclamò una separazione totale della Chiesa e dello Stato.
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

sabato 25 ottobre 2014

Paolo Sarpi: la fede della conoscenza | Venezia e il potere papale

La tranquilla e austera oligarchia che commerciava, attribuendo loro libertà di religione, con uomini di tutte le fedi, assunse un atteggiamento di notevole indipendenza verso il papato, tassando il clero, sottoponendolo al diritto civile, e vietando, senza il suo consenso, l'erezione di nuovi altari o conventi e la donazione di terre alla Chiesa. Un gruppo di statisti veneziani, guidati da Leonardo Donato e Nicolò Contarini, si oppose particolarmente alle pretese del papato di affermare il proprio potere nella sfera del temporale. Nel 1605 Camillo Borghese divenne Paolo V, l'anno dopo Donato fu eletto doge; questi due uomini, i quali erano stati amici quando Donato era ambasciatore di Venezia a Roma, si affrontarono ora in una lotta fra la Chiesa e lo Stato, che rievocava, a cinque secoli di distanza, la contesa fra Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV. E il papa Paolo V fu scandalizzato nello scoprire che chi guidava intellettualmente il partito anticlericale in Venezia era una altro Paolo, Paolo Sarpi, un frate servita.
Sarpi, diceva Molmenti, era "la più alta intelligenza che Venezia abbia mai prodotto". Figlio di un mercante, entrò nell'ordine dei serviti a tredici anni, si imbevette appassionatamente di nozioni, e diciottenne sostenne a Mantova in una gara pubblica 318 tesi, così felicemente che il duca lo fece teologo di corte. Ventiduenne, fu ordinato sacerdote e divenne insegnante di filosofia; a ventisette anni fu nominato provinciale del suo ordine per la Repubblica veneta. Continuò gli studi di matematica, di astronomia, di fisica, di tutto. Scoprì la facoltà dell'iride di dell'occhio di contrarsi.

L'occhio di Paolo V, incisione

Scrisse trattati scientifici oggi perduti, e partecipò a ricerche ed esperienze di Fabrizio D'Acquapendente e di Giambattista Della Porta, il quale disse di non aver mai incontrato un "uomo più colto, o uno più acuto in tutta la sfera del sapere". Forse quegli studi profani danneggiarono la fede di Paolo Sarpi. Egli accolse come amici alcuni protestanti, e contro di lui furono mosse accuse all'Inquisizione di Venezia, la medesima istituzione che avrebbe presto arrestato Giordano Bruno. Tre volte fu prescelto dal senato per vescovo, tre volte il Vaticano rifiutò la sua nomina, e il ricordo di tali ripulse accentuò la sua ostilità verso Roma.
Nel 1605 il Senato arrestò due preti, dichiarandoli colpevoli di gravi reati. Il papa Paolo V richiese che fossero consegnati al foro ecclesiastico e ordinò inoltre che fosse abrogata la legge contro le nuove chiese, i conventi e gli ordini religiosi. La Signoria veneta rifiutò in termini cortesi. Il papa accordò al doge, alla Signoria e al Senato ventisette giorni entro i quali sottomettersi. Quelli chiamarono fra Paolo Sarpi quale consigliere in diritto canonico, ed egli consigliò a resistere, basandosi sul fatto che il potere del papa abbracciava soltanto la sfera spirituale. Il Senato seguì quel parere. Nel maggio 1606, il papa scomunicò Donato e la Signoria, ponendo l'interdetto su tutte le funzioni religiose nel territorio di Venezia. Il doge dette istruzioni al clero veneziano d'ignorare l'interdetto e di continuare le funzioni religiose; quello così fece, tranne i gesuiti, i teatini e i cappuccini. I gesuiti, tenuti dalla loro regola ad obbedire al papa, abbandonarono in massa Venezia, nonostante il monito della Signoria che, se se ne andavano, non sarebbe stato loro concesso più di ritornare. Nel frattempo Sarpi, in risposta al cardinale Bellarmino, pubblicava opuscoli sui limiti del potere papale, proclamando la supremazia del concilio sul papa. 
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

sabato 4 ottobre 2014

Venezia, regina del'Adriatico | Le religioni lottano per il potere: La battaglia di Lepanto

