Good - Piero Golia c'era... 2012 © - Gianluca Salvati

sabato 27 giugno 2015

Sincretismo: simboli pagani e simboli cristiani

Queste immagini posseggono una tale intensità da rendere perfettamente comprensibile che milioni di uomini colti si lascino attrarre dalla teosofia e dall’antroposofia. C’è una spiegazione semplicissima di questo fenomeno: questi moderni sistemi gnostici rispondono all’esigenza di espressione e di formulazione degli eventi interiori e inesprimibili di cui stiamo parlando; e vi rispondono meglio delle varie forme di religione cristiana oggi esistenti, a eccezione, ma è un’eccezione parziale, del cattolicesimo. Attraverso il suo simbolismo dogmatico e culturale, la religione cattolica è in grado di esprimere in maniera incomparabilmente più ampia del protestantesimo gli elementi in questione. Ma neanche il cattolicesimo ha raggiunto, né in passato, né oggi, la pienezza dell’antico simbolo pagano, il quale perciò è sopravvissuto fin nei secoli cristiani, per travasarsi poi a poco a poco in certe correnti sotterranee che, dal primo Medioevo fino ai tempi nostri, non hanno perso del tutto la loro forza vitale. Queste correnti sono andate sempre più scomparendo dalla superficie, certo; ma ritornano sotto nuove forme per compensare l’unilateralità degli orientamenti moderni della coscienza. La nostra coscienza è talmente imbevuta di cristianesimo, anzi quasi interamente plasmata dal cristianesimo, che la posizione contraria inconscia non può trovarvi ricetto, semplicemente perché riesce troppo antitetica alle concezioni basilari dominanti. Quanto più parziale, rigida, assoluta è la difesa di un determinato punto di vista, tanto più aggressivo, ostile e incompatibile sarà il punto di vista opposto, di modo che sulle prime ci sono poche speranze di giungere a una conciliazione dei contrasti. Ma se la coscienza ammette almeno la validità relativa di ogni opinione umana, anche l’avversario perde una parte della sua incompatibilità. Nel frattempo però il termine contrario cerca una qualche espressione adeguata, per esempio nelle religioni orientali: buddismo, induismo, taoismo. Il sincretismo (sintesi e combinazione) proprio della teosofia soddisfa particolarmente bene questa esigenza, e ciò spiega il successo numerico che ha incontrato.
Carl Gustav Jung, Psicologia dell’inconscio

Head, olio su tela - Gianluca Salvati 2012

venerdì 27 marzo 2015

Marcos Pérez Jiménez, dittatore in Venezuela | La scuola di Leònidas Trujillo

Sia il generale che il presidente provengono dalla scuola di Leònidas Trujillo. Espaillat ricorda quando, nel 1958, l'all­ora dittatore del Venezuela, il generale Pérez Jiménez, era at­terrato a Santo Domingo perché, alcune ore prima, a Carac­as era avvenuto un colpo di stato che l'aveva privato del potere. "Trujillo era furibondo: secondo lui, Pérez Jiménez avreb­be dovuto difendersi invece di cedere il potere così facilmente. Al che Pérez Jiménez gli rispose di aver voluto evitare un ba­gno di sangue. 'Ma che razza di dittatore sei,' gli gridò Trujil­lo, 'se non spari sulla gente?' Pérez Jiménez replicò che il com­pito di sparare sulla gente era sempre spettato al suo capo del­la sicurezza, Pedro Estrada. La migliore testimonianza dei rapporti tra Pérez Jiménez e il suo sanguinario sicario Pedro Estrada è una barzelletta venezuelana: all'inferno si incon­trano Pérez Jiménez e l'ex dittatore del Venezuela, Vicente Gómez. Come castigo per i suoi peccati, Gómez sta immerso nella merda fino al collo. Anche Pérez Jiménez sta nella merda, ma solo fino alla vita. 'Ma come?' chiede stupito un visitatore. 'Pérez Jiménez non è mica stato meno crudele di Gómez!' 'Sì,' gli risponde il diavolo. 'il fatto è che Pérez Jimé­nez sta sulle spalle di Pedro Estrada.' In quella occasione era­no venuti entrambi a Santo Domingo. Mentre, all'Hotel Em­bajador, bevevamo un bicchiere - ricorda Espaillat - Estrada cominciò a lamentarsi di Jiménez. 'Jiménez si è portato via milioni e milioni di dollari,' disse con voce piena d'invidia, mentre io sono condannato alla miseria.' 'Sarà,' replicai io. Qualcosa, comunque, te la sarai pure presa, no?' 'Qualcosa sì,' confermò tristemente Estrada. 'Appena dieci milioni di dollari."
È possibile calcolare quanto denaro possedessero Pérez Jiménez, Leònidas Trujillo, François Duvalier? Tutto quello che volevano. Governavano i loro paesi come un' azienda pri­vata. Il tesoro di stato era loro proprietà, l'intero paese era lo­ro proprietà (ora capisco cosa intendesse dire il noto piduista, Silvio Berlusconi, quando parlava di azienda Italia... n.d.r.).
Cristo con il fucile in spalla, Ryszard Kapuściński

Marcos Pérez Jiménez, dittatore in Venezuela


sabato 14 marzo 2015

Dittature in America Latina | Il Mar dei Caraibi e gli Usa

Tutto questo perché, nella strategia del Pentagono, Santo Domingo rappresenta la porta del Mar dei Caraibi che il suddetto Pentagono considera un lago interno degli Stati Uniti. Una strategia secondo la quale Cuba non è altro che un'enclave comunista all'interno del territorio degli Usa.
Un'altra caratteristica della storia della Repubblica Dominicana è il fatto che solo pochi dei suoi presidenti sono morti di morte naturale.
Ulises Heureaux, assassinato nel 1899.
Ramén Càceres, assassinato nel 1911.
Leónidas Trujillo, assassinato nel 1961.
Altri, meno noti, sono finiti nello stesso modo. Ogni presidente durante il proprio mandato, e prima di cadere egli stesso vittima della pallottola di un attentatore, cerca di sp­dire all'altro mondo il maggior numero di oppositori. Si cal­cola che il presidente François Duvalier abbia condannato a morte ventimila persone. Una cifra approssimativa, visto che nessuno è in grado di stabilire l'esatto numero delle vittime. Risultati non inferiori a quelli di Duvalier furono raggiunti dal suo vicino, il presidente della Repubblica Dominicana Leónidas Trujillo. Trujillo usava perseguitare i propri avver­sari in tutto il mondo, funzione alla quale adibiva un gran nu­mero di persone. Il capo della sua polizia, generale Arturo Espaillat, narra nel suo libro Trujillo, anatomia de un dictador, di come girasse per il mondo, travestito ora da contadi­no, ora da prete, per assassinare i nemici del presidente. "Una volta," ricorda Espaillat, "appurammo che in Guatemala un comunista di nome José Pérez faceva parte di una congiura anti Trujillo. In seguito a ulteriori controlli, risultò che nel partito comunista guatemalteco esistevano ben tre militanti con questo nome. Quale dei tre era coinvolto nella congiura? Quale dei tre bisognava uccidere? Il problema fu risolto nel modo più semplice, vale a dire eliminandoli tutti e tre. Que­sto incidente, peraltro senza importanza, illustra alla perfezione l'essenza della politica della giungla praticata in America Latina."
Poco dopo aver scritto questo libro, lo stesso Espaillat veniva assassinato a Ottawa (nel settembre del 1967).
Da allora poco è cambiato. In Messico ho parlato con un giovane dominicano di nome Maximiliano Gómez. Nel suo paese, Gómez aveva militato nell' opposizione. Incarcerato, era stato poi liberato in cambio dell'addetto militare degli Sta­ti Uniti, rapito dai guerriglieri. Venuto in Messico, aveva deeciso di partire per l'Europa perché, come mi disse, "intendevo, in un modo o nell' altro, rientrare nel mio paese e conti­nuare a combattere". Non gli hanno concesso molto tempo: ho appena letto sul giornale che è stato trovato in un albergo di Bruxelles con una pallottola in testa.
Ryszard Kapuscinski, Cristo con il fucile in spalla