La regina dell'Adriatico ebbe, al pari dell'antica Roma, una lunga e sontuosa decadenza. Stava perdendo nei confronti del Portogallo il commercio marittimo con l'India e presto avrebbe risentito della concorrenza olandese.
Subiva l'urto dell'espansione marittima dei Turchi; le sue navi e i suoi comandanti furono tra i fattori principali della vittoria sui Turchi a Lepanto (1571), ma pochi mesi dopo cedette Cipro, e quindi il suo commercio con il Mediterraneo orientale era soggetto al consenso e alle condizioni dei Turchi. Venezia lottò valorosamente per fronteggiare quella trasformazione.

La battaglia di Lepanto
Collegandosi ad Aleppo con le carovane dell'Asia centrale, rimediò in parte al diminuito commercio marittimo con l'Oriente. Le sue navi ancora dominavano l'Adriatico. partecipava agli utili della tratta degli schiavi che ora infamava Portogallo, Spagna, Inghilterra. I possedimenti di terraferma - Vicenza, Verona, Trento, Trieste, Aquileia, Padova - prosperavano economicamente e aumentavano di popolazione. Le industrie continuavano a eccellere nel vetro, le seta, i merletti e oggetti d'arte di lusso.
Il Banco di Rialto, fondato nel 1587 dopo il fallimento di molte banche private, poneva la forza dello Stato dietro la finanza veneziana, e servì da modello a istituti analoghi a Norimberga, Amburgo, Amsterdam. I viaggiatori stupivano dinanzi alle bellezze dell'architettura e delle donne di Venezia, dinanzi alla pulizia delle strade, e alla tenace stabilità governativa.
La politica estera di Venezia mirava a mantenere l'equilibrio tra Francia e Spagna, a evitare che l'una o l'altra assorbissero l'indebolita Repubblica; di qui il pronto riconoscimento di Enrico IV, per rafforzare la Francia dilaniata dalla guerra. Nel 1616 il vicerè spagnolo di Napoli, il duca di Osuna, prese parte ad un complotto con l'ambasciatore di Spagna a Venezia per rovesciare il Senato e fare della Repubblica una dipendenza della Spagna. Filippo III, secondo i modi prudenti dei governi, dette il suo beneplacito all'iniziativa, ordinando però a Osuna di procedere "senza far sapere a nessuno che state facendo questo con mia cognizione, e facendo credere che agite senza ordini". La Signoria veneta aveva le migliori spie d'Europa, la congiura venne scoperta, i cospiratori sul posto furono arrestati, e una mattina il popolo fu edificato vedendoli, impiccati nella piazzetta di San Marco, fissare con occhi spenti i piccioni felici.
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

venerdì 19 settembre 2014

Bibliae pauperum: la Chiesa e la propaganda per immagini | Piero Adorno, storia dell'arte

È vero che non tutti erano d'accordo sulla presenza nei luoghi sacri di questi strani animali; lo dice chiaramente San Bernardo di Chiaravalle (1091-1159): "cosa ci stanno a fare [...] queste immonde scimmie, questi feroci leoni, questi esseri semiumani?" Ma la voce di San Bernardo è isolata. Questi esseri, appunto perché non reali o non usuali nella nostra vita, assumono meglio il ruolo di simboli attraverso i quali possiamo trarre la lezione che la Chiesa vuole impartire.
Per ragioni analoghe anche quando si affronta un tema testamentario non lo si vede storicamente, ma leggendariamente: deve avere il potere suggestivo della favola, non dimostrare razionalmente, ma investire la sfera dell'inconscio, commovendo, incitando, impaurendo. L'immagine, più dello scritto, più della parola, attira l'attenzione: il fedele, mentre ascoltava la voce del sacerdote, vedeva queste figurazioni e imparava. Per questo la chiesa cristiana occidentale, malgrado l'opinione opposta dell'Oriente, sfociata, fra l'VIII e il IX secolo, nell'iconoclastia, ossia nella distruzione anche fisica dell'immagine, ha invece sempre accettato la figurazione, anzi l'ha incoraggiata, come mezzo propagandistico della fede. Si vengono costituendo così, in scultura o in pittura, dei repertori figurativi, ripetuti più volte in varie parti d'Europa, vasti poemi visivi, detti, come abbiamo già avuto occasione di precisare, Bibliae pauperum, contrapposte ai testi sacri decifrabili soltanto dai pochi che sapevano leggere, i dotti.
 