Rafael Leónidas Trujillo Molina, dittatore

domenica 8 marzo 2015

La cugina della mia donna e la stazione di Casablanca

A Casablanca avevo una donna che spesso veniva a dormire a casa mia. 
Sua cugina, una giovane insegnante di educazione fisica in un luogo sperduto del Marocco, tornava a Casablanca appena poteva, perché c'era più vita, così ci si vedeva spesso...
Si era nel mese di aprile  o forse di maggio, ma non oltre, e una sera che la mia donna si fermava da me, sua cugina mi chiese se poteva approfittare della mia ospitalità, dato che partiva all'indomani mattina.
Le risposi che andava bene. Senonché, la cugina si svegliò nel cuore della notte perchè aveva il treno che partiva a momenti. E voleva essere accompagnata alla stazione.
A quel punto mi arrabbiai. Che senso aveva partire a quell'ora. Tanto valeva partire prima, così non mi rompeva le scatole nel pieno della notte.
La mia donna trovò giuste le mie rimostranze e gliene disse un paio, del tipo che io all'indomani andavo al lavorare, non ero mica in vacanza...
Ad ogni modo, appena fui pronto l'accompagnai. Appena scendemmo in strada si avvicinò un taxi, uno dei soliti taxi rossi, ma in un modo così silenzioso che pareva pattinare sull'olio. 
A fianco all'autista c'era una donna, cosa assai curiosa per quell'ora. Pensai che il tipo del taxi si annoiasse a passare la notte da solo.
Per strada io e la cugina non ci scambiammo una parola: ero troppo arrabbiato e pieno di sonno per dialogare. E poi non era quello il modo di comportarsi...
Giunti alla stazione, piena di gente anche a quell'ora, la cugina scese e andò. Ma il taxi ci mise un po' troppo per ripartire e questo destò i miei sensi... I due avanti, il conducente e la compagna non parlavano, ma le loro occhiate erano piuttosto eloquenti.
Seguii lo sguardo di lei fuori dall'auto. Era diretto alla cugina della mia donna con troppa partecipazione. Guardai meglio e mi accorsi che la ragazza stava piangendo. 

Non era il caso di piangere per due critiche, tra l'altro motivate, pensai. 
La signora e l'autista, però, erano di un altro avviso: lei a quel punto cercò la cintura di sicurezza che fino a quel momento non aveva, e, nel prenderla, fece un gesto piuttosto enfatico che mi permise di guardarle bene le mani e poi il resto del volto e capire che quella seduta davanti a me non era una donna, bensì un travestito. 
La macchina ripartì, silenziosa come sempre, e i due non si scambiarono neanche un cenno.
Arrivai a destinazione, anche stavolta, sulle mie gambe.


Piazzale esterno della stazione ferroviaria di Casablanca - Marocco


sabato 21 febbraio 2015

Lucia Veronesi e Anna Grazia Greco, una squallida mafiosa a Caracas | La corte de' miracoli: Enrico De Simone, Antonio Nazzaro e Daniela Corrieri

Enrico De Simone è rientrato in Italia nell'autunno del 2008, lasciando vacante una cattedra di matematica presso la scuola Bolivar y Garibaldi di Caracas.
Nella stessa scuola lavoravano anche Daniela Corrieri e Antonio Nazzaro, ovvero la piccola corte de' miracoli di Anna Grazia Greco.
Daniela, ex compagna di un poliziotto della scorta personale di Berlusconi, lasciava Caracas nello stesso periodo di Enrico De Simone. Inoltre, i due ex colleghi della Bolivar y Garibaldi, vivono entrambi a Roma.
Quella doppia partenza non pianificata era indice di una certa ansia di lasciare il paese, dato che la scuola era appena cominciata: i due insegnanti abbandonavano un posto di tutto rispetto e ben retribuito (il pagamento avveniva in euro, a differenza del Codazzi che da 2 anni pagava in valuta locale). Ma bisogna aggiungere che la situazione stava evolvendo anche per la Bolivar y Garibaldi.
Di lì a poco l'insegnante Antonio Nazzaro, uomo tutto d'un pezzo, non avendo i titoli per insegnare, presenterà autodenuncia presso il Consolato Generale di Caracas (reame della Greco).
Quando certa gente si muove le cose diventano automaticamente contorte

Mi spiego meglio:
  • Se Antonio Nazzaro non aveva i titoli perché aveva accettato l'incarico?
  • Come faceva la Greco ad essere all'oscuro? Enrico De Simone e Daniela Corrieri hanno cominciato a lavorare alla Bolivar y Garibaldi dietro sua indicazione, difficile immaginare che per il Nazzaro le cose siano andate diversamente
Ad ogni modo "l'autodenuncia" del Nazzaro è stato il pretesto che serviva alla Greco per togliere il contributo ministeriale alla scuola Bolivar y Garibaldi.
Trovo interessante questa trasformazione moralista della Greco: appena nel 2005 aveva imposto il suo "fidanzato" alla Codazzi, con un contratto stratosferico, mentre noi insegnanti provenienti dall'Italia ne eravamo sprovvisti. 
Cose dell'altro mondo, anzi no, cose di una certa Italietta...

Ora ricordo come andarono i fatti: il 5 settembre 2005, primo giorno di scuola per gli insegnanti, alla riunione degli insegnanti della scuola italiana la Greco mi chiese di partecipare ai corsi di informatica del suo amichetto
Le risposi picche, non ero interessato. La Greco allora perse le staffe e cominciò a dare i numeri. Tra le cazzate che disse, una riguardava la Pubblica Amministrazione, di cui ella è senz'altro una rappresentante coi fiocchi. Mi redarguì dicendo che se avevo lavorato per la PA, dovevo essere a conoscenza del fatto che i corsi di aggiornamento sono obbligatori...
Continuai a rispondergli picche, se non altro perché dell'argomento ho una certa infarinatura. La Greco continuò a fare l'isterica, ma quando capì che stava facendo la sua figura, si rivolse alla coordinatrice, la quale mi disse che non avevo capito... e dalle minacce velate si passò alla richieste: sotto impulso della Greco la coordinatrice mi chiese alcune scartoffie, ovvero del lavoro in più da sbrigare. (La burocrazia come arma intimidatoria, certo non potevo pretendere che la Greco disseppellisse la lupara per farsi giustizia: stiamo parlando di un elemento che, per quanto antisociale, stava cercando di dare una patina di legalità alle proprie furfanterie...).
Comunque non le detti soddisfazione e ai corsi del suo amichetto, non ci andai neanche stavolta.