Piero Adorno
Bibliae paupareum - La Chiesa e l'uso dele immagini a fini propagandistici

giovedì 7 agosto 2014

La sola rivoluzione, J. Krishnamurti - Meditazione e dualismo | Verità, rivelazione e condizionamento: l'armamentario della religione organizzata

[...]  Lasciamo stare se l'interlocutore sia un indiano educato in questa tradizione, condizionato in questa cultura, e se sia la sintesi di questa antica dottrina. Prima di tutto egli non è un indiano, cioè non appar­tiene a questa nazione o alla comunità dei brahmini, sebbene vi sia nato. Nega la stessa tradizione di cui è stato investito. Nega che la sua dottrina sia la continuità degli insegnamenti antichi. Non ha letto nessuno dei libri sacri dell'India o dell'Occidente, perché sono inutili a un uomo che è consapevole di ciò che avviene nel mondo - della con­dotta degli esseri umani con le loro interminabili teorie, con la ben accetta propaganda di duemila o cinquernila anni che è diventata la tradizione, la verità, la rivelazione. 

Alberi, monte, nuvola, cielo settembrino
Per un uomo simile, il quale si rifiuta totalmente e completamente di accettare il mondo, il simbolo con il suo condizionamento, la verità non è un affare di seconda mano. Se voi lo aveste ascoltato, signore, non vi sarebbe sfuggito che fìn dall'inizio ha detto che ogni accettazione di autorità è la negazione stessa della verità, e che ha insistentemente affermato che è necessario essere al di fuori di ogni cultura, tradizione e morale sociale. Se aveste ascoltato, non direste che è un indiano o che continua la tradizione antica in termini moderni. Egli nega total­mente il passato, i suoi maestri, i suoi interpreti, le sue teorie e le sue formule.
La verità non è mai nel passato. La verità del passato è la cenere della memoria; la memoria procede dal tempo e nella morta cenere dell'ieri non c'è verità. La verità è una cosa vivente, ma non nella sfera del tempo.
Così, lasciando stare tutto ciò, possiamo ora passare all'argomento centrale che voi postulate, il Brahman. Sicuramente, signore, la stessa asserzione è una teoria inventata da una mente ricca di immaginazione - sia essa Shankara o il dotto teologo moderno. Si può sperimentare una teoria e dire che è così. Ma un uomo che sia stato educato e condizionato nel mondo cattolico non può avere che visioni di Cri­sto, le quali ovviamente sono la proiezione del suo condizionamento, così come coloro che sono stati educati nella tradizione di Krishna hanno esperienze e visioni nate dalla loro cultura. Così l'esperienza non prova nulla. Riconoscere la visione come Krishna o Cristo è il risul­tato di una conoscenza condizionata; quindi non è affatto una realtà, ma una fantasia, un mito, a cui l'esperienza dà vigore, ma che non ha validità. Perché avete bisogno a ogni costo di una teoria e perché postulate una credenza? Questo voler porre costantemente la neces­sità della credenza è un sintomo di paura - paura della vita di ogni giorno, paura del dolore, paura della morte e dell'assoluta mancanza di significato della vita. Vedendo tutto ciò, voi inventate una teoria e quanto più questa è abile ed erudita tanto più ha peso. E dopo due­mila o diecimila anni di propaganda quella teoria invariabilmente e scioccamente diviene 'la verità'.
Ma se non postulate alcun dogma, allora vi trovate faccia a faccia con ciò che realmente è. Il 'ciò che è' è il pensiero, il piacere, il dolore e la paura della morte. Quando capirete la struttura della vostra vita quotidiana - con la sua competizione, avidità, ambizione e sete di potere - allora vedrete non solo l'assurdità di teorie, salvatori e guru, ma forse troverete una fine al dolore, una fine all'intera struttura costruita dal pensiero.
La penetrazione e la comprensione di questa struttura è la meditazione.
Allora vedrete che il mondo non è una illusione, ma una terri­bile realtà costruita dall'uomo nel suo rapporto col suo simile. Sono queste le cose che vanno capite e non le vostre teorie del Vedanta, con i riti e tutto l'armamentario della religione organizzata.
Quando l'uomo è libero, senza alcun motivo di paura, di invidia o di dolore, allora soltanto la mente trova la sua pace naturale. Allora può vedere non solo la verità nella successione degli attimi della vita quotidiana, ma anche trascendere la percezione. Allora si ha la fine dell'osservatore e dell'osservato, e la dualità cessa.
Ma di là da tutto ciò e senza alcun rapporto con questa lotta, con questa vanità e disperazione, c'è - e non è una teoria - una cor­rente che non ha né principio né fine, un movimento infinito che la mente non saprà mai cogliere.
Ovviamente, signore, voi farete una teoria di ciò che avete ascol­tato, e, se questa nuova teoria vi piacerà, la diffonderete. Ma ciò che diffondete non è la verità. La verità è solo quando voi siete libero dal dolore, dall'ansia e dall'aggressività che ora riempiono il vostro cuore e la vostra mente. Quando vedrete tutto ciò e quando incontrerete quella benedizione chiamata amore, allora conoscerete la verità di ciò che ora vi viene detto.
La sola rivoluzione, J. Krishnamurti