Sia come sia, la giunta Codazzi rifiutò "il fidanzato" della Greco come insegnante di informatica.
Il motivo è semplice, aveva lasciato che alcuni ragazzini di 4° elementare visionassero siti porno, come ho già scritto nei miei blog. Non so quanto abbia influito la discussione avuta con me, dato che ai primi di settembre la Greco era ancora convinta di riproporre lo stesso pacchetto di corsi al Codazzi...(a questo punto comincio a rivalutare i rappresentanti della giunta Codazzi...).
La Greco, per ripicca, chiese a Claudio Milazzo della Bolivar y Garibaldi di accettare "il suo fidanzato" come insegnante per gli stessi corsi che teneva alla Codazzi.
In cambio, la Greco (Anna Grazia, una fuorilegge per passione ndr) fece dirottare soldini dal ministero, ovvero denaro pubblico in cambio dell'assunzione al suo tipo.


 Il colloquio - Lucia Veronesi ed Enrico De Simone

Prima di approdare alla Bolivar y Garibaldi, Enrico De Simone si era candidato a insegnare alla scuola Agustin Codazzi.
Nel marzo del 2006, infatti, el Hombre Negro era rientrato in Italia. C'era una cattedra di matematica in attesa di un/una prof.
Enrico, che lamentava uno stipendio da fame come giornalista presso La Voce d'Italia, prese la palla al balzo e andò a fare il colloquio con la preside, Lucia Veronesi.
Forse lo vidi quel giorno stesso, si era con M e il De Simone era tutto impettito e speranzoso per come si era svolta l'intervista, a vederlo già si fregava le mani... sembrava molto convinto di sé.
Ebbene, non solo la preside non accettò Enrico De Simone come insegnante, ma aggiunse, a onore delle cronache, che l'aspirante prof "non gli era piaciuto"...
Tanto per ricordare chi era la dolce Lucia Veronesi e quanto fosse preziosa la sua stima. 
Va da sé che quel giudizio sulla persona era molto di più di una semplice opinione personale, come era parso a me in quei giorni: la trovai piuttosto severa come osservazione, ma, col senno di poi, ho capito invece quanto fosse corretto il suo giudizio su Enrico De Simone, e perché si fosse premurata di farlo circolare fra gli insegnanti. Se avessi prestato più attenzione alle sue parole, avrei certamente schivato l'agguato fascista di Plaza Chacaito.
Ma, a suo tempo, non gli detti molto peso: mi ci vorranno due lunghi anni per realizzare la sostanziale verità di quell'affermazione.
E questa consapevolezza mi è giunta a fine agosto del 2008 proprio lì, a Caracas.

El pajaro


giovedì 29 gennaio 2015

La Propaganda - organo regionale socialista | Eduardo Giacchetti nel collegio di Chiaia

La Propaganda -  organo regionale socialista

La lotta di oggi nel collegio di Chiaia

I socialisti, i repubblicani, i radicali, tutti i cittadini che tengono al libero controllo della stampa e alla moralità pubblica voteranno per il recluso

   EDUARDO GIACCHETTI 
Oggi, la canaglia (Gennaro Aliberti ndr) celebra a Chiaia i suoi saturnali. Da una parte la reazione in marsina e dall'altra quella in giacca, l'una fermentata dal lievito religioso e l'altra semovente all'ombra del bandierone liberale che, da oltre un quarantennio, covre e protegge le porcherie più grosse e le viltà peggiori. Capece Minutolo di Bugnano e Cucca di Talamo si equivalgono nella concezione reazionaria che essi hanno della politica: l'uno e l'altro guardano lo Stato come l'ente protettore del popolo, come la piscina probatica nella quale chi si tuffa è salvo, e credono che il deputato, il così detto rappresentante del paese - di cui, per la restrittiva legge elettorale, va alle urne una percentuale assai bassa - sia né più né meno che un servitore: servitore del ministero e degli elettori, a un tempo, che deve dare il voto all'uno per ottenerne i piccoli favori e le minute concessioni a vantaggio degli altri.
Lontana è dalla loro coscienza la visione di una società che viva della cooperazione e nella cooperazione di tutti e che si voglia e si sappia amministrare con la propria diretta sorveglianza e col libero controllo di chicchessia e che a piacimento, e quando le torni comodo, rinnovi le proprie delegazioni e le trasformi. Ed è lontano dal loro cervello anche l'abbozzo di un qualunque programma politico.
L'uno e l'altro promisero ferrovie, ponti e strade, licei, ginnasii ed asili d'infanzia, e le croci di cavaliere e di commendatore della molto ospitale corona furon fatti da entrambi balenare innanzi alla dabbenaggine presuntuosa degli elettori: nessuno dei due si è sognato di parlare della miseria delle mille creature umane, le quali se potessero andare alle urne (da cui le tien lontane la provvida mano della borghesia sfruttatrice) voterebbero solo per chi invoca e propugna, mediante la rivoluzione dei rapporti sociali, il dovere del lavoro per tutti e per tutti il diritto alla giustizia.
L'uno, ambiziosetto e impaziente di pervenire, pare abbia anche egli sollecitata la protezione governativa che l'altro ottenne: e ci vien riferito che entrambi, incontratisi tempo fa in prefettura, si sarebbero scambievolmente dichiarato che l'uno avrebbe ceduto il passo a quello che avesse ottenuto l'appoggio governativo: a tal patto, rompendo la fede, uno avrebbe dunque mancato. Non ci preme affatto l'incidente nella parte che si riferisce al (chiamamolo così) tradimento. Guardiamo invece col disgusto e con la nausea questi avvenimenti.
[...] il Roma ha ieri, dalle libere sue colonne, protestato per le turpitudini che la Pubblica Sicurezza commise contro i partiti popolari propugnanti la candidatura di un operaio immacolato, di Eduardo Giacchetti, contro la candidatura nera di Capece Minutolo e quella di tutti i colori del Cucca.
Noi non ci contenteremo di protestare. Faremo di più. Chiederemo, ai sensi della legge, la nullità di una elezione avvenuta in modo fraudolento e cattivo.
Dal palazzo Calabritto un giocatore di baccarat dirige, con la prepotenza più aperta, le operazioni elettorali. Mercè sua fu dato libero passo ai micidiali col segno: e i pregiudicati e gli ammoniti potettero liberamente aggredire e ferire chi meglio loro talentasse, alla presenza della forza pubblica la quale (complimenti signor Zaiotti!) fu feroce solo con noi, come risulta dalla proibizione di ogni nostro comizio.
Tutto ciò sarà denunziato al parlamento innanzi al quale Roberto Talamo dovrà pareggiare i suoi conti.
Oggi noi andiamo alle urne a deporre il nome immacolato di Eduardo Giacchetti che, gravemente infermo nel carcere, ignora le ansie nostre e le nostre speranze.
Quanti voti saranno dati al martire? Molti ne auguriamo, più che per lui, per la dignità del Collegio di Chiaia, per la vita morale di Napoli.
Nelle ragioni di questo augurio fervido è il fascino della battaglia.
La quale, comunque finisca, lascia i radicali, i repubblicani e i socialisti di Napoli fieri del compiuto dovere e del servigio reso alla città.
Per opera dei partiti popolari non sarà lecito domani rimproverare al nostro paese di aver assistito, senza protesta, a un duello elettorale fra due campioni indegni di toccar la palma della vittoria.
E il popolo avrà una volta ancora compreso come debba, affermando la sua sola e insostituibile e non delegabile sovranità, provvedere al suo avvenire.
La Propaganda

La Propaganda organo regionale socialista

domenica 25 gennaio 2015

La Donazione di Costantino: elogio dell'ignoranza | Stefano II e le menzogne della Chiesa

Fu forse in questo periodo che il pontefice (Stefano II - 752-757) fece conoscere a Pipino la cosiddetta Donazione di Costantino, ovvero il documento apocrifo, opportunamente elaborato a Roma, con cui si voleva dimostrare che già nel IV secolo l'imperatore Costantino aveva ceduto la sua autorità su Roma e sull'Italia ai pontefici romani.

La Donazione di Costantino, come è noto, è un falso storico, elaborato tra la metà e la fine del secolo VIII, cui durante il medioevo tutti prestarono fede, come sta a dimostrare la stessa invettiva di Dante che nella Commedia accusa Costantino di aver provocato tanti mali con la sua malaccorta donazione al pontefice del potere temporale in Roma e nell'Occidente. La sostanziale falsità del documento venne chiaramente individuata da Lorenzo Valla nel '400, quando la ripresa di rigorosi studi filologici permise di chiarire che il testo del documento era scritto non nel latino del IV secolo, come avrebbe dovuto essere, ma in un latino molto più tardo e imbarbarito.
Questo famoso falso storico non è in realtà un'eccezione; la Chiesa, in quanto potenza terrena, già da tempo fondava talvolta i diritti che le venivano contestati su documenti fabbricati appositamente. Lo storico italiano Gabriele Pepe osserva acutamente a questo proposito che "alla concezione di una Chiesa mantenuta dallo spirito della libertà, di Dio, si è sostituita la scettica coscienza di una Chiesa tenuta dalla legge, dal capo, dalla gerarchia"; è però da notare che le "pie frodi" miravano a esonerare la Chiesa da troppo pesanti vincoli di riconoscenza verso i sovrani alleati e protettori, mettendo questi ultimi di fronte a immaginari diritti ecclesiastici precostituiti.
Elementi di storia - Il Medioevo, A. Camera, R. Fabietti (Zanichelli ed.)

Dio sgomento per le menzogne della Chiesa

giovedì 15 gennaio 2015

Lo stoicismo e il falso carteggio fra Seneca e Paolo di Tarso

Già un secolo prima di Marco Aurelio lo stoicismo si era avvicinato al trono imperiale, quando Seneca era diventato anzitutto l'educatore del giovane Nerone, e poi il suo prin­cipale consigliere politico e speechwriter, quando questi ascese al trono nel 54. Nerone non era naturalmente Ales­sandro Magno, né Seneca era Aristotele, ma i due reinter­pretarono comunque il copione del sodalizio fra il grande filosofo e il giovane imperatore, fino a quando il primo cad­de in disgrazia e il secondo lo condannò al suicidio nel 65. Sentenza che Seneca eseguì, naturalmente, con stoica sere­nità, sulla base di un altro classico principio stoico: «Accet­tare volontariamente l'inevitabile »,
Marco Aurelio e Seneca sono esponenti della cosiddetta «ultima Stoà», concentrata prevalentemente su problemati­che morali e spirituali, e rappresentante una sorta di religio­ne laica e colta: in alternativa, dunque, a quella clericale e «cretina», che dapprima cercò di annettersela inventandosi un apocrifo carteggio tra Seneca e Paolo di Tarso, e poi riu­scì a scalzarla in base al principio che a diffondersi in epi­demie sono le malattie infettive e non la salute, fisica o mentale che sia.
Ai fini della logica a noi interessa, però, la «prima Stoà »: quella fondata ad Atene verso il 300 p.e.V. dal ci­priota Zenone di Cizio, che non va naturalmente confuso col precedente eleatico. Essa prese il nome dalla stoà poiki­le, il «portico dipinto» nel quale aveva sede, e divenne pre­sto il terzo polo della vita culturale ateniese.
L'importanza che le tre scuole mantennero a lungo nella vita della città è testimoniata dal fatto che i Greci, quando dovettero inviare una missione diplomatica a Roma nel 156 p.e.V., dopo la conquista romana della Macedonia, non tro­varono niente di meglio che scegliere Carneade (il manzoniano «chi era costui?») dall'Accademia, Critolao dal Li­ceo, e Diogene dalla Stoà.
Tra parentesi, i tre si fecero onore: arrivati a Roma, ini­ziarono i giovani Romani alle loro dottrine, ed ebbero tanto successo che Catone li fece immediatamente rispedire a ca­sa, per paura che la filosofia finisse col provocare una disaf­fezione verso la vita militare. D'altronde, un Censore non poteva che preferire la militarizzazione dei civili alla civi­lizzazione dei militari.
Per tornare alla Stoà, l'esponente più importante fu il suo terzo rettore, il fenicio Crisippo di Soli, vissuto nel terzo se­colo p.e.V. Stilisticamente, sembra non fosse un granché: d'altronde, veniva da una città che aveva ispirato il termine soloikismos, «solecismo », usato ancor oggi nel senso di «sgrammaticatura ». Quanto a produzione, invece, doveva essere un vero grafomane, visto che scriveva 500 righe al giorno: ovvero, l'equivalente dell'intera opera di Aristotele ogni due anni e mezzo, e 700 libri in tutta la vita, un centi­naio dei quali dedicati alla logica.
Tutti questi libri sono oggi perduti, come del resto quelli dell'intera scuola. La quale, per una serie di ragioni, com­presa quella già accennata della competizione etica col Cri­stianesimo, finì per essere completamente rimossa. Al pun­to che oggi di Accademie e Licei è pieno il mondo, ma non c'è neppure una Stoà. È rimasto l'aggettivo «stoico», usato però quasi esclusivamente nel senso di distacco e sopporta­zione al quale abbiamo già accennato.
Piergiorgio Oddifreddi, Le menzogne di Ulisse