martedì 8 luglio 2014

Cammino Neocatecumenale: Franco Chirico va al "campo dei preti" - I Rogazionisti alla Pineta e Franco Chirico

Anni fa, prima che Franco Chirico si desse alla filantropia (acquistandomi ben 2 quadri nel 1997) lo vidi dirigersi verso il campo dei preti con la chitarra in spalla. Era una domenica pomeriggio, si era in primavera ed io prendevo il caffé fuori il balcone, quando vidi passare Franco Chirico così conciato: camicia bianca smanicata, pantaloni e scarpe scuri. E quella chitarra in spalla che era tutto un programma...
C'era una notevole distonia fra scopo e intenzione. Verosimilmente il Chirico si dirigeva al campo dei preti, la parrocchia dei Rogazionisti alla Pineta, dove ci sono anche un parco e i campi sportivi... lì il Chirico opera in qualità di responsabile della comunità neocatecumenale del quartiere. (Inoltre Franco Chirico è il principale editore del Cammino Neocatecumenale). 

Il tipo pareva assai scoppiato come se stesse dirigendosi ad un proprio personale calvario, con la chitarra al posto della croce. O stesse andando a prendersi a botte (a chitarrate in testa) con qualcuno, probabilmente un fariseo

Per chi non lo sapesse, i neocatecumeni sono in costante colluttazione, fisica e mentale, con il diavolo. 

E forse il Chirico stava andando ad affrontare il diavolo in persona...


Cammino Neocatecumenale: Franco Chirico mentre va al campo dei preti

Il problema per questo tipo di sistemi è stabilire chi è il diavolo e come contrastarlo... 
In genere è un processo che viene calato dall'alto, in virtù di strane dinamiche, esoteriche, da parte di chi di quei sistemi è a capo. Se da ciò ne consegue un tipo di potere tipicamente temporale e ben poco spirituale, pazienza, è un dilemma che la Chiesa cattolica romana preferisce lasciare insoluto...
Quindi ecco il Chirico, Franco, vecchia conoscenza dei salesiani, che si appresta a compiere il proprio dovere di buon cristiano, come un automa. Forse un tantino impacciato dai tanti fili che lo manovrano, ma un vero soldato non si pone domande. 

Ottimo esempio di cristianesimo militante...