Seneca - Ultima Stoà


domenica 14 dicembre 2014

Arte contemporanea e mass media: "Tennista", olio su tela | Mass media e potere

Mass-media: "L'insieme delle tecniche contemporanee che permettono la produzione, trasmissione e diffusione di messaggi ad un pubblico vasto, eterogeneo, anonimo; in una forma che si caratterizza come pubblica, rapida e transitoria. I principali mezzi di comunicazione di massa sono oggi la stampa, la radio, la televisione, il cinema, il manifesto e tutti gli strumenti creati da una tecnologia avanzata che producono e diffondono messaggi su larga scala. Attorno agli anni Trenta, con il crescente sviluppo di cinema, radio, stampa, la comunicazione di massa si è imposta come problema sociale: se ne vede l'influenza nel campo della propaganda politica, della pubblicità, dell'educazione, ma se ne temono anche le conseguenze sul piano sociale e culturale. L'enorme corpo di ricerche realizzate negli Stati Uniti, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, soprattutto sul pubblico, sugli effetti, sul contenuto del mass-media, per lo più legate a fini pratici ed essenzialmente descrittive, testimoniano il timore e per l'azione condizionante e persuasiva di tali mezzi di comunicazione (di cui l'avvento delle dittature nazista e fascista sembrava essere frutto) e per il possibile livellamento dei comportamenti e dei gusti nelle società libere industrializzate. negli anni Cinquanta e Settanta si è imposto un diverso approccio allo studio di questi problemi: soprattutto in Europa si pone in primo piano l'interesse per la dimensione culturale della comunicazione di massa (cultura di massa); ancora oggi, si può dire aperto il dibattito tra chi vede nella civiltà dei mass-media, unilaterale e etero-diretta, l'imporsi di valori e modelli di comportamento alienanti. e frustranti [...] e chi invece considera la società di massa come luogo e momento di massima partecipazione socio-politico-culturale [...] Ma se è indubbio che i mass-media sono un grosso strumento di controllo sociale è però difficile stabilire quanto questo sia in se stesso più forte se esercitato attraverso il canale dei mass-media o attraverso quelli tradizionali. In altre parole i mezzi di comunicazione di massa agiscono in una società già emarginata ed alienata: le funzioni di facilitare l'integrazione e di imporre valori quali il successo, la competizione, il guadagno, sono già efficacemente svolte da agenzie di socializzazione quali la famiglia o la scuola" (Caporello, in D'Amato-Porro, 1985 pp.124-26)


Tennista, olio su tela - Gianluca Salvati 1999


venerdì 5 dicembre 2014

Marguerite Yourcenar: funzione dello storico | Le memorie di Adriano

A pagina 22 dell'edizione di Einaudi delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, l'imperatore Adriano dice: "Gli storici ci propongono una visione sistematica del passato, troppo completa, una serie di cause ed effetti troppo esatta e nitida per aver mai potuto essere vera del tutto, rimodellando questa docile materia inanimata, ma io so che Plutarco sfuggirà sempre Alessandro...".
In quel brano l'imperatore invita a fare attenzione, a leggere tra le righe della Storia cercando di separare il bene dal male, il vero dal falso, il grano dal loglio.
Proposta allettante, ma quanto mai difficile da realizzare in un'epoca come la nostra dove la sovraproduzione, l'inflazione informativa hanno spesso l'effetto di stordire piuttosto che di chiarire.
"Lo storico", avverte il grande medievalista francese Georges Duby, "ha abbandonato da tempo la pretesa di dettare regole di condotta perché della realtà cogliamo soltanto delle tracce. Cancellate, discontinue, insufficienti. Il nostro dovere è di sfruttarle a fondo, senza manipolarle. Ma bisogna colmare scrupolosamente tutti i vuoti, cercando di ricostruire un puzzle di cui spesso manca la maggior parte dei pezzi".
E così il compito di cercare un percorso limitato e logico resta, e con esso il dilemma di fronte a ogni conflitto: imbarcarsi in una bella dimostrazione, oppure cercare nel fondo del problema?
Vincenzo Maddaloni - Famiglia Cristiana n. 46



domenica 30 novembre 2014

Cricca Codazzi | Una Caracas da bere: Ruben e la nipote di Franco Chirico

Quando ripresi a lavorare nel gennaio 2005, ripresi anche le uscite serali in quel di Caracas. Una Caracas da bere.
Il collega di uscite, Giuseppe Rinaldi, era ritornato dall'Italia più baldanzoso che mai. Baldanzoso è il termine adatto per uno sovrappeso che ami danzare la salsa e gli altri balli latinoamericani... Il bello è che se la cavava piuttosto bene.
Io ero debole e necessitavo ancora di riposo, ma avevo anche bisogno di vedere un po' di vita, dato che ero fresco reduce dal mondo dei morti, o degli spiriti, se preferite. 

Fortunatamente avevo ricominciato la scuola di mercoledì, per cui il fine settimana arrivò prima. Giuseppe mi disse che era in contatto con Ruben Zambrano, l'insegnante di educazione motoria del Codazzi. Quel venerdì, infatti, si festeggiava il Dia del maestro e a scuola ci fu il solito brindisi (non essendo riusciti a farmi fuori, mi festeggiavano, quegli infami...).  
Al brindisi Giuseppe Rinaldi e il prof di educazione fisica parlarono per tutto il tempo. 
Quando ci vedemmo in serata, al solito bar di plaza Chacaito, Giuseppe mi disse che Ruben Zambrano gli aveva scritto un messaggio. Il prof di ginnastica, originario di Merida,  era in serie difficoltà: lo assediavano varie femmine e richiedeva il nostro intervento. Più che un messaggio pareva un Sos...
Come potevamo rifiutare?
Terminammo le nostre birre e ci mettemmo in viaggio. Destinazione: Club de la Guardia, zona Paraiso: non poteva esserci luogo migliore per ricominciare a vivere...
Raggiungemmo il nostro collega ancora incolume che ci presentò una carovana di persone. Almeno tre figliole erano di mio gradimento.
Il Club de la Guardia era una sorta di dopolavoro dell'esercito venezuelano. Era distribuito su un'area abbastanza grande e si entrava solo per conoscenza. Non mi dispiaceva perché era per lo più all'aperto, semplice e popolare. La musica non era chiassosa, e pazienza se c'era solo musica locale. Era un luogo ideale per chi sapeva ballare i ritmi caraibici.
Il gruppo di Ruben era situato in una zona che terminava con un cortile. Sul muro di quel cortile era dipinto a lettere cubitali la scritta "Barinas linda!". Omaggio al luogo che ha dato i natali al presidente Chavez. Alcune amiche di Ruben mi fecero un corso accellerato di salsa venezuelana. Molto istruttivo, anche se sono stato un pessimo allievo.
Ad un certo punto della serata, me ne andai a fare un giro per il club. C'erano zone poco illuminate con cespugli e aiuole ed altri spazi coperti dove la gente ballava. Nel complesso dava l'idea di un luogo molto frequentato ma tranquillo. 
Durante il mio giro di ricognizione vidi, per la prima volta, la nipote di Franco Chirico. 
Era il 14 gennaio 2005. La vidi senza conoscerla e senza essere visto in quanto parlava animatamente con una ragazza della comitiva. Una di quelle che mi piacevano, per intenderci. Forse fu proprio per cercarla che vidi la nipote di Franco Chirico, massimo editore del Cammino Neocatecumenale e amico personale di Kiko Arguello, nonché capo-setta della comunità neocatecumenale frequentata dai miei genitori dai primi anni '90. 


Franco Chirico e la cricca Codazzi di Anna Grazia Greco


Parlava la sciacquetta, in una zona poco illuminata, ma più precisamente impartiva istruzioni. Aveva 25 anni circa, la faccia slavata, gli occhiali e i capelli castani non molto lunghi, legati dietro con una piccola coda. Ostentava lo stesso piglio della Greco (Anna Grazia, una fuorilegge a Caracas), ovvero lo stesso modo del cazzo di blaterare senza ascoltare. Odiosa solo a vedersi.
Quello del Club della Guardia è stato il primo di 3 incontri certi, che ho avuto con quella troia della nipote di Franco Chirico. ma non escludo di averla avuta tra i piedi in diverse altre occasioni, dal momento che aveva frequentato il Codazzi e abitava a due passi da casa mia...

approfondimento: 
  1. Il dopo commissione ministeriale
  2. Il rientro a scuola (gennaio 05) 

giovedì 27 novembre 2014

In principio era l'immagine | L'Homo sapiens è nato artista - Emmanuel Anati

Quando avviene una nuova scoperta nel campo dell'arte preistorica, si meravigliano tutti. Io penso invece che dovremmo meravigliarci di questa meraviglia. L'inventario mondiale dell'arte preistorica curato dal Centro camuno ha già messo in archivio siti che contengono più di 50 milioni di pitture e incisioni rupestri e ha identificato 150 aree principali, distribuite su tutti i i continenti: dalla Siberia alla Patagonia, all'Australia, alla Tanzania, al Sahara, al Canada e ovviamente all'Europa.
È un patrimonio incalcolabile che finalmente ci fa prendere coscienza dell'universalità del fenomeno arte. L'Homo sapiens, da quando è apparso sul pianeta 50.000 anni fa, era artista. È nato artista ed è rimasto tale. La produzione dell'arte è per lui un'esigenza vitale. Come mangiare, bere o dormire. Dietro questa pretesa di mettersi in contatto con l'Aldilà, con gli dei, con le forze soprannaturali, nel subconscio dell'uomo c'è soprattutto e prima di tutto l'esigenza di comunicare con il prossimo, con gli altri uomini. E questa è una delle spinte dell'attività artistica. Ma l'immenso patrimonio dell'arte rupestre ci racconta anche un'altra storia: quella di 50.000 anni di umanità, 45.000 dei quali senza scrittura. Tutte quelle popolazioni che sono state escluse dalla Storia con la esse maiuscola perché non avevano un linguaggio scritto entrano dunque a farne parte a pieno titolo grazie all'arte, che ci permette di ricostruire le vicende, le emozioni, le credenze, la religione.
Un altro aspetto importante di quelle che potremmo chiamare le Cappelle Sistine dell'infanzia dell'uomo è la loro pluralità di funzioni: un fatto che ci è confermato indirettamente dallo studio di cacciatori-raccoglitori che ancora realizzano arte rupestre, come i Boscimani africani o gli Aranta australiani. Ci sono siti all'aperto e altri che sembrano scelti proprio per l'estrema difficoltà di accesso. Una delle funzioni più comuni era quella iniziatica: la grotta o l'area sacra era una specie di università, un luogo dove si andava ad imparare le regole della vita sociale e si veniva iniziati all'età adulta e alla sapienza. Altri siti servivano a finalità divinatorie, o avevano una funzione sciamanica: lo sciamano vi si rifugiava per parlare degli antenati, con gli spiriti degli animali o con altre forze dell'Aldilà. 

Pitture rupestri di leoni - Chauvet

Spesso le funzioni si soprapponevano, se l'"istruttore" dell'iniziazione era anche sciamano; allora le grotte erano segretissime e riservate agli iniziati in momenti determinati dell'anno. È probabile che fosse proprio questa la funzione della grotta Chauvet.
Emmanuel Anati - Airone (maggio 1995)

venerdì 21 novembre 2014

Federico Garcia Lorca, "Cielo vivo" | Pittura figurativa contemporanea: "Bimbi e gallo", olio su tela di Enrico Cajati


Cielo vivo
Non potrò lamentarmi

se non ho trovato quel che cercavo.

Vicino alle pietre senza succo e agli uccelli  vuoti

non vedrò il lutto del sole con le creature in carne viva.


Ma andrò al primo paesaggio

di colpi, liquidi e rumori

che penetra un bambino appena nato

e dove ogni superficie è evitata,

per capire che quello che cerco avrà il suo centro d'allegria

quando volerò mescolato all'amore e alle arene.


Lì non giunge la brina degli occhi spenti

né il muggito dell'albero assassinato dai bruchi.

Lì tutte le forme hanno intrecciate

una sola espressione frenetica di slancio.


Non puoi avanzare negli sciami di corolle

perché l'aria dissolve i tuoi denti di zucchero

né puoi accarezzare la fugace foglia della felce

senza provare lo stupore definitivo dell'avorio.


Là sotto le radici e nel midollo del vento

si comprende la verità delle cose equivocate,

il nuotatore di nickel che spia l'onda più fine

e la mandria di vacche notturne con rosse zampe di donna.


Non potrò lamentarmi

se non ho trovato quello che cercavo:

ma andrò al primo paesaggio d'umidità e di ululati

per comprendere che quello che cerco avrà il suo centro d'allegria

quando volerò mescolato all'amore e alle arene.



Volo fresco di sempre sopra letti vuoti,

sopra gruppi di brezze e di barche arenate.

Passo vacillando la dura eternità fissa
e amore senz'alba. Amore. Amore visibile!

Cielo vivo, Federico Garcia Lorca

Bimbi e gallo, olio su tela - Enrico Cajati

domenica 26 ottobre 2014

Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi | "Il grande smascheratore" e la separazione fra Stato e Chiesa

Paolo V fece appello alla Spagna e alla Francia. Ma la Spagna sovente aveva respinto gli editti papali, ed Enrico IV di Francia era riconoscente a Venezia. Tuttavia, Enrico inviò a Venezia il giudizioso cardinale de Joyeuse, il quale studiò le formule atte a salvare la faccia dei contendenti. I preti furono consegnati all'ambasciatore francese, il quale si affrettò a consegnarli a Roma; il Senato rifiutò di abrogare le leggi contestate, ma (sperando nell'aiuto del papa contro i Turchi) promise che la Repubblica si sarebbe "comportata secondo la sua abituale devozione". Il papa sospese le sue censure, e Joyeuse dette l'assoluzione agli scomunicati. "Le rivendicazioni di Paolo V", dice uno storico cattolico, "erano di carattere troppo medievale per potere essere accolte." Fu questa l'ultima volta che un intero Stato fu sottoposto all'interdetto.
Il 5 ottobre 1607, Paolo Sarpi fu assalito da sicari, che lo lasciarono per morto. Guarì e si dice abbia osservato, in un epigramma troppo bello per essere vero: "Agnosco stilum curiae Romanae" (Stilus voleva dire in origine un ferro appuntito, quindi una punta di ferro adoperata per scrivere sulle tavolette, quindi una penna, quindi un modo di scrivere. Il diminutivo stiletto significava sia un arnese per incidere, sia un pugnaletto). 