Esoterismo: (dal greco esoterikós = interno) dottrina riservata ad un numero ristretto di iniziati, i discepoli. Esoterico è l’aggettivo con cui si indica tale carattere di segretezza, mentre essoterico (dal greco exoterikós = esterno) definisce il carattere pubblico di altri insegnamenti. 
Scrittori e opere, Marchese/Grillini – ed. La Nuova Italia

domenica 6 luglio 2014

Spazio Arte - Sei giovani artisti napoletani

Questa mostra raggruppa sei giovani artisti napoletani uniti più che da programmi comuni di lavoro (quantunque per alcuni di essi la vicinanza e il confronto sia un dato di fatto) da un comune amore per il loro mestiere, e dal convincimento, molto generale ma non meno caratterizzante, di questi tempi, che l’arte vera e propria consisterà sempre più nella pittura e nella scultura, ed eminentemente nella Figurazione.
    Con questo essi sanno di essere automaticamente in conflitto con l’élite che ancora controlla per larga parte le mostre e il collezionismo, e dà accesso alle celle frigorifere dei “musei contemporanei”; e inoltre essi sono ben consapevoli di lavorare in una città che con un eufemismo si può definire sorda.
    Ciononostante, questi sei giovani artisti vanno per la loro strada, sorretti dalla loro passione, ma anche dalla percezione di qualcosa nell’aria che sta cambiando...

P. La Motta   
P. Mamone Capria
F. Minieri   
A. Papari   
G. Salvati   
F. Verio   
Paolo La Motta e Alessandro Papari - mostra collettiva

venerdì 4 luglio 2014

Spazio Arte: mostra collettiva | Sei artisti napoletani

Nell'ottobre 1999, tenemmo una mostra collettiva presso l'associazione Spazio Arte di via Costantinopoli. Non era la prima mostra collettiva che organizzavamo, ma in quell'occasione sembrava dovessimo fare le cose per bene: per la prima volta ci presentavamo come gruppo e lo attestavamo con un pieghevole di fattura assai fine. Il gruppo originario era formato, oltre a me, da Paolo Mamone Capria, Alessandro Papari e Paolo La Motta, cui si aggiungevano Fabiana Minieri, ragazza del Papari e Francesco Verio, figlio d'arte.
C'era già stata un'altra collettiva poco prima delle vacanze estive, ma, benché fossi stato invitato, non vi partecipai.
Paolo Mamone Capria, pittore e teorico del gruppo, nonché valente critico d'arte, per la collettiva di ottobre aveva licenziato un testo di presentazione piuttosto vivace. Il gallerista prese le distanze da quelle affermazioni: "Non mi tirate in mezzo!". E non aveva tutti i torti: quel testo era inedito anche per me che conoscevo il critico già da qualche anno. Ma non mi dispiaceva l'accenno polemico al sistema (massonico) dell'arte contemporanea, dunque lo controfirmavo in toto.


Spazio Arte, collettiva - Sei artisti napoletani

mercoledì 11 giugno 2014

Caracas, dicembre 2004 | La famiglia di Franco Chirico a Caracas

Il 27 settembre 2004 cominciai ad insegnare alla scuola italo-venezuelana "Agustin Codazzi" di Caracas.
Dopo un mese di insegnamento, percepii il primo stipendio, pur non avendo alcun contratto di lavoro. L'unico contratto che avevo, in una lingua che non conoscevo ancora, era quello con l'azienda sanitaria privata, la Sanitas. Questo contratto assicurativo in lingua spagnola sembrerebbe un dettaglio, ma, col senno di poi, ho capito che era un aspetto tutt'altro che trascurabile. Dopo Natale, infatti, fui vittima di un avvelenamento che mi ha quasi ammazzato: in quell'occasione non ebbi modo di chiedere soccorso perché la procedura era complicata e io non ero in grado di decifrarla nell'idioma, lo spagnolo, che ancora non conoscevo. Eppure, nelle telefonate fatte prima di partire, avevo messo al corrente la. dott.ssa Greco del fatto che non conoscessi lo spagnolo. Lei mi aveva risposto che era una lingua facile da imparare... Quando ebbi l'avvelenamento il collega con cui condividevo l'appartamento si trovava fuori città, a Merida, dalla sua fidanzata. Mi telefonò il capodanno per farmi gli auguri, e, nonostante l'avessi messo al corrente delle mie condizioni di salute, non si preoccupò di informare nessuno dei colleghi presenti a Caracas. Mi disse che non poteva fare gran ché da laggiù.

Clandestino e moribondo, tecnica mista - Caracas, dic04

Il collega ritornò il 4 gennaio mattina. Lui e la sua fidanzata entrarono in casa silenziosamente. Io ero sveglio ma non parlai, aspettai che si affacciassero alla mia camera. Ricordo ancora la sua espressione nel rivedermi. Sembrò deluso e abbattuto, abbassò la testa e rivolto alla fidanzata disse che chiamava il pronto soccorso della Sanitas.
Quando la dottoressa e il suo assistente mi videro, parvero alquanto meravigliati di trovarmi vivo: mi trattarono come se la mia vita fosse appesa ad un filo. 
A visita terminata, mi prescrissero alcuni medicinali e una serie di analisi


Prescrizione Sanitas

Il giorno seguente mi alzai e scesi di casa diretto alla clinica per le analisi.  
Il tassista non mi portò in una struttura Sanitas, bensì in un'altra clinica poco distante dal quartiere dove abitavo. Per me andava bene lo stesso, una clinica vale l'altra.
Tornato l'indomani per ritirare i risultati dei prelievi, fui spettatore di una strana rappresentazione: due infermiere discutevano sommessamente. L'argomento erano le mie analisi. Ad un certo punto capii ciò che dicevano: una disse all'altra che non era compito suo preoccuparsi del contenuto di quegli esami: doveva consegnarmeli e basta
Eppure mi davano l'idea di essere entrambe molto comprese rispetto al mio "accidente" e che stessero cercando di comunicarmi qualcosa in più oltre a quello che dicevano. 
(In realtà l'informazione era molto precisa: Clinica Sanitas di Plaza Altamira, era impossibile sbagliarsi, cosicché sono certo che il tassista mi abbia portato di proposito in un'altra clinica).

Risultati alla mano, telefonai al centralino della Sanitas per parlare con la dottoressa che mi aveva visitato, dato che eravamo rimasti così. La dottoressa mi chiese i livelli di alcune voci delle analisi ed ebbe una reazione emotiva quando glieli comunicai. Mi chiese di ripetere il risultato di un parametro in particolare. Dal tono, di voce sembrava che stesse per piangere. Come se stentasse a credere a ciò che le comunicavo. Poi, di punto in bianco, la linea venne interrotta dalla voce di un uomo, il quale mi diceva che non potevo più parlare con la dottoressa perché era impegnata. Dovevo rivolgermi direttamente ad una struttura Sanitas.
Così feci, nonostante il mio aspetto e l'estrema debolezza. Il collega neanche stavolta si offrì di accompagnarmi ed io gli evitai la molestia di chiederglielo. Alla clinica "La Floresta" di Plaza Altamira (quartiere Chacao), provai a spiegare cosa dovevo fare ma non mi riuscì molto bene. Ad ogni modo mi fermai lì, in una delle sale d'attesa del piano inferiore della struttura, dove si facevano le analisi. Ad un certo punto un'assistente si offrì di mostrare le mie analisi ad un dottore internista. Così mi disse.
Quando ritornò, mi comunicò con un gran sorriso, che avevo avuto un dengue emorragico. Ebbi un certo sollievo a quest'affermazione, non so se perché si capiva che ero fuori pericolo, o perché, date le sue cause, non c'era dolo: il dengue infatti viene trasmesso da una zanzara e a me le zanzare mi adorano. 
Ai primi sintomi, invece, avevo pensato ad un avvelenamento, causato dal prosciutto cotto lasciato in frigo dal collega. Inutile dire che quando ho studiato i sintomi del dengue emorragico, ho riscontrato che non avevano alcuna attinenza con i sintomi da me riscontrati in quei giorni.
 Mentre allora presi per buona quella interpretazione detta per sviarmi, nonostante nei giorni successivi, alcune colleghe mi avessero invitato a sottopormi a una vera visita. Io ero dell'avviso di dimenticare quella vicenda quanto prima e preferii non indagare. Né lo comunicai ai miei familiari per non farli stare in pena.
Ad ogni modo a gennaio, ripresi a lavorare al Codazzi, benché "..bianco cone un lenzuolo.." e più debole di un centenario.