5° non uccidere

I sicari trovarono asilo e lode negli Stati pontifici. Da allora in poi Sarpi visse tranquillo nel suo chiostro, servendo messa ogni giorno; ma quanto al suo stilus non rimase in ozio. Nel 1619 pubblicò, sotto uno pseudonimo e presso una casa londinese, la sua Istoria del Concilio Tridentino, voluminoso atto d'accusa contro il Concilio di Trento. Compì della Riforma una narrazione affatto protestante, e condannò il Concilio per aver reso insanabile lo scisma, cedendo completamente ai papi. Il mondo protestante accolse entusuasticamente il libro, e Milton chiamò il suo autore "il grande smascheratore". I gesuiti incaricarono un dotto studioso del loro ordine, Sforza Pallavicino, di scrivere un'anti-Istoria (1656-64), che denunciava, emulandoli, il partito preso e le inesattezze di Sarpi. Nonostante la loro tendenziosità, quei due libri segnarono un progresso nella raccolta e nell'impiego di documenti originali, e l'ampio sommario di Sarpi possedeva, in più, il pericoloso richiamo di un'eloquenza impetuosa. Molto in anticipo sul suo tempo, egli reclamò una separazione totale della Chiesa e dello Stato.
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

sabato 25 ottobre 2014

Paolo Sarpi: la fede della conoscenza | Venezia e il potere papale

La tranquilla e austera oligarchia che commerciava, attribuendo loro libertà di religione, con uomini di tutte le fedi, assunse un atteggiamento di notevole indipendenza verso il papato, tassando il clero, sottoponendolo al diritto civile, e vietando, senza il suo consenso, l'erezione di nuovi altari o conventi e la donazione di terre alla Chiesa. Un gruppo di statisti veneziani, guidati da Leonardo Donato e Nicolò Contarini, si oppose particolarmente alle pretese del papato di affermare il proprio potere nella sfera del temporale. Nel 1605 Camillo Borghese divenne Paolo V, l'anno dopo Donato fu eletto doge; questi due uomini, i quali erano stati amici quando Donato era ambasciatore di Venezia a Roma, si affrontarono ora in una lotta fra la Chiesa e lo Stato, che rievocava, a cinque secoli di distanza, la contesa fra Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV. E il papa Paolo V fu scandalizzato nello scoprire che chi guidava intellettualmente il partito anticlericale in Venezia era una altro Paolo, Paolo Sarpi, un frate servita.
Sarpi, diceva Molmenti, era "la più alta intelligenza che Venezia abbia mai prodotto". Figlio di un mercante, entrò nell'ordine dei serviti a tredici anni, si imbevette appassionatamente di nozioni, e diciottenne sostenne a Mantova in una gara pubblica 318 tesi, così felicemente che il duca lo fece teologo di corte. Ventiduenne, fu ordinato sacerdote e divenne insegnante di filosofia; a ventisette anni fu nominato provinciale del suo ordine per la Repubblica veneta. Continuò gli studi di matematica, di astronomia, di fisica, di tutto. Scoprì la facoltà dell'iride di dell'occhio di contrarsi.

L'occhio di Paolo V, incisione

Scrisse trattati scientifici oggi perduti, e partecipò a ricerche ed esperienze di Fabrizio D'Acquapendente e di Giambattista Della Porta, il quale disse di non aver mai incontrato un "uomo più colto, o uno più acuto in tutta la sfera del sapere". Forse quegli studi profani danneggiarono la fede di Paolo Sarpi. Egli accolse come amici alcuni protestanti, e contro di lui furono mosse accuse all'Inquisizione di Venezia, la medesima istituzione che avrebbe presto arrestato Giordano Bruno. Tre volte fu prescelto dal senato per vescovo, tre volte il Vaticano rifiutò la sua nomina, e il ricordo di tali ripulse accentuò la sua ostilità verso Roma.
Nel 1605 il Senato arrestò due preti, dichiarandoli colpevoli di gravi reati. Il papa Paolo V richiese che fossero consegnati al foro ecclesiastico e ordinò inoltre che fosse abrogata la legge contro le nuove chiese, i conventi e gli ordini religiosi. La Signoria veneta rifiutò in termini cortesi. Il papa accordò al doge, alla Signoria e al Senato ventisette giorni entro i quali sottomettersi. Quelli chiamarono fra Paolo Sarpi quale consigliere in diritto canonico, ed egli consigliò a resistere, basandosi sul fatto che il potere del papa abbracciava soltanto la sfera spirituale. Il Senato seguì quel parere. Nel maggio 1606, il papa scomunicò Donato e la Signoria, ponendo l'interdetto su tutte le funzioni religiose nel territorio di Venezia. Il doge dette istruzioni al clero veneziano d'ignorare l'interdetto e di continuare le funzioni religiose; quello così fece, tranne i gesuiti, i teatini e i cappuccini. I gesuiti, tenuti dalla loro regola ad obbedire al papa, abbandonarono in massa Venezia, nonostante il monito della Signoria che, se se ne andavano, non sarebbe stato loro concesso più di ritornare. Nel frattempo Sarpi, in risposta al cardinale Bellarmino, pubblicava opuscoli sui limiti del potere papale, proclamando la supremazia del concilio sul papa. 
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

sabato 4 ottobre 2014

Venezia, regina del'Adriatico | Le religioni lottano per il potere: La battaglia di Lepanto

La regina dell'Adriatico ebbe, al pari dell'antica Roma, una lunga e sontuosa decadenza. Stava perdendo nei confronti del Portogallo il commercio marittimo con l'India e presto avrebbe risentito della concorrenza olandese.
Subiva l'urto dell'espansione marittima dei Turchi; le sue navi e i suoi comandanti furono tra i fattori principali della vittoria sui Turchi a Lepanto (1571), ma pochi mesi dopo cedette Cipro, e quindi il suo commercio con il Mediterraneo orientale era soggetto al consenso e alle condizioni dei Turchi. Venezia lottò valorosamente per fronteggiare quella trasformazione.

La battaglia di Lepanto
Collegandosi ad Aleppo con le carovane dell'Asia centrale, rimediò in parte al diminuito commercio marittimo con l'Oriente. Le sue navi ancora dominavano l'Adriatico. partecipava agli utili della tratta degli schiavi che ora infamava Portogallo, Spagna, Inghilterra. I possedimenti di terraferma - Vicenza, Verona, Trento, Trieste, Aquileia, Padova - prosperavano economicamente e aumentavano di popolazione. Le industrie continuavano a eccellere nel vetro, le seta, i merletti e oggetti d'arte di lusso.
Il Banco di Rialto, fondato nel 1587 dopo il fallimento di molte banche private, poneva la forza dello Stato dietro la finanza veneziana, e servì da modello a istituti analoghi a Norimberga, Amburgo, Amsterdam. I viaggiatori stupivano dinanzi alle bellezze dell'architettura e delle donne di Venezia, dinanzi alla pulizia delle strade, e alla tenace stabilità governativa.
La politica estera di Venezia mirava a mantenere l'equilibrio tra Francia e Spagna, a evitare che l'una o l'altra assorbissero l'indebolita Repubblica; di qui il pronto riconoscimento di Enrico IV, per rafforzare la Francia dilaniata dalla guerra. Nel 1616 il vicerè spagnolo di Napoli, il duca di Osuna, prese parte ad un complotto con l'ambasciatore di Spagna a Venezia per rovesciare il Senato e fare della Repubblica una dipendenza della Spagna. Filippo III, secondo i modi prudenti dei governi, dette il suo beneplacito all'iniziativa, ordinando però a Osuna di procedere "senza far sapere a nessuno che state facendo questo con mia cognizione, e facendo credere che agite senza ordini". La Signoria veneta aveva le migliori spie d'Europa, la congiura venne scoperta, i cospiratori sul posto furono arrestati, e una mattina il popolo fu edificato vedendoli, impiccati nella piazzetta di San Marco, fissare con occhi spenti i piccioni felici.
Will e Ariel Durant - Storia della civiltà - Le religioni lottano per il potere

venerdì 19 settembre 2014

Bibliae pauperum: la Chiesa e la propaganda per immagini | Piero Adorno, storia dell'arte