Dimenticavo di dire che, pur avendo il numero di telefono della famiglia di Franco Chirico, che abitava a due passi da me (ma l'ho scoperto solo nel 2008), non mi ha neanche sfiorato il pensiero di telefonarli in quei giorni: sono certo che in tal caso le mie poche chance di sopravvivenza si sarebbero ridotte a zero... 

martedì 28 gennaio 2014

Quel coniglio di Piero Golia, "Opera prima" - Accademia di Belle Arti di Napoli | Grafite su carta gialla

Piero Golia era intenzionato a diventare artista. Nel 1995, Piero Golia si iscrisse al corso di nudo dell'accademia di Belle Arti di Napoli. Dopo aver provato, senza impegno e quindi senza risultati, a disegnare e a dipingere, Piero Golia si convertì in artista concettuale. 
Per meglio comprendere l'alto valore ideativo dell'opera proposta, occorre fare alcune brevi precisazioni: 

concettuale ‹con·cet·tu·à·le› agg. ~ Essenziale, sostanziale, dal punto di vista della compiutezza di idee sul piano logico e pratico: c’è fra le due tesi un’inconciliabilità c. ♦ Diretto alla formulazione di concetti, che si esprime mediante concetti: attività c., conoscenza c.Arte c. (ingl. conceptual art), corrente artistica contemporanea sorta intorno al 1960 che, partendo dal rifiuto della mercificazione dell’oggetto d’arte, pone l’accento sul momento dell’ideazione e progettazione dell’opera e si concentra part. sull’analisi e la sperimentazione dei vari mezzi di comunicazione e di linguaggi diversi, nel tentativo di liberarsi dalla sottomissione ai materiali.
ETIMO Dal lat. mediev. conceptualis, der. di conceptus -us ‘concetto’
DATA prima metà sec. XIX.
 il Devoto-Oli 2009


Il 9 giugno del 1997, Piero Golia, novello artista concettuale, espose un coniglio alla mostra collettiva di fine corso. Ovviamente, essendo frutto di un processo di lunga elaborazione, la sua opera prima non consisteva in un semplice coniglio, bensì in un coniglio bianco sistemato all'interno di una gabbietta.

coniglio ‹co·nì·glio› s.m. (f. -a; pl.m. -gli)  1. Mammifero Lagomorfo dei Leporidi intensamente allevato a scopo alimentare e per l’utilizzazione del pelo e della pelliccia; deriva dal coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus), a differenza del quale ha orecchie e arti più corti, mole più grossa, pelame più morbido e fitto, variamente colorato, carne più dolce e delicata ♦ La carne dell’animale macellato: c. alla cacciatora.
2. fig. Simbolo di timidezza e timore, di pavidità e viltà: ha un cuore di c. • DIM. conigliétto (v.), poco com. coniglìno, tosc. conìgliolo, poco com. conigliòtto. ACCR. coniglióne. PEGG. conigliàccio nel sign. 2.
ETIMO Lat. cunicŭlum
DATA sec. XII.
 il Devoto-Oli 2009

Il "tocco da maestro" di Piero Golia si rivelò nella sistemazione di due altoparlanti vicino alla gabbietta del coniglio. Geniale...

altoparlante ‹al·to·par·làn·te› s.m. ~ Apparecchio che amplifica i suoni trasformando l’energia di correnti elettriche modulate a frequenza acustica in energia meccanica di vibrazione. • DIM. altoparlantìno.
ETIMO Comp. di alto e parlante
DATA 1927.
 il Devoto-Oli 2009


Dagli altoparlanti scaturiva la voce registrata di Piero Golia, il quale, parlando al posto del coniglio bianco, chiedeva in tono concitato di farlo uscire da lì. 
Il coniglio, da parte sua, non faceva una grinza e se ne stava lì dentro tranquillo nonostante il viavai di gente e il gracchiare degli amplificatori. La spiegazione colta di questo eccellente lavoro di Piero Golia era che il neo-artista concettuale viveva una condizione esistenziale simile a quella della sua creazione. Piero Golia si identificava totalmente in quel coniglio (e in tutto il resto), dimostrando con la sua opera prima una compiuta visione wagneriana. 
L'opera d'arte totale.



Quel coniglio di Piero Golia, grafite su carta gialla