È vero che non tutti erano d'accordo sulla presenza nei luoghi sacri di questi strani animali; lo dice chiaramente San Bernardo di Chiaravalle (1091-1159): "cosa ci stanno a fare [...] queste immonde scimmie, questi feroci leoni, questi esseri semiumani?" Ma la voce di San Bernardo è isolata. Questi esseri, appunto perché non reali o non usuali nella nostra vita, assumono meglio il ruolo di simboli attraverso i quali possiamo trarre la lezione che la Chiesa vuole impartire.
Per ragioni analoghe anche quando si affronta un tema testamentario non lo si vede storicamente, ma leggendariamente: deve avere il potere suggestivo della favola, non dimostrare razionalmente, ma investire la sfera dell'inconscio, commovendo, incitando, impaurendo. L'immagine, più dello scritto, più della parola, attira l'attenzione: il fedele, mentre ascoltava la voce del sacerdote, vedeva queste figurazioni e imparava. Per questo la chiesa cristiana occidentale, malgrado l'opinione opposta dell'Oriente, sfociata, fra l'VIII e il IX secolo, nell'iconoclastia, ossia nella distruzione anche fisica dell'immagine, ha invece sempre accettato la figurazione, anzi l'ha incoraggiata, come mezzo propagandistico della fede. Si vengono costituendo così, in scultura o in pittura, dei repertori figurativi, ripetuti più volte in varie parti d'Europa, vasti poemi visivi, detti, come abbiamo già avuto occasione di precisare, Bibliae pauperum, contrapposte ai testi sacri decifrabili soltanto dai pochi che sapevano leggere, i dotti.
 
Piero Adorno
Bibliae paupareum - La Chiesa e l'uso dele immagini a fini propagandistici

giovedì 7 agosto 2014

La sola rivoluzione, J. Krishnamurti - Meditazione e dualismo | Verità, rivelazione e condizionamento: l'armamentario della religione organizzata

[...]  Lasciamo stare se l'interlocutore sia un indiano educato in questa tradizione, condizionato in questa cultura, e se sia la sintesi di questa antica dottrina. Prima di tutto egli non è un indiano, cioè non appar­tiene a questa nazione o alla comunità dei brahmini, sebbene vi sia nato. Nega la stessa tradizione di cui è stato investito. Nega che la sua dottrina sia la continuità degli insegnamenti antichi. Non ha letto nessuno dei libri sacri dell'India o dell'Occidente, perché sono inutili a un uomo che è consapevole di ciò che avviene nel mondo - della con­dotta degli esseri umani con le loro interminabili teorie, con la ben accetta propaganda di duemila o cinquernila anni che è diventata la tradizione, la verità, la rivelazione. 

Alberi, monte, nuvola, cielo settembrino
Per un uomo simile, il quale si rifiuta totalmente e completamente di accettare il mondo, il simbolo con il suo condizionamento, la verità non è un affare di seconda mano. Se voi lo aveste ascoltato, signore, non vi sarebbe sfuggito che fìn dall'inizio ha detto che ogni accettazione di autorità è la negazione stessa della verità, e che ha insistentemente affermato che è necessario essere al di fuori di ogni cultura, tradizione e morale sociale. Se aveste ascoltato, non direste che è un indiano o che continua la tradizione antica in termini moderni. Egli nega total­mente il passato, i suoi maestri, i suoi interpreti, le sue teorie e le sue formule.
La verità non è mai nel passato. La verità del passato è la cenere della memoria; la memoria procede dal tempo e nella morta cenere dell'ieri non c'è verità. La verità è una cosa vivente, ma non nella sfera del tempo.
Così, lasciando stare tutto ciò, possiamo ora passare all'argomento centrale che voi postulate, il Brahman. Sicuramente, signore, la stessa asserzione è una teoria inventata da una mente ricca di immaginazione - sia essa Shankara o il dotto teologo moderno. Si può sperimentare una teoria e dire che è così. Ma un uomo che sia stato educato e condizionato nel mondo cattolico non può avere che visioni di Cri­sto, le quali ovviamente sono la proiezione del suo condizionamento, così come coloro che sono stati educati nella tradizione di Krishna hanno esperienze e visioni nate dalla loro cultura. Così l'esperienza non prova nulla. Riconoscere la visione come Krishna o Cristo è il risul­tato di una conoscenza condizionata; quindi non è affatto una realtà, ma una fantasia, un mito, a cui l'esperienza dà vigore, ma che non ha validità. Perché avete bisogno a ogni costo di una teoria e perché postulate una credenza? Questo voler porre costantemente la neces­sità della credenza è un sintomo di paura - paura della vita di ogni giorno, paura del dolore, paura della morte e dell'assoluta mancanza di significato della vita. Vedendo tutto ciò, voi inventate una teoria e quanto più questa è abile ed erudita tanto più ha peso. E dopo due­mila o diecimila anni di propaganda quella teoria invariabilmente e scioccamente diviene 'la verità'.
Ma se non postulate alcun dogma, allora vi trovate faccia a faccia con ciò che realmente è. Il 'ciò che è' è il pensiero, il piacere, il dolore e la paura della morte. Quando capirete la struttura della vostra vita quotidiana - con la sua competizione, avidità, ambizione e sete di potere - allora vedrete non solo l'assurdità di teorie, salvatori e guru, ma forse troverete una fine al dolore, una fine all'intera struttura costruita dal pensiero.
La penetrazione e la comprensione di questa struttura è la meditazione.
Allora vedrete che il mondo non è una illusione, ma una terri­bile realtà costruita dall'uomo nel suo rapporto col suo simile. Sono queste le cose che vanno capite e non le vostre teorie del Vedanta, con i riti e tutto l'armamentario della religione organizzata.
Quando l'uomo è libero, senza alcun motivo di paura, di invidia o di dolore, allora soltanto la mente trova la sua pace naturale. Allora può vedere non solo la verità nella successione degli attimi della vita quotidiana, ma anche trascendere la percezione. Allora si ha la fine dell'osservatore e dell'osservato, e la dualità cessa.
Ma di là da tutto ciò e senza alcun rapporto con questa lotta, con questa vanità e disperazione, c'è - e non è una teoria - una cor­rente che non ha né principio né fine, un movimento infinito che la mente non saprà mai cogliere.
Ovviamente, signore, voi farete una teoria di ciò che avete ascol­tato, e, se questa nuova teoria vi piacerà, la diffonderete. Ma ciò che diffondete non è la verità. La verità è solo quando voi siete libero dal dolore, dall'ansia e dall'aggressività che ora riempiono il vostro cuore e la vostra mente. Quando vedrete tutto ciò e quando incontrerete quella benedizione chiamata amore, allora conoscerete la verità di ciò che ora vi viene detto.
La sola rivoluzione, J. Krishnamurti